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Landscape for Democracy

di Paolo Castelnovi, per il Convegno Uniscape Landscape and Democracy Oslo 4 giugno 2015

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1. Le dimensioni democratiche del paesaggio. Il Comune antico

Da tempo consideriamo le piazze italiane il teatro della democrazia comunale. La loro caratteristica, dice Louis Kahn, è la dimensione: quella che consente, a chi entra nella piazza, di riconoscere un amico che è situato all’altro lato. E’ il luogo che contiene quantità ridotte di persone, tali da consentire il confronto da pari a pari. La piazza comunale, come l’agorà della polis greca (dove prende significato il termine politica) è priva di vettorialità, è senza tribune o podi da cui “uno” parla al “popolo”, ma è il luogo dove si prendono decisioni comuni. Erano assemblee da cui sortivano decisioni che per lo più riguardavano la difesa e cura dei luoghi che si abitano, che erano contemporaneamente i centri di produzione e di riproduzione della comunità.

Non si trattava solo di prendere le armi per difendersi da invasori, ma anche di gestire al meglio il proprio territorio: dalla conduzione delle acque alla organizzazione agraria, fino a regole come il Bellosguardo, che hanno fatto memorabile il paesaggio toscano. Secondo la regola del Bellosguardo chi costruisce su un colle per godere della visuale sul colle di fronte deve migliorare con la sua costruzione il panorama di chi guarda dal colle di fronte. Fai per gli altri il paesaggio di cui vorresti godere tu: la traduzione paesaggistica della raccomandazione evangelica.

Dunque nella piazza italiana si condensa l’idea di Comune, che ancora oggi è il livello meno contestato del potere politico. La continuità attraverso i secoli del valore politico del termine comune è probabilmente connesso alla dimensione di esercizio della democrazia “diretta”, che non può strutturalmente superare l’ambito della conoscenza diretta dei problemi. E questo vale anche per la “presa in carico” del paesaggio. La dimensione del paesaggio che ciascuno di noi sente come proprio è limitata ad ambiti territoriali modesti, di poche decine di chilometri quadrati, oltre i quali il paesaggio non è più connesso ad un’esperienza complessa e diretta, ma diventa parziale, episodico, meno coinvolgente. Insomma normalmente siamo disponibili a prenderci responsabilità per il paesaggio che sentiamo come “nostro” perché ne abbiamo la “proprietà culturale”, pensiamo di essere tra coloro che l’hanno prodotto e lo stanno producendo. E questo sentimento mobilitante non si applica a territori estesi, ha confini abbastanza precisi, che dobbiamo esplorare e capire se vogliamo contare su un esercizio attivo della democrazia, in termini di assunzione di responsabilità e di cura collettiva.

2. Le dimensioni democratiche del paesaggio. Il Bene universale

Se l’etimo di Paysage porta a valorizzare il senso di identità, il lavoro per produrre i luoghi e l’impegno politico per gestirli, l’etimo di Landschaft introduce all’emozione del rapporto con la Natura, con la Terra (madre o aliena che sia).

All’opposto del senso di proprietà culturale del paesaggio, che corrisponde all’impegno di una comunità, sta l’individuo delle passeggiate di Jean Jacques Rousseau e degli sguardi stupefatti di Caspar David Friedrich.

L’illuminismo e il suo versante sentimentale, il romanticismo, scoprendo la bellezza della solitudine di fronte alla natura, costituiscono le basi per un manifesto del Paesaggio come Bene, come diritto universale al rapporto emozionante con i luoghi e le vedute.

Si vogliono valorizzare le qualità fondamentali dell’individuo, evidenziando le condizioni base da garantire per tutti, indipendentemente dalle declinazioni operative e dalle condizioni specifiche. Nell’elaborare il diritto al Paesaggio, epigono della dichiarazione dei diritti fondamentali, si mira a rendere disponibile a tutti la materia prima che il Paesaggio fornisce: l’accesso all’emozione, sia quella rassicurante del senso d’identità, sia quella esaltante del senso di esplorazione e di stupore di fronte all’alterità della natura.

Il valore universale dell’emozione attiene propriamente ai diritti dell’individuo, dipende da ciascuna personalità che per assunto è diversa da quella di ciascun altro. Quindi nel caso del diritto al Paesaggio, così come tratteggiato, cerchiamo di garantire un Bene universale e non tanto un Bene “comune”, se al termine “comune” associamo un impegno collettivo a decidere e a operare di conseguenza.

Oggi l’impegno per la democrazia fuori dalle istituzioni è concentrato nel garantire diritti generali o a far emergere forme di resistenza a cambiamenti imposti (dai movimenti di Occupy ai vari No…), piuttosto che ad assicurare le condizioni per esercitare il potere e gestire i cambiamenti.

3. Il Paesaggio per la difficile integrazione tra Bene e Comune

Riassumendo, la rivendicazione dei diritti è oggi l’azione che appare più coerente con l’essenza etica della Democrazia, anche se in altri momenti storici a Democrazia si è associato più l’esercizio collettivo del potere decisionale che non la legittimazione di diritti generali.

Il clima culturale e politico attuale inclina a premiare lo sforzo per assicurare il Paesaggio come Bene a cui tutti hanno diritto. La lezione della gestione Comune delle risorse, che i paesaggi storici ci testimoniano, rimane sullo sfondo. Cerchiamo di rendere disponibile il Bene Paesaggio ma non ci preoccupiamo delle condizioni culturali e operative perché questa disponibilità sia Comune.   Non diamo priorità alla componente progettuale e gestionale del paesaggio, ma piuttosto al diritto all’accesso, alla difesa dagli atti impropri che alterano i luoghi, alla conservazione delle situazioni di eccellenza.

Questo atteggiamento sottintende una considerazione del Paesaggio come sistema morfogenetico, capace di evolvere in equilibrio se non viene disturbato. Ma questa è una caratteristica che è propria della Natura, del Land, ma non dei Pays.   Il paesaggio è oggi sottoposto in ogni punto del continente a processi antropici, dove gli equilibri naturali vengono continuamente aiutati o contrastati da azioni sempre più incisive di singoli o di intere collettività. Il sistema Paesaggio in Europa non è oggi in condizioni di autonomia morfogenetica neppure se ci astenessimo per anni da ogni azione. Non si può che gestire il paesaggio in interazione continua con le strategie di azione antropica, ed è questa interazione che deve dipendere da un processo democratico di decisioni, perché attiene ad un Bene di tutti.

Dunque per il Paesaggio in Europa il Bene (di tutti) deve diventare Bene Comune. In altri termini la pratica democratica del paesaggio non deve riguardare solo il diritto all’accesso ma anche le modalità di decisione e di gestione. E’ una direzione di marcia che non riguarda solo il paesaggio ma tutti i beni comuni: in generale riguarda il senso attuale della democrazia.

Ma per i Beni comuni attualinon si può fare riferimento tout-court al modello del Comune medioevale o della Polis antica. Emerge con tutta evidenza il problema delle dimensioni. La battaglia della democrazia si è spostata in piazze diverse da quelle italiane: Tienanmen, Tahir sono nomi che evocano luoghi immensi, dove si misurano le forze e non le idee, le decine di migliaia e non i singoli. In questo cambio di dimensione emerge drammaticamente la fragilità delle “democrazie di massa”, il loro equilibrio instabile, che non consente di porre le basi per strategie sostenibili o la cura costante dei luoghi dell’abitare. Si devono provare e mettere a punto ponti tra le due dimensioni: rendere praticabile quel termine GLOCAL che ci aveva entusiasmato anni fa ma che non è mai diventato sussidiarietà organica e sistematica.

Diventa urgente per i valori fondanti della Democrazia sperimentare nuove forme di operatività comune, non solo nelle scelte progettuali ma nella gestione di processi duraturi. Occorrono nuove imprese verso obiettivi condivisi che consentano alle collettività di sentire come proprio un tempo e uno spazio comune.

Il Paesaggio si offre come terreno fertile per avviare strategie collettive per il Bene Comune. Nel rapporto necessario tra Landschaft e Paysage c’è già implicito lo sforzo per una strategia glocal.

Per ridare senso alla Democrazia si può far tesoro del residuo senso comune dei luoghi, del modello gestionale del passato rurale, della capacità di controllo attivo sugli interventi presente nelle città, che già oggi costituiscono competenze diffuse, capaci di aggregare su temi operativi comunità per altro latenti o disperse.

Ripartiamo dal Paesaggio per la Democrazia.