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Il paesaggio: da testo ad ipertesto

Indice

Il paesaggio: da testo ad ipertesto, nel caos, leggere testi a struttura non lineare, ipertesti e paesaggio: alcune analogie, l’ipotesi post-strutturalista: molteplicità e infinita ricentrabilità, l’ipotesi “nomadica”: l’attribuzione di senso come navigazione, il disorientamento nell’iperspazio, un’ipotesi pragmatica: ipertesti per la rappresentazione della conoscenza, la metafora dell’ipertesto: un punto di partenza.

Nel caos

La maggior parte delle definizioni di paesaggio pongono l’accento sulla sua complessità. Essa è di ordine materiale (paesaggio come “sistema di ecosistemi”) ma ancor più simbolica, quando lo si considera come supporto di processi di significazione (paesaggio come “sistema di segni”). Ci si perde allora nel labirinto delle letture possibili che scaturiscono dall’“ambiguità feconda” (Gambino, 1991) del concetto di paesaggio. La libertà di selezione e collezione di aspetti pertinenti per costruire infiniti discorsi sembra accomunare i normali fruitori, nell’atto della percezione, e i ricercatori, nell’atto dell’analisi.

La semiologia cerca di esplicitare i meccanismi in base ai quali avviene l’attribuzione di senso ad un testo; ne individua i segni e le regole di concatenazione, in base a codici socialmente costruiti e condivisi. Se questa operazione di analisi è difficile da condurre su qualsiasi paesaggio, esistono contesti fortemente antropizzati in cui una lettura condotta secondo codici tradizionali porta a riconoscere solo frammentazione di segni, “schizofrenia dei significanti” (Jameson, 1989), destrutturazione, disordine, in definitiva mancanza di senso e disorientamento.

Sono già state avanzate diverse spiegazioni di questa “illeggibilità”. E’ caduta la “legge di prossimità” (vicinanza= somiglianza, lontananza= diversità, o comunque vicinanza= relazione concettuale di qualche tipo): troviamo “tracce simili di ciascuna pratica abitativa depositate in luoghi distanti e tracce difformi lasciate in luoghi contigui.” (Boeri et al., 1993).

E’ cambiato il modo di produzione del paesaggio, l’insieme caotico è il risultato di una moltitudine di scelte razionali (o che aspirano ad esserlo); si sono moltiplicati i codici di lettura: se in passato era possibile ricondurre i punti di vista a quelli dell’insider e dell’outsider (Cosgrove, 1984), oggi bisogna tener presenti diverse tipologie di fruitori per lo stesso paesaggio: pendolari, immigrati, abitatori di seconde case... La pluralità dei sensi possibili sconfina nella virtualità.

Sono cambiate e moltiplicate anche le modalità percettive della fruizione, sempre più condizionata dalla dimensione tempo/velocità: prevale la modalità “attraversamento” - autostradale, ferroviario, aereo -, ma può anche capitare di saltare ogni passaggio intermedio infilandosi in una galleria per emergere in una nuova vallata, e poi di nuovo pochi secondi di buio per riemergere di fronte al mare, come in immagini video successive e virtualmente separate.

E’ cambiata la natura del testo ed è cambiata l’esperienza della lettura.

 

Gli atteggiamenti nei confronti di questi cambiamenti sono riconducibili ad alcuni tipi fondamentali:

  • il catastrofismo: disorientamento, carenza di senso, perdita d’identità, vuoti, perdita di centralità sono parole chiave che esprimono disagio e rifiuto delle trasformazioni globalizzanti; rischiano talvolta di sfociare in “localismi” intesi come nostalgica reinvenzione di un’identità “ristretta” coincidente con il locale ; esso però può anche essere inteso come nicchia, spazio dell’azione e della comprensione in un mondo in cui i meccanismi globali sfuggono al controllo del singolo.
  • l’accettazione dell’esistente, talvolta entusiastica: ricalcando certe estetiche contemporanee, si vuole leggere il paesaggio come collage o palinsesto caratterizzato da frammentazione, contrasti, tensioni, decontestualizzazione, destrutturazione, assenza di centri e di gerarchie, dove i valori guida sono straniamento, stupore, caducità, casualità, indeterminatezza, sradicamento e nomadismo. Questa esaltazione di alcuni fenomeni , in quanto estetica, trascura l’analisi dei rapporti di produzione che generano il “caos” e inibisce quindi la capacità di opposizione al sistema che lo genera.
  • l’accettazione del caos come oggetto d’indagine può essere più pragmatica, traducendosi in una ricerca di regolarità ed ordini latenti nel tentativo di superare il disorientamento e di ricondurre anche il caos a categorie comprensibili senza ridurne la complessità; si traggono dunque parole chiave dalla matematica del caos (attrattori, regolarità, traiettorie, mutazioni catastrofiche, sezioni), si trattano secondo una “logica debole” di “progettualità nell’incertezza” i cui valori e le cui parole chiave sono l’apertura all’inatteso, il riconoscimento delle logiche locali, l’auto-organizzazione, la ricomposizione...

 

Le posizioni qui schematizzate attraversano trasversalmente considerazioni sul paesaggio, il territorio, la città. In realtà vivono proprio dove questi confini sono difficili da tracciare, in situazioni problematiche descritte di volta in volta come territori della dispersione, città territoriale, Citylandscapes (Biegel) e che evidentemente obbligano a cercare nuove definizioni e nuove descrizioni. Se in questi contesti è arduo rintracciare le regole sintattiche del discorso paesistico, vorremmo sondare l’utilità di cambiare immagine di riferimento nell’analisi semiotica del paesaggio antropizzato, passando dalla metafora del testo alla metafora dell’ipertesto.

 


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