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Il paesaggio introvabile

Indice

Dopo essere stati alla ricerca del territorio perfetto come dimostrano, dall'Antichità al Novecento, tutti i lavori sull'utopia, siamo oggi alla ricerca del paesaggio perfetto. L'espressione importante è "far paesaggio" che non è, certamente, recente ma che si è sostituita a quella "far territorio".  Perché e come è avvenuta la sostituzione del paesaggio al territorio ? Se la domanda è facile da fare la risposta è un po' meno facile da dare. Ciò che è certo è che non risiede nelle cose stesse ma nella trasformazione di ciò' che crea le cose, il territorio, che non è il paesaggio ma che è all'origine del paesaggio poichè questo è rappresentazione del territorio.

Dopo essere stati  alla ricerca del territorio perfetto come dimostrano, dall'Antichità al Novecento, tutti i lavori sull' utopia, siamo oggi alla ricerca del paesaggio perfetto. Possiamo vederlo nel lavoro di progettazione degli architetti : "In recenti esperienze di architettura - esperienze di progetti, di ricerche, di attività didattiche - si può vedere come, anche nel nostro mestiere, sia sovente presente una tensione a "far paesaggio" e come questa tensione non si esprima solo nel disegno a scala di territorio o di skyline, ma sia leggibile anche nelle decisioni relative ai sistemi costruttivi, all'impiego dei materiali, al disegno dei particolari"[1]. L'espressione importante è "far paesaggio" che non è, certamente, recente ma che si è sostituita a quella "far territorio". Quando Henri Lefebvre, troppo dimenticato secondo me, parlava, quarant'anni fa, della produzione dello spazio aveva ancora in testa la nozione di territorio rurale e sopratutto urbano. Perché e come è avvenuta la sostituzione del paesaggio al territorio ? Se la domanda è facile da fare la risposta è un po' meno facile da dare. Ciò che è certo è che non risiede nelle cose stesse ma nella trasformazione di ciò' che crea le cose, il territorio, che non è il paesaggio ma che è all'origine del paesaggio poichè questo è rappresentazione del territorio. Ciò che crea il territorio è il lavoro nel senso della parola tedesca "Handarbeit" ovvero "körperliche Arbeit" in opposizione a "Geistesarbeit" ovvero "geistige Arbeit" che crea il paesaggio :

"Die Handarbeit schafft die Dinge, von denen die theoretische Vernunft nur die "Erscheinung" betrachtet, und ist von andersartigem Realitätscharakter, als er jemals dem Erkenntnisobjekt zukommen kann"[2]. ("le travail de la main" crée les choses desquelles la raison théorique considère l'apparence et est d'un caractère de réalité différent lorsqu'il peut jamais parvenir à l'objet de connaissance)

Il territorio è creato dal lavoro che, in questo senso, è trascendente al concetto di paesaggio inventato dalla società per darsi una rappresentazione della natura antropizzata derivata dalle sue diverse attività :

"Landschaft ist immer Natur, wahrgenommen oder vorgestellt durch eine Optik von Ideen, Werten oder Normen, deren Ursprungsort im historischen Subjekt aufzusuchen ist"[3]. (Paysage est toujours nature, perçue ou représentée, à travers une optique d'idées, de valeurs et de normes dont l'origine est à chercher dans le sujet historique).

Non è per caso probabilmente che l'autore di queste righe ha messo in esergo alcune parole di Franz Kafka che scrive:

" Il paesaggio commuove la mia mente. È bello e deve essere contemplato. Siamo totalmente nel mondo dei sentimenti e delle sensazioni."

Il paesaggio è la manifestazione, per la ragione teorica, del territorio. Siamo davanti a un paradosso nella misura in cui il territorio è un'astrazione del reale di fronte al paesaggio che è un'astrazione del pensiero. Il territorio ha cominciato ad essere paesaggio quando ha cominciato ad essere pensato. Occorre fermarsi sull'espressione "essere pensato" nella quale risiede la distinzione tra territorio e paesaggio. Essere pensato significa che la realtà territoriale, come oggetto prodotto, è radicata in un sistema di rappresentazione formale nel quale i concetti scelti sono capaci, sotto una forma o un'altra, di costruire una nuova unità. Georg Simmel ha perfettamente espresso questo problema:

" La conscience doit avoir, au-delà des éléments, un nouvel ensemble, une nouvelle unité, non liés aux significations particulières des premiers ni composés de leur somme mécaniquement pour que commence le paysage"[4].

Per costruire questa unità, dobbiamo avere a disposizione un linguaggio, naturale o no, per scambiare la realtà materiale, quella del territorio, contro un'immagine prodotta dal meccanismo del linguaggio scelto. A differenza del territorio, il paesaggio non "fa ombra" perchè non è materiale. È tutto creato dal mondo delle sensazioni e dal mondo del logos  :

"Notre regard peut réunir les éléments du paysage en les groupant soit d'une façon soit d'une autre, il peut déplacer les accents parmi eux de bien des manières, ou encore faire varier le centre et les limites. Mais la figure de l'homme détermine par elle-même tout cela, elle effectue par ses propres forces la synthèse autour de son propre centre, et se ainsi délimite sans équivoque"[5].

L'origine dell'unità del paesaggio risiede in ciò che Simmel chiama la "Stimmung" che

"pénètre tous les détails de celui-ci, sans qu'on puisse rendre un seul d'entre eux responsable d'elle :chacun participe d'une mal définissable - mais elle n'existe pas plus extérieurement à ces rapports qu'elle ne se compose de leur somme"[6].

La Stimmung è molto importante nella misura in cui è il fattore che riunisce i pezzi in un paesaggio visto allora come un'unità. Stimmung e unità sono due aspetti di una sola cosa attraverso laquale l'anima dello spettatore costruisce il paesaggio. Come lo dice Simmel,

"De quel droit la Stimmung processus affectif exclusivement humain, vaut-elle pour une qualité de paysage, c'est-à-dire d'un complexe d'objets naturels inanimés ? Ce droit serait illusoire si le paysage, au vrai, consistait en une pareille juxtaposition d'arbres et de collines, d'eaux et de pierres. Or n'est-il pas déjà, lui aussi, une formation spirituelle ? On ne peut nulle part le tâter ou le fonder dans l'ordre purement extérieur, il ne vit que par la force unifiante de l'âme, comme un mélange étroit entre le donné empirique et notre créativité, mélange que ne saurait traduire aucune comparaison mécanique. En possèdant ainsi toute son objectivité comme paysage dans le ressort même de notre activité créatrice, la Stimmung, expression ou dynamique particulières de cette activité, a pleine objectivité en lui"[7].

La Stimmung significa dunque il "fondamentale" di tale paesaggio ma non il fondamentale di altri paesaggi; esso allora è la messa in forma unitaria di tutti gli elementi particolari riuniti in tutto ciò che è lo spettatore:

"L'artiste est juste celui qui accomplit cet acte de mise en forme par le voir et le sentir avec une telle énergie, qu'il va complètement absorber la substance donnée de la nature, et la recréer à neuf comme par lui-même; tandis que nous autres, nous restons davantage liés à cette substance, et en conséquence nous gardons toujours l'habitude de percevoir tel élément et tel autre, là où l'artiste en réalité ne voit et ne crée que le "paysage"[8].

Simmel ha perfettamente dismostrato ciò che Sohn-Rethel ha tentato di spiegare con l'aiuto del concetto di lavoro, "Handarbeit" e "Geistesarbeit" in una maniera filosofica, forse più precisa, nel senso che ha spostato il processo verso il lavoro. Lo spazio, o la natura se si preferisce, diventa territorio per effetto del lavoro, che si può definire come categoria antropologica nel senso del potere originale dell'uomo sulla materia, cioè un mediatore indipendente da ogni forma di società, essenziale all'esistenza dell'uomo nei suoi rapporti con la natura. Il lavoro è il mediatore degli scambi tra uomo e natura. Ogni ecosistema è il risultato della proiezione del lavoro umano nella natura offerta.

Questa relazione di tipo organico è il fondamento del valore d'uso che condiziona tutti gli altri tipi di valori. Senza il territorio e senza il suo valore d'uso l'idea stessa di paesaggio non può attuarsi poichè il concetto di paesaggio è un'astrazione come oggetto del pensiero. Fare il territorio ha un senso materiale, ma fare il paesaggio non ha un senso materiale perché, come abbiamo detto, il paesaggio è pensato come "disegno". Questa osservazione può sembrare essere un paradosso per l'architetto che "fa un paesaggio", ma in realtà non lo è nella misura in cui prima di costruire un paesaggio si prepara un progetto che non è ancora materiale. All'inizio del processo, l'architetto è nella situazione del pittore davanti al territorio nel quale  sceglie degli  elementi della realtà materiale per comporre il suo quadro. In quel momento, sta inventando il valore di scambio artistico tra il territorio posto davanti a lui e gli elementi costruiti dalla sua mente. Questo significa che il valore di scambio è differente per ogni artista, pittore, letterato o musicista, che tenta di fare una rappresentazione. In questo caso, il valore di scambio è un valore estetico che rinvia alle sensazioni e ai sentimenti. Questo valore di scambio per l'estetica è un giudizio di valore che non è stabile. Infatti, questo giudizio di valore è storico e il suo valore, per gli altri, ,può trasformarsi attraverso il tempo in maniera considerevole. Comunque sia l'arte, o la scienza, come scriveva Merleau-Ponty, manipola le cose e rinuncia ad abitarle[9]. È la grande diffenza tra il territorio che si abita e il paesaggio che si manipola. Il territorio riassume la totalità delle tracce della territorialità messa in movimento per soddisfare i bisogni umani, mentre il paesaggio come oggetto di pensiero ricapitola solo la parte superiore della piramide dei bisogni cioè quelli estetici dell' artista in generale:

"De même que le rôle du poète depuis la célèbre lettre du voyant consiste à écrire sous la dictée de ce qui se pense, ce qui s'articule en lui, le rôle du peintre est de cerner et de projeter ce qui se voit en lui"[10].

Ma si può dire la stessa cosa di tutti quelli che stanno rappresentando una realtà materiale sotto una forma astratta qualunque. Il paesaggio è oggetto della metafisica non della fisica. dobbiamo ricordare questa osservazione se non vogliamo introdurre una confusione pericolosa tra il territorio, di natura fisica, come luogo della territorialità, cioè degli scambi tra natura e lavoro umano (Handarbeit) e il paesaggio, di natura metafisica, come luogo degli scambi condizionati dal pensiero (Geistesarbeit).

 

La confusione tra territorio e paesaggio, ormai molto generale nelle scienze umane e forse anche nelle scienze naturali, è l'indice di un cambiamento del lavoro umano che non abbiamo preso sufficientemente in conto. Infatti, se ritorniamo alla composizione del lavoro - energia/informazione - constatiamo, nel corso della storia, che l'energia biologica dell'uomo ha giocato, mano a mano, un ruolo sempre più debole come l'ha mostrato Serge Moscovici. Il lavoro di riproduzione diventa sempre meno importante allorchè quello di invenzione impone sempre di piu la sua presenza. Questo fenomeno non significa, come l'ha troppo ripetuto Jeremy Rifkin e altri saggisti adepti del "prêt-à-penser", la scomparsa del lavoro ma la sua trasformazione. Il dramma che stiamo vivendo è quello della riduzione del lavoro di riproduzione ma non di quello d'invenzione che diventa sempre piu importante nelle nostra società. Naturalmente è una crisi terribile per quelli che sono stati formati per il lavoro di riproduzione e non per quello d'invenzione. Ancorchè, nella nuova economia informatizzata, il lavoro di messa in forma dei dati ha preso il posto del classico lavoro di riproduzione. Non è la cronaca annunziata della fine del lavoro ma piuttosto quella del suo cambiamento. La visione fatalista della fine del lavoro è, per fortuna, un'illusione perchè sta nascendo un tipo di lavoro di regolazione necessario per intrattenere gli ecosistemi umani e mantenerli in uno stato di funzionamento soddisfacente. L'esplorazione del campo della regolazione non è nuova ma sta diventando molto piu larga di una volta e dei bisogni di regolazione sconosciuti ieri appaiono oggi. Cosi un'altra maniera di considerare la conoscenza, e dunque il lavoro, è in marcia. La trasformazione del lavoro, per effetto della rivoluzione informatica, modifica l'uso della conoscenza che non è più' discriminativa ma integrativa per  risolvere i problemi che si presentano. Il cambiamento del lavoro è, infatti, la conseguenza della trasformazione dell' uso della conoscenza.

Ma dobbiamo ritornare alla confusione tra territorio e paesaggio. I vecchi territori rurali e industriali che abbiamo ereditati appartengono a una territorialità che non esiste più o che si è trasformata quasi completamente. Questi territori, quando erano ancora il prodotto dei sistemi di relazioni precedenti, non erano paesaggi per la gente che li abitava. Erano i territori dell'esistenza, i luoghi della vita quotidiana cioè quelli del lavoro nel senso tradizionale. Questi territori di una volta sono diventati paesaggi dopo la scomparsa delle territorialità precedenti. Ciò significa che, nella nostra società, un territorio diventa un paesaggio quando le relazioni che l'hanno creato stanno scomparendo. I resti di queste relazioni diventano oggetti di conoscenza che chiamiamo paesaggi. Il paesaggio dunque si costruisce su degli elementi del territorio che non hanno più un significato generale come testimonianze delle attività attuali ma come reminiscenze dei tempi passati. Il territorio diventa paesaggio, cioè immagini, al momento in cui i prodotti delle attività spariscono. Si può dire che il paesaggio nasce, per lo sguardo contemporaneo, quando la territorialità che ha creato il territorio si trasforma e non è più vivente nel mondo rurale o industriale. Il paesaggio è il prodotto mentale dello spostamento nel tempo dei resti di un territorio abbandonato. Le vigne della Valle d'Aosta sono dei resti particolari di un attività generale del passato e in questo senso diventano paesaggio del presente cioè sostegni della memoria utilizzati come simboli. Lo stesso meccanismo gioca per le officine  la cui attività è scomparsa. Si può sostenere che questi resti, in un certo senso"morti", alimentano la nostra nostalgia radicata nella storia di un quotidiano scomparso. Il paesaggio, per il momento, nella nostra cultura, è l'immagine di un territorio differito nel tempo. Il meccanismo è ancora più forte nelle vecchie città nelle quali si conservano solo le facciate dei palazzi che non hanno più la funzione di un volta. In questo caso siamo di fronte a uno scenario, a una messa in scena della nostra nostalgia che mi sembra pericolosa nella misura in cui queste facciate sono pure immagini materializzate.

Siamo davanti a un problema molto interessante perché la materializzazione del paesaggio, attraverso il restauro e la conservazione di un parte del territorio com'è nel catasto e di una parte dell'oggetto architettonico, apre la possibilità di un altro modello sul quale dobbiamo riflettere. Infatti, il territorio attuale è costruito per ambientare delle funzioni, delle attività, cioè le relazioni della territorialità odierna. Una volta, il territorio era il prodotto organico della vita quotidiana, non era pianificato come oggi. Non significa che non esistevano delle norme e delle regole ma voglio dire che il disegno non esisteva prima di fare il territorio. Esistevano delle pratiche la combinazione delle quali produceva un territorio. Oggi, il territorio è progettato, disegnato e pianificato.

Allora significa che il territorio prima di essere costruito è già un immagine. Ormai possiamo pensare il paesaggio e fare, in continuo, il territorio nel senso che partiamo dell'immagine. Al contrario del sistema classico nel quale un territorio diventava un paesaggio in una maniera differita. Oggi è possibile, a partire da un paesaggio disegnato,  realizzare il territorio. Si può dunque inventare il paesaggio nel quale vogliamo vivere e trasformalo in territorio. A questo punto, teoricamente, non avremmo più bisogno di distinguere il paesaggio dal territorio poiché l'invenzione del primo e la produzione del secondo sarebbero il risultato d'un processo continuo. Non è sicuramente necessario dire che siamo, ciononostante, assai lontano da questo processo molto teorico. È  un sogno  pericoloso dare alla società. nello stesso tempo il paesaggio e il territorio, cioè l'immagine disegnata e la cosa costruita.  Sogno perchè dare l'oggetto e la sua rappresentazione simultaneamente è come fare la carta del territorio alla scala 1/1. Non ha senso ! Con la rappresentazione di un oggetto, l'uomo si è data la libertà di fronte a questo oggetto di potere manipolarlo secondo la sua volontà ciò che non può fare con l'oggetto stesso.

 

Ma sul piano teorico questa confusione è molto preziosa perchè permette di porre il problema del valore in una maniera nuova. Infatti, se il paesaggio è anche il territorio significa che il valore del secondo determina il valore del primo e allora il paesaggio come immagine è un bene comune o pubblico e ormai la sua conservazione limita il diritto dei proprietari dei beni privati nel territorio se vogliono fare una modifica che ha un'effetto sul paesaggio come immagine pubblica. L'interesse privato entra in conflitto con l'interesse pubblico. Ciò non significa l'impossibilità di modificare qualcosa ma impedisce sicuramente di modificare sostanzialmente l'immagine che appartiene alla collettività. In questo senso, l'immagine del paesaggio ha un valore come sorgente dell'identità collettiva, come sostegno della memoria storica e come finalità etica e estetica. La questione etica si pone in termini di legittimità, allorchè l'estetica si pone in termini di giudizio di valore. Sono consapevole che questa confusione tra territorio e paesaggio è solo un'ipotesi di lavoro per dimostrare giustamente che, se non ha senso nella realtà, allora la confusione non deve farsi come si fa sempre di più in molte occasioni sul piano teorico. Il territorio costruito è l'oggetto originale, indispensabile alla creazione delle immagini o rappresentazioni del paesaggio. Il territorio si trasforma nel senso che i suoi elementi possono essere cambiati nel corso della storia e come parte del mondo materiale: non c'è spazio per parecchi territori sullo stesso posto. Certo, un territorio del passato può lasciare delle tracce, che appartengono all'archeologia ma non sono più visibili immediatamente. Il territorio è un palinsesto di cui possiamo ricostruire i diversi momenti e in questo lavoro di ricostruzione le rappresentazioni possono aiutarci benché tra il territorio e la sua rappresentazione ci siano delle differenze qualche volta considerevoli. È l'effetto dello sguardo che non è lo stesso a diversi momenti del tempo. Lo sguardo della piccola Lucy, tre milioni di anni fa, non era quello di Erodoto il quale non era quello di Petrarca che era ancora differente da quello di A. von Humboldt. Lo sguardo dipende dai mediatori a disposizione per capire l'oggetto. Manca ancora una teoria della mediazione per capire l'evoluzione dello sguardo.

Sul piano etico, legittimità dello sguardo, e sul piano estetico, giudizio di valore dello sguardo, il mediatore è la "moneta" che permette di scambiare il territorio in paesaggio. Il valore di scambio del paesaggio risiede nei mediatori. Altrimenti detto, gli elementi del territorio ritenuti nella rappresentazione del paesaggio sono condizionati dai mediatori del soggetto. È per questa ragione che lo stesso territorio può' dare nascita a diversi paesaggi come oggetto di conoscenza. Come i mediatori cambiano nel tempo gli oggetti rappresentati cambiano anche da un momento all'altro :

"L'atto del guardare, che solo apparentemente sembra un semplice movimento fisiologico, è stato investito dalla cultura antica e medievale di una notevole complessità simbolica, accresciuta nel corso dei secoli successivi e dalla metà dell'ottocento ad oggi dalle indagini dei fisiologi, degli psicologi, degli studiosi si scienze sociali ed umane, degli etologi e degli specialisti di cinesica e di prossemica"[11].

L'atto di guardare è solo in apparenza un semplice movimento fisiologico, in realtà è di una grande complessità nella misura di cui le dimensioni sono sopratutto ma non solo storiche e antropologiche. Parlare dello sguardo è fare appello all'evoluzione degli usi e delle pratiche dello sguardo. Si può sostenere che l'influenza del'ambiente fisico e sociale si riduce all'influenza degli usi e delle pratiche.

Se prendiamo l'esempio del giovane Hegel nelle Alpi, possiamo scoprire che il suo sguardo è condizionato dalla maniera di vedere la natura attraverso l'arte, maniera nata nel corso del settecento. All'inizio del settecento la montagna è ancora ignorata e non fa parte delle cose che si devono vedere:

"Les jeunes Anglais qui, ensortant de l'Université, accomplissent leur "grand tour", celui qui les conduit en Italie, traversent les Alpes le plus rapidement possible. Il n'est pas question de séjourner dans ces régions "hideuses"[12].

Hegel, al contrario fa il suo viaggio alla fine del settecento, ma i suoi mediatori sono quelli di Rousseau che non ammirava l'alta montagna. La montagna che provoca un'emozione da Hegel è quella delle praterie verdi e dei piccoli fiumi. Il valore di scambio dell'alta montagna è quasi nullo per Hegel :

"Mais pour l'habitant des plaines, l'étroitesse des vallées où les montagnes dérobent toute perspective a quelque chose d'étouffant, d'angoissant. Il aspire toujours à un espace plus vaste, plus étendu, alors que son regard se heurte sans cesse aux rochers [13].

Piu avanti Hegel scrive ancora :

"Nous avons vu aujourd'hui ces glaciers à une distance d'une demie heure, et leur vision ne présente rien d'intéressant"[14].

Malgrado questa osservazione è capace di correggere gli eccessi :

"Nous ne pouvions que nous étonner que M. Meiers ait fait une description aussi effrayante de ce chemin, alors que nous ne l'avions pas du tout trouvé escarpé ni ardu[15].

Hegel, in una certa maniera, è consapevole del gioco dei mediatori nella sua visione delle cose quando scrive :

"La description permet encore à l'imagination de dépeindre le tout si elle possède déjà des images analogues; mais une peinture, si elle est de dimension réduite, ne produira qu'une représentations insuffisante"[16].

La questione dello sguardo mediatizzato è al centro del paesaggio e difatti non è quasi mai preso in conto. A questo punto forse non è inutile analizzare rapidamente un geografo tedesco che, nell'età contemporanea, ha tentato di fornire gli elementi per dare una descrizione del paesaggio. Nell'introduzione al suo grande libro scrive :

"Die Landschaftskunde ist ein neuer Zweig der Erdkunde, der sich mit Gewalt endlich platz schafft, den Platz erobert, den er längst hätte einnehmen müssen; denn die Kenntnis des Raums und seines Inhalts ist ja notwendig, wenn man das Leben der Tierwelt und der Menschheit, ihr Dasein, ihre Entwicklung verstehen will"[17].(la science du paysage est un nouveau rameau de la géographie qui se crée enfin une place et se la conquiert qu'elle aurait dû introduire depuis longtemps si l'on veut comprendre la vie du monde animal et de l'humanité, leur être et leur développement).

Passarge, ottanta anni fa, ha dato un metodo per descrivere il paesaggio. Se seguiamo il suo modello sarà forse un perfetto esercizio per imparare ad osservare ma il risultato non sarà una descrizione di paesaggio significativa. Infatti c'è una grande differenza tra le cose da guardare e lo sguardo stesso. Tutto è sullo stesso piano e Passarge non sembra consapevole dal ruolo dei mediatori. Il suo metodo è solo un catalogo delle cose da guardare ma non dice niente sullo sguardo. Il suo metodo è l'espressione perfetta del totalitarismo dell'occhio, cioè del "l'occhio cieco" non guidato da una cultura, non identificato. Forse è l'occhio geografico che pensa esaurire la realtà. Questa tentazione è stata probabilmente lo scoglio sul quale la geografia si è quasi distrutta.

Allora come si può rifondare una geografia del paesaggio utile alla pianificazione, all'architettura, all'ambientalismo ? Si pone qui il problema del valore della descrizione paesaggistica della geografia, nel doppio senso del valore d'uso e del valore di scambio. Una scienza o una disciplina che non si pone il problema dell'utilità di ciò che produce corre grossi rischi di scomparire e di essere assorbita dalle altre. Sta succedendo alla geografia che, da lungo tempo, esporta meno di quanto importa. Il bilancio è diventato negativo perchè lo sguardo cieco non serve a niente se non a dare una immagine piatta e senza rilievo. Per farmi capire meglio dirò che la geografia come la concepiscono Passarge e alcuni altri non è nutrita da una "Weltanschauung" capace di restituire le conoscenze e le pratiche che hanno condizionato lo sguardo :

"…un paysage est une conception du monde - conception sentimentale et affective, conception intellectuelle ou philosophique, conception morale et religieuse. Il s'agit bien entendu du paysage peint, non du paysage naturel. Mais ce dernier nous intéresse aussi, quand ce ne serait que parce qu'il fournit au paysage peint sa matière, tout au moins son prétexte et son point de départ"[18].

Se ho scelto questo vecchio testo è per la ragione che è della stessa epoca di quello scientifico di Passarge. "Une conception du monde" significa in questo caso  il riassunto delle conoscenze e delle pratiche della società a un momento e in un luogo dati. Senza un'idea del genere il valore d'uso e dunque il valore di scambio sono deboli. Prenderò tre direzioni per analizzare il valore del paesaggio : la ragione, la memoria e l'immaginazione.


[1] Isola A.(1999), Violenza, ospitalità: il senso del paesaggio, in Il progetto di architettura, a cura di Paolo Portoghesi e Rolando Scarano, Newton & Compton editori, Roma 1999, p. 183.

[2] Alfred Sohn-Rethel, Geistige und körperliche Arbeit, VCH, Weinheim, 1989, p.1-2.

[3] Manfred Smuda, Vorwort, inLandschaft, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1986, p.8-9.

[4] Georg Simmel,La tragédie de la cultureet autres essais, Editions Rivages, Paris, 1988, p.229.

[5] Ibid. p. 237.

[6] Ibid. p. 239.

[7] Ibid. p. 241.

[8] Simmel, op. cit. p.243.

[9] Cf. Merleau-Ponty M., L'œil et l'esprit, Paris 1964, p.9. La science manipule les choses et renonce à les habiter.

[9] Merleau-Ponty, op. cit. p. 30, citation de Max Ernst.

[11] Angela Giallongo, L'avventura dello sguardo, Educazione e communicazione visiva nel Medioevo, Edizioni Dedalo, Bari, 1995, p. 8.

[12] Cf. l'introduction à GW:F. Hegel, Journal d'un voyagedans les Alpes bernoises (du 25 au 31 juillet 1796), Grenoble 1997, p.14

[13] Ibid. p. 43.

[14] Ibid. p. 57.

[15] Ibid. p. 60.

[16] Ibid. p. 66.

[17] Cf. Siegfried Passarge, Die Grundlagen der Landschaftskunde, ein Lehrbuch und seine Anleitung zu landschaftskundlicher Forschung und Darstellung, Hamburg. 1919.

[18] Fr. Paulhan, L'esthétique du paysage, Alcan, Paris, 1913, p.72.


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