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Il paesaggio: da testo ad ipertesto

Indice

 

La metafora dell’ipertesto: un punto di partenza

 

Ricapitolando, abbiamo visto che la dimensione dell’ipertestualità si presta ottimamente ad illustrare alcune parole d’ordine della postmodernità: non-linearità, pluralità delle letture possibili, lettura “discreta” e decontestualizzata, indeterminazione, non-appartenenza, nomadismo e provvisorietà, inatteso... Abbiamo anche intuito alcuni rischi che l’adozione di questo contesto teorico comporta: accettazione “estetica” dell’esistente, privilegio accordato all’instabilità e al mutamento, attenzione rivolta ai flussi globali rispetto ai fenomeni locali, retoriche generalizzanti, nessun’àncora contro il disorientamento.

Possiamo scindere l’ipertestualità dall’uso retorico che se n’è fatto, e ricordare gli aspetti a noi più utili. Per prima cosa, essa invita a cercare un principio di lettura anche nell’apparente caos. Questo principio inoltre mette sullo stesso piano tutte le letture possibili, senza che alcuna sia privilegiata a priori, e significa anche che tutte le letture sono provvisorie. La democratizzazione dei punti di vista si accorda, mi pare, all’indebolimento della contrapposizione insider-outsider ma anche all’indebolimento della figura del pianificatore, attore fra gli altri. Adottare l’immagine dell’ipertesto significa non cercare il senso di appartenenza là dove esso è irreperibile, ma neanche il senso di possesso.

E se troppi sono i sensi possibili del testo, si può limitare l’attenzione al senso dell’orientamento. Orientarsi inteso come farsi un’idea complessiva dello spazio e della propria posizione in relazione ad esso (K.Lynch). Una delle funzioni del paesaggio è questa: un orientamento nello spazio non solo fisico, ma soprattutto culturale.