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Il cartografo-biografo come attore della rappresentazione dello spazio in comune

Indice

Luogo, non-luogo, milieu

 

La prima figura, il non-luogo nasce all’interno di una nuova dimensione culturale che Marc Augé definisce surmoderna. La surmodernità, improntata al mito dell’eccesso, produce non luoghi che per contrasto con i luoghi sono non-identitari, non-relazionali, non-storici: le vie aeree, ferroviarie, aerospaziali, autostradali, gli abitacoli mobili (aerei, treni, auto), gli aeroporti, le stazioni ferroviarie e aerospaziali, le grandi catene alberghiere, le strutture per il tempo libero, i grandi spazi commerciali sono gli spazi in cui i caratteri dell’identità, della relazione e della storia sono assenti. Se nei luoghi quindi agisce un sociale organico (affetti, azioni, passioni, riconoscimenti) nei non luoghi agisce una fredda, passiva e solitaria contrattualità, mediata da oggetti inanimati (cartelli, voci registrate, immagini), che mantengono l’individuo nella più completa anomia e solitudine: le sale dell’aeroporto, le autostrade, le stazioni sono popolate da schermi, dalle scritte (non fumare, fare la fila qui, eccetera). Laddove il luogo antropologico narrava la propria identità e quelle degli abitanti attraverso delle tradizioni tramandate (le regole di comportamento, le conoscenze comuni, i punti di riferimento paesistici), il non luogo dice della comune condivisione della passività, della delega ad altri, del trovarsi nella condizione di passeggero, di cliente, di turista condotto da una parte all’altra senza poter decidere.[1]

La seconda figura quella dell’opportunità mette in campo il concetto di milieu, un concetto ambiguo, anche nella sua accezione comune significa al tempo stesso centro e intorno. [2] Malgrado o forse grazie a questa ambiguità, che risente da vicino della crisi identitaria contemporanea, il termine è divenuto d’uso corrente per definire un contesto fisico: non più semplicemente lieu, ma mi-lieu.

Lo spazio abitabile contemporaneo che il milieu interpreta non è più ascrivibile al dominio della certezza, non è più scontato che il contesto fisico in cui i soggetti conducono la propria esistenza produca un senso per chi lo abita e per chi lo osserva. Il milieu interpreta la condizione tardomoderna della fine della comunità naturale e l’avvento di una nuova forma di comunità elettiva che si struttura intorno ai termini della potenzialità, dell’interpretazione, dell’intenzionalità, della proiezione verso il futuro. Nel milieu, cioè, la relazione di possesso (affettiva, simbolica, storica, economica) fra ambiente naturale e ambiente sociale non è connaturata come nel luogo: la relazione è ora solo potenziale. Se nel luogo la relazione col contesto fisico è sottintesa, nel milieu è esplicitata: il milieu geografico nasce dall’incontro fra la società, lo spazio e la natura.[3] Il milieu è composto da una parte oggettiva, data dal patrimonio storico-ambientale ereditato e da una soggettiva, data dalla società locale. L’incontro fra i due termini non è però deterministico. Fra di essi si instaura una relazione biunivoca in cui il patrimonio offre delle potenzialità che la società locale può o meno interpretare secondo una traiettoria che, se tesa alla valorizzazione, mette in contatto il simbolico e l’oggettivo come per la trasformazione della materia in risorsa.[4]

Augustin Berque per esplicitare questo passaggio introduce il concetto di prise che traduce dall’inglese affordance.[5] La presa è simultaneamente oggettiva e soggettiva, la sua definizione si distanzia sia da un approccio meramente fenomenologico, secondo il quale l’esistenza di un oggetto è data unicamente dalla percezione soggettiva dell’oggetto stesso, sia da quello fisico per cui una cosa esiste anche aldilà dell’interpretazione. Il termine presa mette in campo l’interpretazione e il rischio del fallimento. Il termine risorsa scaturisce ancora da un approccio figlio dell’ottimismo scientista che prevede la possibilità generalizzata di uno sguardo universale che si posa su una materia e la trasforma in risorsa. La contemporaneità viceversa è aperta al rischio: il territorio offre delle potenzialità che forse potranno essere viste e bene utilizzate. Le prese, infatti, anche se sono reali non sono evidenti mai per tutti allo stesso modo, esse non possiedono l’universalità della cosa fisica.

La presa è invariante, ma di una consistenza variabile nella sua relazione col soggetto; è sostanziale, ma relativa. Le prese diventano evidenti solo se le caratteristiche specifiche di un contesto sono riconosciute; esse diventano evidenti quando la relazione col contesto è complessa, quando mette in campo valori affettivi e simbolici, quando cioè il soggetto è parte del contesto in modo da poterne cogliere intelligibilità[6]. Quando manca la capacità di afford non esiste il milieu. Il milieu non è dato, non esiste in assoluto. Ciò che è dato sono gli elementi caratterizzanti, le potenzialità invarianti costituite dal patrimonio territoriale, storico e ambientale, che possono o non possono venire riconosciute e valorizzate. Il milieu esiste solo se l’interazione con l’osservatore è in grado di cogliere le potenzialità. In breve quando il milieu torna ad essere luogo, quando cioè in situazioni particolari e per una stabilità anche minima esiste una identificazione fra contesto e società locale.

Nella tardomodernità l’identificazione non è data, ma scelta, desiderata, voluta. Nel milieu le potenzialità vengono interpretate alla luce del desiderio futuro, secondo una intenzionalità che guarda in avanti. Il milieu contiene anche ciò che potenzialmente ha da offrire e ciò che potenzialmente potrebbe diventare.[7] L’evoluzione del concetto di identità soggettiva e di luogo camminano quindi in parallelo: alla crisi dell’identità, così come l’abbiamo conosciuta, corrisponde la crisi del luogo. Nella prima modernità il luogo rappresentava l’insieme coerente, stabile nel tempo e strutturato di società locale e contesto fisico. Questa certezza oggi è saltata, contesti fisici e società locali generalmente non sono più un insieme solidale: tutto è più fluido, sfumato, cangiante. I luoghi si costruiscono in negativo: i non luoghi; oppure diventano un’opportunità per la società contemporanea di imparare a conoscere, per afferrare le potenzialità che il contesto offre e utilizzarle al meglio: il milieu.

 


[1] “Solo, ma simile agli altri, l’utente del nonluogo si trova con esso (o con le potenze che lo governano) in una relazione contrattuale. L’esistenza del contratto gli viene ricordata al momento opportuno (le modalità d’uso del nonluogo ne sono un elemento): il biglietto che ha comprato, il tagliando che dovrà presentare al pedaggio, o anche il carrello che spinge attraversando il supermercato ne sono il segno più o meno forte. Il contratto ha sempre rapporto con l’identità individuale di colui che lo sottoscrive (...) Lo spazio del nonluogo non crea né identità singola, né relazione, ma solitudine e similitudine. Esso non lascia spazio nemmeno alla storia, semmai la trasforma talora in elemento di spettacolo, il più delle volte in testi allusivi” Ivi pp. 93-95.

[2]Sul concetto di milieu si rimanda al libro di Francesca Governa, Il milieu urbano. L’identità teritoriale nei processi di sviluppo, FrancoAngeli, Milano, 1997. L’ambiguità etimologica del temine milieu è restituita dalla definizione che è possibile trovare in un qualsiasi dizionario di francese. Alla voce milieu del Dizionario Francese/Italiano, Italiano/Francese Zanichelli (1993) troviamo: 1) centro; 2) intorno, ambiente naturale e sociale; 3) mezzo nel senso di metà: stare nel mezzo; 4) mezzo nel senso strumentale del termine: per mezzo di. Pierre George definisce, mantenendo l’ambiguità del termine, nel Dizionario della Geografia il milieu geografico come: espace natural ou aménagé qui entoure un groupe humaine, sur lequel il agit, et dont les contraintes climatiques, biologiques, politiques, etc. retentissent sur le comportement et l’état de ce group evidenziando la relazione fra contesto naturale e sociale in termini possibilistici.

[3] Augustin Berque definisce il milieu come la relazione fra una società allo spazio e “relation d’une société à l’espace et à la nature” una relazione che al tempo stesso è “sensible et factuel, subjectif et objectif, phénoménal et physique” Berque A., Médiance de milieux en paysages, Géografiques Reclus, Montpellier, 1990, p. 9.

[4] Berque per definire il concetto di risorsa utilizza l’esempio del petrolio. Io vorrei citare Claude Raffestin che spiega bene il rapporto fra materia (natura) risorsa (cultura) nel suo lavoro, Per una geografia del potere, Unicopli, Milano, 1981 (ed. orig. 1981). Secondo Raffestin  “Una risorsa è un prodotto di una relazione. Ciò posto, non vi sono risorse naturali, ma solo materie naturali. (...) Senza intervento esterno una materia resta quello che è. Una risorsa, in compenso, in quanto “prodotto” può evolversi costantemente, poiché il numero delle proprietà correlato a delle classi di utilità può crescere” (p. 227).  Raffestin cita il caso del carbone. “Per lungo tempo il carbone per le società umane non è stato che una materia come le altre, che poteva forse maravigliare per il suo aspetto, ma senza alcun valore particolare  prima di essere integrato in una prassi. Poi, progressivamente più per caso che per scienza, si è scoperto “che cosa se ne poteva fare”. Vale a dire si sono inventate certe sue proprietà” (p. 226).

[5] To afford in inglese significa al tempo stesso: 1) permettersi, 2) offrire, 3) fornire. “C’est ce qu’un environement spéciphique fournit (affords) à un observateur qui peut (affords) le percevoir parce-que lui-même est spécifiquement adapté à cette environement. "Les affordances sont des propriété (de l’object) prises en référence à l’observateur. Elles ne sont ni phisique ni phénomenales"“. Berque A., Médiance de milieux en paysages op. cit., p. 102.

[6] Berque definisce le prese come delle “proprietés invariantes de l’object (...) bien qu’elles n’existent en tant que prises que dans et par une certaine relation. (...) Bref, ce sont des rèalités mésologiques: ni l’en-soi de la phisique, ni le pour-soi de la psycologie, mais l’avec-soi d’un potentiel qui se réalise dans la relation d’une société à l’espace et à la nature”. Ivi, p. 103 (sottolineato mio).

[7] Sia chi lo osserva sia chi lo costruisce “ne peut abstraire totalment ce qui est de ce qui devrait être: on ne peut pas distinguer absoluement le is du ought (comme eût dit Hume), le descriptif du prescriptif”. Berque A., Médiance de milieux en paysages, op. cit. p. 33.