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Il senso del luogo tardomoderno
Se nel passato l’identità c’era, era una certezza che bisognava scoprire, adesso è qualcosa di diverso, ora è necessario costruirla consapevolmente. Se nel passato il luogo era identitario e rappresentava una comunità; nel presente il luogo rappresenta un’opportunità, una sfida; il luogo è immaginazione, è progetto. Il luogo, nella sua declinazione tardomoderna di milieu, rappresenta una “posta in gioco” costituita dai nuovi valori potenzialmente universali della memoria e dell’ambiente, dal patrimonio territoriale ereditato, che offre l’opportunità di sperimentare la costruzione consapevole, parziale e incoerente di luoghi identitari.
Il luogo oggi è un’immagine a cui tendere, ma è anche un rischio esposto al fallimento. Lo spazio abitato ha assunto un valore del tutto nuovo nella tarda modernità. Il luogo tardomoderno non è un dato certo e naturale, connaturato all’esperienza della percezione e dell’azione collettiva della società locale; esso esiste dove viene visto, scorto, riconosciuto, esiste quando si ricostruisce una forma, anche parziale, di convivenza civile legata a processi di uso comune del territorio.[1]La presenza di luogo è quindi frammentata, ma necessaria. Il patrimonio territoriale ereditato dalla storia ha un ruolo importante nella definizione identitaria dei luoghi, ma la sua efficacia è sempre più legata alla continua interpretazione dei significati da parte dei soggetti agenti: il luogo non esiste di per sé, ma solo se viene riconosciuto dalla comunità che lo popola. La conseguenza è che il luogo assume un valore nuovo e inedito nella tarda modernità: laddove nel tempo dei ritmi lenti si stabiliva come mediatore di conoscenza operato inconsapevolmente, il luogo si afferma nel quadro della condizione contemporanea come mediatore consapevolmente ricercato di conoscenza: dunque come esito del progetto. Se nel passato quindi il luogo poteva considerarsi un “dato”, una condizione di provenienza, una certezza, nella contemporaneità, il luogo è un arrivo, è una condizione a cui tendere, è un progetto, è un’invenzione collettiva. Il luogo identitario tardomoderno è l’esito di un progetto. Il luogo è oggi una sfida.
Come si vede schematizzato nello schema I nel passato il luogo consolidava la propria esistenza in un lento processo di apprendimento ciclico, di osservazione diretta e di continua verifica dell’appropriatezza delle azioni territoriali, che sedimentava consuetudini, regole sapienti d’uso della risorsa ambientale, creava cioè un patrimonio locale di conoscenza diffusa, un codice genetico locale, una memoria attiva che si tramandava attraverso le pratiche di vita sociale. Nel passato la cura era connaturata al possesso del luogo in entrambe le sue declinazioni (disponibilità e proprietà di un bene). Ogni innovazione che proveniva dall’esterno veniva filtrata dal codice genetico che ne produceva un’interpretazione localizzata e sperimentava nel contesto. L’innovazione dopo essere stata sperimentata e aver avuto il tempo necessario per valutare l’efficacia diventata un’innovazione stabile, un atto territorializzante, che si inseriva coerentemente nel contesto originario, garantendo una stabilità dinamiche delle risorse ambientale e una coerenza evolutiva al testo paesistico.
Nello schema II si vede come le azioni degli attori sociali de-territorializzati - considerati tutti, esterni o interni, alla stregua di outsider in quanto non attivano nessuna pratica di cura nei confronti del luogo, ma unicamente di uso, proveniente da una consuetudine generale, a-contestuale, generino labilizzazione sociale, e quindi discontinuità nel tramandare le informazioni e usino le risorse ignorando i limiti imposti dal sistema ambientale, sedimentando inesperienza. Le innovazioni provenienti dall’esterno non vengono filtrate dal codice genetico locale e producono deterritorializzazione che si manifesta nell’incoerenza evolutiva del testo paesistico e nell’instabilità dinamica (e quindi sempre crescente) del sistema ambientale. Il protrarsi nel tempo di queste relazione genera la distruzione del codice genetico e costruisce non-luoghi.
Nella contemporaneità il luogo non esiste naturalmente, ma solo in frammenti dove si è consolidato un uso sapiente e consapevole delle risorse, dove delle isole di conoscenza attiva hanno occupato e prodotto territorio. La pratica della cura e della conoscenza del luogo scardina totalmente l’alternanza fra insider o outsider. Le categorie degli insider (gli interni alla società locale) o degli outsider (gli esterni alla società locale) risultano inefficaci rispetto all’individuazione della categoria di possesso tardomoderna non legata alla proprietà, ma al riconoscimento e all’uso comune e sapiente delle potenzialità (milieu). Gli insider (gli interni, quelli che risiedono da tempo in un luogo) possono essere de-localizzati, possono cioè non intessere nessuna relazione conoscitiva e attiva che rimetta in gioco le valenze di rappresentatività e di valore simbolico, mentre gli outsider (gli esterni, coloro che arrivano da fuori, da lontano, residenti da poco, o semplicemente imprenditori che non vivono nel luogo) possono interpretare vantaggiosamente le potenzialità locali. I committenti di una progettazione volta a ricostruire valore simbolico e rappresentativo nel territorio sono quindi quelli che potremmo definire care-taker, cioè i soggetti, residenti o meno, che agiscono secondo una logica localizzata. Si tratta di coloro che riconoscono i molteplici valori di un luogo, e per questo lo amano (sono disposti a creare con il luogo stesso una relazione densa di significato), e di conseguenza se ne prendono cura. Il luogo oggi esiste solo dove è curato, indipendentemente dal tipo di proprietà a cui è sottoposto: non sono gli insider o gli outsider che possiedono il luogo, ma solo chi lo cura, chi lo conosce, chi continuamente lo riproduce, interno o esterno alla comunità insediata.
Il luogo quindi assume un valore del tutto nuovo in una società esposta alle molteplici possibilità, al progressivo indebolimento del legame sociale, alla sublimazione delle esperienze conoscitive, alla globalizzazione delle geografie personali. La costruzione di una società futura aperta, ma consapevole, che ridefinisce una propria identità passa anche attraverso il saper usare le valenze simboliche e materiali del luogo per ricostruire legame sociale, per far tornare ad essere il luogo un “grembo che accoglie”. Il luogo in questa visione gioca un ruolo centrale e marginale al tempo stesso: è centrale come opportunità perché diventa il substrato su cui costruire un legame sociale, ma marginale perché il legame è limitato. Il possesso collettivo dato dalle pratiche di cura crea coesione sociale, ma non coinvolge la definizione esistenziale degli individui. Il luogo non definisce oggi una comunità solida con un’identità forte, in cui il territorio condiviso rappresenta l’oggetto simbolico dell’identità, esso rappresenta quella parte importante, ma parziale, dell’identità sociale condivisa.
La pianificazione si trova oggi impreparata di fronte a questo cambiamento repentino di scenario. Il progetto del territorio non è ipotizzabile infatti macchina burocratica” dei piani che ancora regola flussi settoriali (ambientali, di traffico, di merci), ma è invece un progetto, inevitabilmente complesso e complicato, che tenta di ricostruire le relazioni fra la società insediata ed il contesto di riferimento, finalizzato all’incremento di senso nella produzione materiale degli atti. Il progetto tardomoderno abbandona l’ottica della certezza che vuole sottoporre il territorio al controllo di uno sguardo unico, ma segue la frammentazione della ricostruzione spontanea dei luoghi.
Se da un lato è necessario porre dei limiti allo sfruttamento delle risorse ambientali dall’altro diventa centrale il ruolo delle forme di comunicazione sociale, che creano un senso del luogo condiviso, a partire però dall’introduzione nella dinamica sociale della presenza attiva e visibile dello spazio in comune. Si tratta di costruire lo scenario dove la recita della comunità progettante si attiva: uno scenario comune che racconta quello che sta intorno a chi non è più in grado di vedere perché il paesaggio è illeggibile, perché la velocità impedisce di guardare dietro le apparenze, perché tutti hanno dimenticato.
[1]Paba G., Luoghi comuni, Franco Angeli, Milano 1998.