Landscapefor Doc: una raccolta ordinata di materiali utili per il paesaggio attivo

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  • un repertorio di pratiche di gestione e partecipazione del paesaggio attivo
    nei contesti naturali, rurali ed urbani

  • un catalogo aperto di organizzazioni smart per i servizi territoriali e paesistici
    (trasporti, alimentazione, turismo, infanzia, tempo libero)

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Lunedì, 02 Marzo 2020 14:42

Ripensare il Turismo: l'opportunità del coronavirus

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A Seoul, terrorizzata dall’epidemia, strade deserte, 5000 persone si adunano per riuscire a entrare nel supermercato dove vendono mascherine a metà prezzo. Sfidano il contagio per risparmiare qualche dollaro nell’acquisto di un palliativo anticontagio che, come noto, non ha efficacia.

In Italia si bloccano i musei e i centri di ricerca dell’università, noti luoghi di assembramento, e si creano condizioni psicologiche per addensarsi nei supermercati, contendendosi l’ultima amuchina.

In attesa di un farmaco che riduca i comportamenti irrazionali dati dall’ansia di prestazione panica (l’unica vera malattia grave che ci sta assalendo, promossa molto più dai media che dai decisori, come prima o poi si dovrà dire), ragioniamo un po’ sugli effetti che questa bolla mediatica produce sui comportamenti della gente e segnatamente sul turismo.

In primo luogo emerge che fare i turisti non è assolutamente necessario. Se mezzo mondo disdice prenotazioni di viaggi pasquali o estivi o ha selezionato i paesi a rischio e si concentrerà su quelli esenti (al momento Africa, Sudsudamerica e Alaska, a quanto si sa) o pensa di stare quest’anno vicino a casa. Senza troppa sofferenza (anzi con sollievo dei pigri trascinati a viaggi inconsulti dai partner esagitati).

Poi salta fuori la componente pecoreccia del turismo. Per moltissimi il must è andare dove vanno gli altri, essere nel novero di quelli che hanno fatto quell’esperienza, che possono mettere quella bandierina sul planisfero. Anche qui la rinuncia non fa male se tutti fanno così. Anzi il contrario: attenti al lupo, il gregge sta nell’ovile.

D’altra parte si consuma il contrappasso della massificazione: la nave da crociera si trasforma in campo di concentramento, l’albergo diviene Hotspot dove tenere in quarantena tutti gli ospiti fuoristagione. L’unione non fa la forza ma la debolezza, il rischio.

Insomma anche se non ci avevamo ancora pensato, ora è palese: il turismo, ormai settore fondamentale della nostra economia, è imprevedibilmente assegnato agli umori e alle ansie diffuse per il mondo. La sua non-necessità e il conformismo delle masse che ne costituiscono il grosso lo rendono succube di ogni ossessione o isterismo si diffonda, che sia motivato o meno. E’ un settore ad alta instabilità, dove è facile arricchirsi cavalcando una moda ed è facile essere travolti da una fuga improvvisa: negli ultimi vent’anni in Italia gli attentati, i terremoti, per non parlare dei migranti, delle mafie. Ora l’epidemia.

Ma il turismo non è tutto crociere e prenotazioni a Natale. Anzi quel turismo, che fa grandi numeri e ha grandi crisi, viene da una domanda del tutto diversa da quella di chi si muove per conoscere i territori, per ottenere emozioni che maturano nel tempo, per rimanere abbastanza a lungo nei luoghi da prenderne il fascino. Chiamiamo turisti entrambi i tipi ma sono utenti così diversi da essere in qualche caso oggettivamente in contrasto: ormai fioccano le proteste per l’impossibilità di visitare a fondo un luogo senza essere disturbati. Ormai è chiaro che le proteste dei turisti stessi per le grandi navi nel bacino di S.Marco sono solo la punta di un iceberg molto consistente e diffuso di conflitto tra modalità diverse di visita.

Ora, pare cinico e polically incorrect, ma diciamocelo: noi promotori del turismo slow e di piccoli numeri, consapevole, responsabile, destagionalizzato, mirato, esperienziale, culturalmente approfondito, spalmato sul territorio, quando mai abbiamo avuto una pubblicità migliore di quella che circola in questi giorni?

Quando mai c’è capitato di poter dire a un ministro, del ministero che ha ricongiunto cultura e turismo: vedi, quel turismo massificato, ottuso, vulnerabile non deve essere al centro della nostra attenzione anche se fa ricche un po’ di compagnie multinazionali di viaggio, di crociera, di outlet a bordo e non, anche se fa i numeri da poter vantare nelle classifiche internazionali, anche se offre centinaia di migliaia di posti di lavoro a pizzaioli, camerieri e autisti di bus, anche se costituisce un gradito ammortizzatore sociale fondato sugli innumerevoli airbnb e b&b in nero. Vedi ministro, se noi ci fossimo costruiti un’immagine di turismo diffuso, di numeri piccoli ma dappertutto nelle nostre regioni, di visite slow & few, avremmo una molta maggiore resilienza di fronte ad eventi del genere, consentiremmo posti di lavoro e rendite da alloggi forse un po’ minori ma certo più duraturi, più sicuri e più integrati alle altre risorse dei territori.

Qui non si tratta di disprezzare quel turismo oggi in difficoltà, ma di considerarlo un settore produttivo come gli altri, che non deve essere al centro dell’attenzione di chi ha per missione di gestire la cultura e il turismo in quanto promosso dalla cultura del nostro paese.

Il MIBACT ha oggi un’occasione unica per distinguere il turismo da privilegiare perché coerente con la valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale del paese e con i modelli di sviluppo sostenibile più accreditati, separandolo dal turismo da regolare perché non solo impattante e costoso per i territori ospitati, ma fragile e insicuro per i posti di lavoro che offre.

Non è scandaloso provare a ragionare in questo modo per il turismo: lo stiamo cominciando a fare per le industrie manifatturiere (alla buon’ora!), che finalmente osiamo distinguere tra quelle che partecipano ad un modello di economia circolare, di produzioni green, di consumi sostenibili e quelle che invece pesano sul futuro dei nostri figli per inquinamento, insostenibilità, incremento del global warming.

Allora, come fa in un’economia ricca il vegetariano che si permette una dieta sostenibile scegliendo gli alimenti che preferisce in una offerta molto maggiore, permettiamoci di scegliere il turista che ci piace.

Non facciamo sconti a tutti, ma al contrario favoriamo il turista che non pesa sul territorio, che si comporta come un abitante, che è distribuito opportunamente, che individua visite fuori dagli itinerari classici, che pone attenzione alle persone e non solo alle cose.

Saranno meno, saranno la metà, ma quelli saranno i nostri amici, quelli che sul lungo periodo ci salveranno perché hanno capito che i nostri tesori li stanno salvando. Gli altri certo vengano, quando hanno smaltito la paura (e con la memoria da criceti che circola avverrà prima di quanto pensiamo), ma paghino quello che consumano, ci diano modo di compensare la loro impronta ecologica e culturale, contribuiscano largamente ai costi complessivi degli innumerevoli sanmarchi, colossei, uffizi e cinqueterre che stiamo mantenendo anche per loro.

E’ il momento magico per farlo: uno stop imprevisto da allarme epidemico consente di fare il punto e redistribuire costi e benefici del turismo, senza paura di perdere qualche milione di presenze per un anno o due pur di riuscire a far capire a chi viene l’entità del tesoro che può frequentare, il trattamento adeguato che quel tesoro pretende, il giusto costo da pagare.

Letto 3351 volte Ultima modifica il Lunedì, 02 Marzo 2020 15:19