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Il paesaggio: da testo ad ipertesto

Indice

 

L’ipotesi “nomadica”: l’attribuzione di senso come navigazione

 

Se la prospettiva centrale era consona ad un osservatore statico che contemplava una “scena “ fuori da sè (Cosgrove, 1984) e il cinema ad un osservatore dinamico che attraversa il paesaggio cogliendone facce successive (Benjamin, 1969; cfr anche Derrida e Virilio), immergendosi ed emergendo da esso, il punto d’osservazione rappresentato dall’ipertesto è un punto qualsiasi.

Ma “La scomposizione, la decostruzione, la disgregazione delle cose nello spazio omogeneo della comunicazione totale hanno bisogno di trovare una struttura che li tenga, un “ritornello”, per usare un termine di Deleuze e Guattari, origine della territorializzazione, concetto che evoca immediatamente un ritorno delle misure del ritmo entro un andare continuo senza un inizio e senza una fine. Una continua ricentralizzazione entro un percorso lineare, un ritrovarsi delle cose in un centro che non è mai centripeto ma lineare” (Licata, 1996). “Secondo la logica nomade il territorio non è concepito come confine, come quantità di terreno da misurare e da difendere, ma come percorso, o meglio come concatenamento di percorsi” (ibid.).

Se l’ipertesto-paesaggio non ha una sintassi, una struttura lineare e narrativa, la concezione “nomadica” del territorio suggerisce dunque di cercare una struttura melodica.

L’attribuzione di senso ad un paesaggio potrebbe essere l’esito di un viaggio nomadico, di una navigazione ipertestuale, non coincidere con un’identità presunta da rinvenire, ma rivelarsi come esito dell’abbandono delle attese preconcette per lasciarsi sorprendere dall’inatteso.

“(...) l’idea di nomadismo (Illuminati 1992, Ilardi 1990) (...) affianca l’indebolimento di ogni riferimento stabile: il nomadismo tra i luoghi come quello “delle parole” esprime la volontà di disertare prospettive forti per abitare il mondo nella sua casualità, non pregiudicata da alcuna anticipazione di senso (Galimberti 1994). Nomadismo quindi come accettazione dello sradicamento, contrappeso inevitabile dell’“effervescenza” quotidiana della metropoli (Maffesoli 1993, Jenks 1989, Ilardi 1988), della sovrapposizione di molte città sociali nello stesso spazio (Ilardi 1990) e così via, (...)” (Bianchetti, 1995).

Lasciarsi affascinare dalla prospettiva nomade e dalle analogie tra navigazione e nomadismo porta però ad escludere altre modalità “esistenziali”: molti sono convinti, ad esempio, che la crescente domanda di paesaggio sia una domanda di radicamento. Se anche i nuovi nomadi fossero “l’avanguardia” di una società in trasformazione, è rischioso assolutizzare questa presunta tendenza (conviene ricordare, tra l’altro, che la mobilità fisica e culturale non appartiene allo stesso modo a tutti gli strati della società).

Come altre figure retoriche del postmoderno, il nomadismo tende a generalizzare, assurgendo ad unica linea di sviluppo della società. Meyrowitz, in un voluminoso saggio dal titolo No sense of place. The Impact of Electronic Media on Social Behaviour, sostiene che la società dell’era elettronica sarà straordinariamente simile alle società nomadi (Meyrowitz, 1985). P. Lévy lega nomadismo e sviluppo dei mezzi di comunicazione multimediali: “Il nomadismo odierno dipende principalmente dalla trasformazione continua e rapida dei paesaggi, scientifico, tecnico, economico, professionale, mentale... (...)Lo spazio del nuovo nomadismo non è né il territorio geografico, né quello delle istituzioni o degli stati, ma uno spazio invisibile delle conoscenze, dei saperi, delle potenzialità di pensiero in seno alle quali si dischiudono e mutano le qualità d’essere, le maniere di fare società. (...) Anche se voi raggiungeste l’immobilità, il paesaggio non smetterebbe di turbinarvi intorno, di penetrarvi, di trasformarvi dall’interno” (Lévy, 1996).