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Estratto da AAVV WWF 2010 su “Le prospettive territoriali delle aree protette” (cap.10)

Estratto da AAVV WWF 2010 su “Le prospettive territoriali delle aree protette” (cap.10)

Roberto Gambino

 

 

3. Parchi e continuità ambientale: da Caracas a Barcellona

 

3.1. Una piattaforma stabile

Pochi mesi fa a Barcellona, aprendo il IV Congresso Mondiale per la Conservazione della Natura, davanti a 7500 delegati di 177 paesi, Julia Marton-Lefevre (Direttrice dell’Unione Mondiale della Natura: IUCN 2008) ha richiamato la drammatica attualità dell’impegno assunto 60 anni prima a Fontainebleau dai fondatori dell’Unione. Cambiamenti globali, crisi energetica, conflitti armati per l’uso delle risorse di base, persino la crescita degli investimenti in campo ambientale e dell’eco-business, sembrano indicare altrettanti punti di svolta e sollecitare ripensamenti delle tradizionali posizioni ambientaliste.

Qualche anno fa, a conclusione del V Congresso Mondiale dei Parchi a Durban (IUCN 2003) l’allora Direttore dell’Unione, Achim Steiner, indicava l’urgenza di uno shift in focus, uno spostamento d’attenzione, nelle politiche dei parchi, delle aree protette e della conservazione della natura. Anche allora, l’impegno ad incidere sul futuro sembrava porre in discussione l’efficacia e l’affidabilità dei paradigmi tradizionali.

Continuità e cambiamento si inseguono nella storia dell’IUCN. Se si leggono con attenzione I documenti relativialleprimeAssembleegeneralidell’Unione,neglianniè50,in un mondo uscito stremato dalla guerra e scosso da potenti spinte di riorganizzazione globale politica ed economica, non È difficile cogliere anticipazioni tematiche che dovevano trovare nei decenni successivi più maturi sviluppi, sia nei documenti dell’IUCN, sia in quelli di altri organismi internazionali (UNCED,1992).Ed È interessante notare che fin dalle prime affermazioni di principio l’attenzione per la conservazione della natura ñ che ovviamente costituisce l’asse portante del pensiero dell’Unione, ancora recentemente ribadito a Barcellona nei dibattiti sulla ridefinizione del concetto di area protetta ñ non si stacca dalle preoccupazioni per i problemi di sviluppo e di qualità della vita. L’idea che la protezione della natura costituisca non soltanto un limite allo sviluppo (come nelle elaborazioni degli anni 60 del Club di Roma: Meadows et al., 1972) ma la base di ogni autentico sviluppo, sembra affiorare ñ non senza ambiguità e contraddizioni ñ nelle riflessioni dell’IUCN fin dai primordi.

Il rapporto tra ecologia e sviluppo (anche in armonia con gli slogan dell’UNEP circa l’Economic Ecology e più in generale con la svolta ecologica degli anni sessanta ) prende rilievo già a Caracas, 1952, o a Edimburgo, 1956, ben prima del Rapporto Bruntland del 1987, grazie alla visione globale che caratterizza l’evoluzione del pensiero IUCN. In questa visione campeggiano problemi come quelli delle carestie, della scarsità d’acqua, dell’indigenza estrema e delle nuove forme di sfruttamento, prevaricazione e schiavitù, che in nessun modo potrebbero essere ignorati dalle politiche di conservazione della natura. Anzi sono proprio questi problemi a spostare il fuoco dell’attenzione da una visione euro-centrica quale quella che ha plasmato a lungo le concezioni dominanti dei parchi e delle aree protette - ad una visione eco-centrica, quale quella che si È progressivamente consolidata attraverso le General Assemblies (da Fontainebleau,1948,a Buenos Aires,1994) e poi i World Conservation Congress (daMontreal,1996,aBarcelona,2008).Il concetto di Ecospace, su cui si concentra nel 2000 il Congresso di Amman, riflette la convinzione che gli obiettivi della

conservazione non possono essere raggiunti all’interno dei con fini nazionali. Si afferma una sorta di grande utopia, che porta a sperare ñ nonostante tutto - in un peaceable kingdom, a place of harmony and compromise between ourselves and our natural environmentî (Kakabadse, 2000), scavalcando ogni barriera.

Non È questa la sede per una riflessione critica sulle politiche internazionali che contrastano questa utopia, disegnando traiettorie di sviluppo che vanno spesso in direzione del tutto opposta.

Ma sembra lecito riconoscere nella storia dell’IUCN un filo conduttore che collega le sue proposte e i suoi dibattiti alla maturazione globale della questione ambientale e dei suoi rapporti con le grandi questioni irrisolte della società contemporanea. Seguendo questo filo conduttore, i documenti prodotti dall’IUCN in 60 anni di attività e la sequenza delle assemblee e dei congressi mondiali promossi dall’Unione possono essere riguardati come momenti diversi di un discorso ininterrotto sul grande tema dei rapporti tra l’uomo e la natura, che ha consentito l’edificazione di una stabile piattaforma di idee. Questo discorso ricco di spunti che possono variamente ispirare un ampio spettro di politiche pubbliche largamente interconnesse, da quelle riguardanti l’uso delle risorse o la produzione energetica a quelle per gli sviluppi insediativi a quelle per l’educazione, l’informazione e la cultura. Se si concentra l’attenzione sulle politiche più direttamente concernenti i rapporti tra pianificazione e biodiversità, È possibile riconoscere alcune linee evolutive di particolare interesse come le seguenti.

 

3.2. Dalle isole alle reti

Una prima linea evolutiva riguarda i parchi e le aree protette, tema centrale nell’attività dell’IUCN che gli ha dedicato, in parallelo alle Assemblee e ai Congressi Mondiali sopra richiamati, una apposita serie di appuntamenti mondiali, da quello di Seattle del 1962 a quello di Durban del 2003. I 5 congressi mondiali sui parchi, distribuiti nell’arco di 40 anni, hanno scandito un processo di profondo cambiamento nei paradigmi della concezione, gestione e pianificazione, secondo l’analisi di Adrian Phillips, a lungo presidente della apposita Commissione WCPA (Phillips, 2002?). Un cambiamento che nell’arco di più di un secolo ha accentuato il distacco dal modello nordamericano, sia per quanto concerne la realtà dei parchi (sempre meno riferibili all’archetipo del santuario della natura al riparo da ogni influenza antropica) sia per quanto concerne le forme di tutela e di gestione e il ruolo in proposito delle comunità locali (sempre meno riducibile ad un sistema di comandi top-down). Cambiano, dal primo Congresso ai successivi, le raccomandazioni finali di ciascun Congresso, anche se quelle indicate dal primo, quello di Seattle (concernenti la conservazione degli ecosistemi, la definizione degli standard, i rischi e le minacce da fronteggiare, l’assistenza tecnica, i servizi interpretativi, le misure specifiche per la biodiversità, l’apporto della ricerca scientifica) non mancano di essere richiamate in quelli successivi. Già a Bali, 1982, si mette l’accento sul contributo delle aree protette e più in generale delle Risorse viventi allo sviluppo sostenibile, tema centrale della World Conservation Strategy che proprio nel 1980 viene lanciata dall’IUCN con UNEP e WWF. Il tema È poi ripreso a Caracas, 1992,a poca distanza dal grande meeting di Rio de Janeiro (UNCED,1992),approfondendo i rapporti delle politiche delle aree protette con i problemi del global change, della perdita di biodiversità, delle comunità locali e delle popolazioni indigene, dell’uso sostenibile delle risorse primarie, del cambiamento del ruolo dei gestori (da ì manager a ì regolatori).

Ma È forse soltanto a Durban, 2003, che il cambiamento di paradigma si profila in tutta la sua portata. Esso puÒ essere riassunto (Phillips, 2003) mettendo a confronto le concezioni con cui le aree protette erano viste e quelle con cui dovrebbero ora essere viste:

-pianificate e gestite contro le popolazioni locali - ora attivate con, per e talora da loro;

-governate centralmente - ora da molti partner;

-messe da parte per essere conservate- ora governate anche per scopi economici e sociali;

-pagate dal contribuente- ora pagate anche da altre fonti;

-gestite dagli scienziati e dagli esperti naturalisti- ora da esperti di varia competenza;

-gestite senza cura per le comunità locali- ora per venire incontro ai loro bisogni;

-sviluppate separatamente- ora pianificate nel quadro nazionale, regionale e internazionale;

-gestite come isole- ora come reti (aree di stretta protezione, buffer e connessioni verdi);

-istituite soprattutto per tutela scenica- ora spesso per scopi scientifici, economici e culturali;

-gestite principalmente per visitatori e turisti- ora con più riguardo per le popolazioni locali;

-gestite reattivamente per il breve termine- ora adattivamente e in prospettive di lungo termine;

-pensate per la protezione- ora anche per il restauro e la riabilitazione;

-viste principalmente come una risorsa nazionale- ora anche delle comunità locali;

-viste soltanto come un problema nazionale- ora anche internazionale;

-gestite in modo tecnocratico- ora sulla base di esplicite considerazioni politiche.

 

Il Congresso di Durban, fin dal titolo (Benefits beyond Boundaries), pone vigorosamente l’accento sulla necessità di superare l’insularizzazione delle aree protette, in senso ampio.

Soprattutto nel senso di estendere al di là dei loro confini le politiche di tutela (nessun parco è grande abbastanza da poter racchiudere nel suo perimetro efficaci politiche di conservazione della biodiversità) e nel senso di coinvolgere le popolazioni locali nelle azioni di valorizzazione, indipendentemente dai confini amministrativi. A sostegno di queste affermazioni convergono ragioni diverse, come i cambiamenti ambientali dei territori interessati ñ in particolare il progressivo aggravamento dei processi di frammentazione ecologica determinati dalla crescente espansione e dispersione degli insediamenti urbani e delle maglie infrastrutturali-oi cambiamenti sociali, economici e culturali ñ in particolare la crescente consapevolezza dei bisogni e dei diritti inviolabili delle comunità locali nella gestione delle risorse primarie. Questi cambiamenti sono resi più evidenti dalla stessa crescita, in numero ed estensione, delle aree protette, crescita che accentua le tensioni tra esigenze di conservazione della natura e spinte di sviluppo. Ciò è particolarmente evidente in Europa (dove la superficie protetta si È più che decuplicata nell’arco di un trentennio, ed ancora nell’ultimo decennio È cresciuta del 23%,impegnando ormai il 18% del territorio complessivo: Gambino et al. 2008); ma, in misure e forme diverse, riguarda tutto il pianeta. Il superamento della insularizzazione non comporta però soltanto un allargamento spaziale delle misure di protezione, come nel tradizionale concetto delle buffer zone o delle aree contigue, poste a riparo delle aree protette. Altre due strade vengono in evidenza.

La prima consiste nella pianificazione ecosistemica dei territori coinvolti, che prende in considerazione le unità ecosistemiche o le bioregioni interessate, indipendentemente dai perimetri delle aree protette (spesso delimitate in base a decisioni politico-amministrative scarsamente sorrette da motivazioni scientifiche).Al servizio di approcci ecosistemici, volti a contestualizzare adeguatamente le aree protette, viene chiamata anche la pianificazione paesistica, più spesso intesa come pianificazione a scala di paesaggio ,estesa ampiamente fuori dei perimetri delle aree protette, sulle aree terrestri o marine che le circondano. Si situa in questa logica l’attenzione (IUCN,2000) per le big pictures, per i grandi sistemi d’interesse regionale o interregionale, per lo scaling-up di molte tematiche ambientali.

Ma una seconda strada, concettualmente distinta, riguarda le reti di connessione, ossia i sistemi di relazioni ecologiche in cui le aree protette dovrebbero integrarsi, collegandosi (mediante opportuni corridoi o stepping stones) con altre risorse naturali con cui possono interagire indipendentemente dalla loro omogeneità e contiguità. Nella ricerca di politiche più efficaci per le aree protette irrompe quindi una logica reticolare che sostituisce od integra la logica areale finora dominante. Nonostante le critiche che da tempo hanno investito i fondamenti scientifici delle reti ecologiche (in primo luogo la possibilità di concepirle in funzione di protezione specie-specifica dei flussi di migrazione e dispersione realmente interessanti), sembra innegabile che la logica delle reti abbia intaccato profondamente il paradigma classico delle aree protette. Ciò è particolarmente visibile in Europa (basti pensare alle prime proposte per Eeconet, inizio anni 90, e alla Rete Natura 2000 e ad iniziative come il Progetto APE per la catena appenninica) ma trova riscontro anche in alcune grandi linee di connessione internazionali, come il corridoio delle Ande o dell’Amazon.

Anzi, si può osservare che soprattutto nell’ultimo decennio la logica reticolare esce dal campo strettamente biologico per assumere significati diversi, come quelli della fruizione paesistica o quelli dei legami storici e culturali (Gambino 2007?).

 

3.3. Dalla natura al paesaggio

Quest’ultima osservazione spinge a considerare una seconda linea evolutiva della filosofia IUCN, che riguarda i rapporti tra natura e cultura nelle concezioni e nelle politiche di conservazione. Rapporti non esenti da una certa ambiguità, fin dai documenti fondativi e soprattutto dalla World Conservation Strategy del 1980,la cui sfida centrale riguarda il contributo che la protezione dei sistemi viventi assume per lo sviluppo sostenibile. La sfida si precisa nel documento strategico del 1991 (Caring for the Earth, sempre di IUCN,UNEP,WWF),che prende le mosse dai principi per l’edificazione di una “società sostenibile”, per la cura e il rispetto delle comunità viventi, per il miglioramento progressivo della qualità della vita. Documenti e prese di posizione che tendono a dilatare le responsabilità della società contemporanea nei confronti del patrimonio naturale e culturale che ha ereditato e che deve trasmettere alle future generazioni, mettendo inevitabilmente in discussione la contrapposizione tra natura e cultura (tra l’ordine naturale e l’ordine razionale) che segna l’inizio dell’età moderna. Discussione che tuttavia non scalfisce l’attenzione prioritaria dell’IUCN per la natura e più precisamente per la biodiversità che la struttura.

In realtà, la storia dei parchi, da Yosemite e Yellowstone in avanti, riflette essa stessa una certa ambiguità, che ha variamente impregnato il dibattito e le riflessioni dei Congressi Mondiali IUCN. Essa nasce e si sviluppa, nella tradizione nordamericana, dall’intento dichiarato di celebrare la natura, dote fondativa del nuovo mondo; ma dà spazio crescente ai significati culturali

delle aree protette, nelle più diverse forme, dai paesaggi culturali, ai luoghi della memoria, ai monumenti naturali di precipuo valore simbolico e identitario. D’altronde la duplice missione assegnata ai parchi nel pensiero dei padri fondatori (conservation and public enjoyment, per F.L.Olmsted: Fein 1972) e la stessa filosofia di gestione sviluppata fin dai primi anni del 900 dal National Park Service americano (con l’importanza assegnata alle attività interpretative e all’organizzazione della fruizione), mescolano inevitabilmente natura e cultura nelle finalità dei parchi (Gambino, 2002).

Questa mescolanza assume contorni più precisi con riferimento ad alcune delle categorie di aree protette definite dall’IUCN (1994), segnatamente quella dei Paesaggi Protetti (Protected Landscapes/seascapes),il cui interesse deriva proprio da forme peculiari di interazione dell’azione antropica con le dinamiche naturali. Categoria che copre in Europa il 52% della superficie protetta (Gambino et al.2008),ma tende a diffondersi anche in altri continenti. Ma il riferimento al paesaggio come luogo d’incrocio di natura e cultura, che ha assunto una rilevanza centrale nel dibattito sulla classificazione delle aree protette ancora nel recente Congresso mondiale di Barcellona (IUCN, 2008), costringe a confrontarsi con altre concettualizzazioni, in particolare quelle maturate in seno all’UNESCO e al Consiglio d’Europa. Quanto all’UNESCO, non si può non constatare l’importanza assunta dalla categoria dei paesaggi culturali introdotta nel 1992 tra quelle dei siti eligibili nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità: l’inserimento nella Lista si basa sulla presenza di eccezionali valori universali e comporta uno screening estremamente selettivo (i siti attualmente inseriti nella Lista nel 2007 sono 878 in tutto il mondo, di cui il 20% naturali e il 77% culturali).

Ma se la logica con cui l’UNESCO seleziona i paesaggi di pregio non È molto distante da quella con cui l’IUCN classifica i “paesaggi protetti”, molto diversa È invece quella con cui i valori paesistici sono trattati dalla Convenzione Europea del Paesaggio, proposta nel 2000 dal Consiglio d’Europa e firmata da 45 paesi (CE,2000).Due aspetti soprattutto fanno la differenza: l’affermazione che tutto il territorio, e non solo singole aree, ha valenza paesistica; e quella secondo cui il paesaggio non È solo una componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, ma anche l’espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità. Se la prima affermazione è palesemente in sintonia con la linea evolutiva del pensiero IUCN sopra richiamata (dalle isole alle reti), la seconda trova anch’essa riscontro nei dibattiti recenti in seno all’IUCN, che spostano l’attenzione sul significato culturale del paesaggio (di ogni paesaggio),molto al di là di quel significato strettamente ecologico su cui la Landscape Ecology e i nuovi determinismi ad essa associati negli anni è50 e è60 avevano posto l’accento.

Capitolo X

 

3.4. Dai vincoli alla governance

Il richiamo alla Convenzione Europea del Paesaggio incrocia una terza linea evolutiva, che riguarda i sistemi di governo e di gestione posti in campo ai fini della conservazione della natura. Come nella Convenzione, così nei documenti enei dibattiti IUCN,il richiamo al paesaggio È infatti strettamente associato al ripensamento del ruolo delle popolazioni locali nei processi decisionali concernenti l’uso delle risorse e la gestione del territorio. E’ dalle loro percezioni, dalle loro attese e dalle loro scelte che si precisa il significato culturale del paesaggio. Ma il richiamo al paesaggio sembra assumere maggior concretezza in rapporto alle finalità IUCN, in quanto la stessa conservazione della natura dipende largamente dal supporto di quelle comunità che nel paesaggio vivono, usano le risorse e accumulano significative esperienze prendendo ogni giorno le scelte che lo riguardano (Borrini-Feyerabend, Philips 2008). Questa attenzione per i soggetti sociali, di cui le politiche di conservazione dovrebbero prendersi cura, non nasce dal nulla. Essa presuppone che le finalità generali della conservazione si misurino con le questioni globali economiche e sociali da cui la vita stessa delle comunità locali inesorabilmente dipende.

Questa esigenza È stata affermata come si È ricordato nel cap.1-fin dai primi atti dell’IUCN ed ha trovato piena espressione nel Congresso di Bangkok, 2004, e nel suo stesso titolo (People and Nature: only one World) che esplicitamente dichiara l’impossibilità di separare i bisogni e i problemi delle comunità umane da quelli del libero dispiegarsi delle dinamiche naturali. Più recentemente,nel Programma 209-2012 (Shaping a sustainable future),si ribadisce l’esigenza di “gestire gli ecosistemi per il benessere umano”. Ma già nei decenni precedenti, segnatamente nel Congresso di Montreal, 1996, queste affermazioni si collocano in una prospettiva cooperativa, che tende a ribaltare il tradizionale approccio top-down in favore di un approccio bottom-up, che sale dal basso. In questa prospettiva la cooperazione nella gestione delle risorse si configura come “la faccia emergente della conservazione”. Si fa strada l’idea che “la condivisione dei diritti e della responsabilità di gestione con una pluralità di portatori di interesse ñ in particolare le comunità locali - sia il modo più sicuro per conservare nel lungo termine le risorse naturali (IUCN, 1996).

Farsi carico delle comunità locali, in questa prospettiva, non risponde soltanto ad un cambiamento nella Gestione delle aree protette(i nuovi paradigmiîdelcap.2);risponde anche e in primo luogo all’esigenza di attuare, dentro e fuori delle aree protette, politiche di conservazione attiva più efficaci di quelle tradizionalmente basate sui vincoli e le limitazioni, e su apparati di comando e di controllo che si sono rivelati crescentemente inadeguati, sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. Di qui il crescente interesse, ribadito a Barcellona nel 2008, per i temi della governance; ossia per la ricerca di forme di gestione che favoriscano la coerenza, la convergenza e la sinergia tra le azioni che competono ai diversi soggetti operanti sul territorio, sia in senso verticale (dai poteri locali ai poteri globali), sia in senso orizzontale, tra le diverse politiche settoriali e tra i diversi saperi (compresi quelli incorporati nelle culture locali) che in vario modo incidono sui processi di trasformazione ambientale.

In questa ricerca si scontrano valori diversi, da quelli su cui si fondano le identità locali a quelli che rispondono ai principi universali dell’umanità. Gli atti dell’IUCN (in particolare i World Conservation Congress) hanno, nel corso di 60 anni, offerto un’arena in cui confrontare i diversi sistemi di valori, mettendone a nudo le ragioni e le implicazioni, al di là dei generici appelli al pubblico interesse, spesso intrinsecamente contraddittori, che hanno frequentemente inquinato il dibattito sulla questione ambientale. Ma i dibattiti e le riflessioni più recenti sembrano anche aprire uno spazio importante per il riconoscimento dei diritti che, ai diversi livelli e nei diversi campi d’interesse, dovrebbero trovare presidio e salvaguardia nelle strategie di conservazione della natura per la società contemporanea.

 

 

 

Bibliografia

-Borrini-Feyerabend G., Phillips A. 2008: : The landscape dynamic mosaic: embracing diversity, equity and change,Workshop, World Conservation Congress, Barcelona.

-CE (Consiglio d’Europa), 2000: Convenzione Europea del Paesaggio, Firenze.

-Fein A.(ed.), 1972: F.L. Olmsted and the American Environmental Tradition, Braziller, New York.

-Gambino R., 2002:ìParks Policies: a European Perspectiveî, Environments: a journal of interdisciplinary studies,Vol. 30, n.2,Toronto, Ontario.

-Gambino R., 2007:ìParchi, paesaggio, territorioî, in Parchi n.50, Federparchi, La grafica Nuova ,Torino.

-Gambino R., Talamo D., Thomasset F. (a cura di): Parchi d’Europa: verso una politica europea per le aree protette, ed. ETS, Pisa.

-Kakabadse Y., 2000:ìThe spirit of Ammanî, World Conservation Congress, IUCN, Amman.

-IUCN (Unione Mondiale della Natura):

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1a, 1948, Fontainebleau,

2a, 1950, Brussels,

3a, 1952, Caracas,

4a, 1954, Copenhagen,

5a, 1956, Edinburgh,

6a, 1958, Atene,

7a, 1960,Vasavia,

8a, 1963, Nairobi,

9a, 1966, Lucerna,

10a, 1969, New Delhi,

11a, 1972, Banff,Alberta,

12a, 1975, N’sele kinshasa,

13a, 1977, Geneve,

14a, 1978, Ashkhabad,

15a, 1981, Christchurch,

16a, 1984, Madrid,

17a, 1988, San JosÈ,

18a, 1990, Perth,

19a, 1994, Buenos Aires.

 

World Conservation Congress:

1∞, 1996, Montreal,

2∞, 2000, Amman,

3∞, 2004, Bangkok,

4∞, 2008, Barcelona.

 

World Park Congress:

1∞, 1962, Seattle,

2∞, 1972,Yellowstone,

3∞, 1982, Bali,

4∞, 1992, Caracas,

5∞, 2003, Durban.

 

-IUCN, UNEP,WWF, 1980: World Conservation Strategy, IUCN, Gland.

-IUCN, ENEP,WWF, 1991: Caring for the Earth, Sadag, Bellegarde-Valserine.

-Meadows D.H. et al., 1972: I limiti dello sviluppo, Club di Roma, Mondadori, Milano.

-Phillips A., 2003: Turning Ideas in their Head.The New Paradigm for Protected Areas, IUCN, Durban.

-UNCED (Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo), 1992: Convention on Biological Diversity, Rio de Janeiro.