50 ANNI. ANCSA 1960-2010
Gubbio 2010
Intervento di apertura
1990 - 2010
Una premessa
Riprendere il filo di un racconto interrotto al 1990, trentennale dell’ANCSA, per tratteggiare l’attività dell’associazione e i mutamenti che ne hanno ridefinito l’identità negli ultimi venti anni non è immediato. La vicenda dell’ANCSA riflette le condizioni di un contesto politico, economico e sociale, prima ancora che culturale, molto complesso, con le scelte di governo che ne sono derivate relativamente alle città e al territorio.
L’associazione non ha mutato la propria sigla, né il suo organigramma; studiosi ed esperti dell’architettura, della città e del territorio, rappresentanti dei comuni e delle regioni hanno continuato ad esserne parte.
Né è mutata la struttura data fin dall’inizio ai seminari, convegni, congressi, ove alle analisi e alle proposte avanzate dai membri dell’ANCSA nelle relazioni introduttive, che hanno rispecchiato i temi ritenuti cogenti, seguono gli interventi degli interlocutori scelti per dibatterli.
Ma al di là di queste invarianti, l’itinerario percorso dall’associazione non si presenta lineare e univoco anche se alcune parole d’ordine si ripetono nel tempo, con i relativi discorsi.
Non è stato, quello degli ultimi decenni, il tempo degli obiettivi condivisi, delle grandi battaglie almeno in parte vinte, del confronto serrato con le istituzioni, delle posizioni accolte dalla comunità scientifica, riconosciute dalle amministrazioni locali e dall’opinione pubblica. I temi della salvaguardia delle città e dell’architettura minore, le questioni emerse prepotentemente dalla società negli anni ’70 – il diritto al centro storico e alla città -, interpretate dalla cultura urbanistica, dell’architettura, della tutela, e sintetizzate nella locuzione centro storico come bene economico destinato a una fruizione sociale più ampia possibile, hanno mutato natura e carattere.
Gli obiettivi iniziali sanciti dalla “Carta di Gubbio” del 1960 e riflessi nell’acronimo ANCSA, già riveduti negli anni ’70 e ’80, hanno richiesto un continuo riesame e una nuova ricerca di significati di volta in volta congruenti con un quadro generale in mutamento1. Il minore coinvolgimento degli enti locali, la partecipazione limitata delle istituzioni, hanno significato anche uno scarso riscontro delle proposte dell’associazione sul piano dei provvedimenti legislativi e finanziari, e più in generale nelle politiche promosse a livello nazionale.
L’estensione del campo di interesse alla città esistente e al territorio storico si è scontrata con una politica delle risorse territoriali pressoché rovesciata rispetto ai fondamenti e alle finalità dell’associazione, che si è via via confrontata con processi insediativi inediti nelle quantità e nelle forme, con gli esiti dei processi di globalizzazione che hanno investito anche il suolo e l’economia del nostro paese.
Se il ruolo di promozione culturale e l’impegno civile dell’ANCSA non sono mutati, si è manifestata tuttavia la necessità di costruire nuove strategie interpretative e nuovi strumenti di lavoro.
In tal senso, la elaborazione di documenti di indirizzo - dichiarazioni, carte - ha avuto lo scopo di aggiornare e adeguare la “carta costituzionale” scaturita dal primo convegno di Gubbio, nel 1960.
La apertura sempre maggiore all’Europa e al dibattito internazionale ha conferito una dimensione più ampia e significativa alle tematiche e alle pratiche dell’intervento sull’esistente. Attraverso le edizioni successive del Premio Gubbio e l’istituzione al suo interno, nel 1993, della sezione Europea del premio, l’associazione ha inteso estendere il proprio osservatorio, che più di recente ha compreso alcuni paesi dell’America latina, per restituire una panoramica di esperienze, di ricerche, di casi di studio e di intervento di grande interesse.
Sulla base di questa ricerca, rappresentativa di linee strategiche e di intervento innovative, si è svolto negli ultimi venti anni il lavoro dell’ANCSA e sono maturate le scelte di carattere generale.
La riqualificazone urbana negli anni ‘90
Sul sito dell’ANCSA si legge: “In questo decennio il centro storico vede esaurirsi il suo paradigma classico, ossia luogo da preservare dall'"intrusione" dello sviluppo industriale, a favore di un nuovo paradigma che lo vede come luogo di stabilità e di connessione di fronte alla grande variabilità di ordine fisico e sociale. Nella grande mutazione che stiamo assistendo il centro storico viene letto come luogo di stabilità e di mediazione verso le tante culture che oggi investono la città, e, nello stesso tempo, come luogo capace di tessere nuove relazioni con la molteplicità di spazi e di soggetti che caratterizzano il territorio..
…indubbiamente il fenomeno più immediatamente leggibile nelle nostre città è il cambiamento di ordine sociale dettato da una serie di fenomeni: i nuovi flussi migratori, la stazionarietà dei tassi demografici delle popolazioni 'storiche', la polarizzazione della ricchezza, la crescita della disoccupazione, la crisi dello stato sociale.
Un sistema di variabili che sta cambiando la natura delle nostre città: i flussi dei nomadi ormai sopravanzano la quantità di cittadini che vivono stabilmente in un luogo, emerge l'eterno problema della convivenza e della tolleranza, è sempre più difficile in queste condizioni applicare le regole mutuate dal connubio fra pianificazione orientativa e stato sociale.
Sono alcuni tratti del mutamento sociale e fisico che ha investito i territori dell’Europa occidentale.
Il decennio è iniziato per l’ANCSA come un’occasione di celebrazione e di bilanci. Scorrendo la sequenza dei convegni e dei seminari, si può notare come la locuzione “centri storici” fosse già assente dai titoli delle maggiori iniziative promosse negli anni ’80. A trent’anni dalla fondazione, l’associazione si misura con le nuove dimensioni assunte dalle tematiche dell’intervento sull’esistente.
La ricerca di un contesto operativo aggiornato ha comportato a sua volta la transizione dal concetto di recupero a quello, anch’esso assai fortunato, di riqualificazione. Primario oggetto delle ricerche e delle proposte dell’associazione è stata la città esistente, nel suo divenire complesso.
La difesa dell’area urbana di più antica sedimentazione dall’aggressione di un “nuovo” percepito come totalmente altro dal punto di vista tecnologico e formale appartiene a una stagione lontana. Il centro storico è ancora il luogo che conserva nella configurazione, nell’assetto topografico e nel costruito le fondamenta e le radici della cultura urbana, ma la struttura sociale e gli usi dei manufatti e degli spazi pubblici sono in gran parte mutati, e si mostrano diversificati da città a città.
Sono profondamente mutate anche le relazioni del centro storico con l’ambiente costruito. Le modificazioni intervenute all’interno e al contorno del nucleo centrale hanno reso indefiniti i confini con la città contemporanea, e hanno proposto in altre forme i termini dell’equazione centro storico/identità urbana.
Il convegno “Un contributo italiano alla riqualificazione della città esistente” (1990) sottopone al dibattito la proposta di una nuova “Carta di Gubbio”2, mentre la constatazione del fallimento dell’ipotesi dell’intervento pubblico nelle scelte della pianificazione urbana e territoriale conduce alla stagione delle strategie partecipate di governo del territorio.
Oltre il centro storico, le proposizioni destinate a indirizzare le politiche delle amministrazioni locali riguardano il “territorio storico”, il paesaggio ereditato dalle generazioni precedenti e modificato in tempi recenti, fino all’attualità. Il Centro Storico è dunque “l’area ove si sono concentrati, in ogni città europea, i valori della civitas e dell’urbs, costituisce al tempo stesso il nodo di una struttura insediativa più ampia. Tale struttura, interpretata nel suo secolare processo di formazione, deve essere oggi riguardata come “territorio storico”, espressione complessiva dell’identità culturale e soggetto quindi in tutte le sue parti (città esistente e periferia, paesaggi edificati e territorio rurale) di un’organica strategia di intervento”.
Come avrebbe scritto Roberto Gambino anni dopo, questa affermazione costituiva il punto d’arrivo di un processo che aveva gradatamente esteso il significato di patrimonio dai monumenti e dai beni culturali alla città storica e ai sistemi culturali territoriali, dilatando il senso e il campo dell’opzione conservativa, sempre più fondata sul progetto percepito come il luogo privilegiato di produzione dei nuovi valori della società contemporanea.
La carta, che rimane un documento aperto, rappresenta l’atto di rifondazione dell’associazione. Due anni dopo, il tema verrà riproposto a Bergamo nel Seminario “La nuova città esistente. Oltre la Carta di Gubbio 1990”.
Nel corso degli anni ‘90 l’ANCSA promuove un’intensa attività volta alla definizione del “progetto per la città esistente”. I limiti della città, le sue relazioni con il contesto territoriale, con nuove forme dell’abitare, con l’estendersi della cosiddetta città diffusa costituiscono l’oggetto della riflessione, che accoglie le questioni poste dall’insediamento delle nuove componenti sociali nel territorio. Il ruolo del centro storico appare essenziale nel progetto di ri-composizione della città, nel lavoro che accomuna le discipline del progetto di architettura e di urbanistica avvicinandole agli attori del processo di pianificazione. “Il territorio storico e la nuova città esistente” (Venezia, 1994), “Dimensioni, forme, strategie del progetto” (Gubbio, 1994), sono i titoli degli incontri che si svolgono nelle città storicamente partecipi della vita dell’associazione. A discutere le tematiche introdotte dai membri dell’ANCSA sono presenti soprattutto architetti e urbanisti.
Le componenti innovative del progetto, alle diverse scale, rappresentano una base importante per la elaborazione di indirizzi strategici e operativi. L’ANCSA si propone di ricercarne gli elementi nelle esperienze più significative prodotte dalle amministrazioni pubbliche, dagli operatori privati, dalle università (tesi di laurea e di dottorato), in Italia e all’estero. Il “Premio Gubbio”, istituito nel 1990, rappresenterà il luogo di confronto tra studi, progetti e realizzazioni che meglio interpretano gli orientamenti dell’ANCSA, rendendo così evidente il significato della “riqualificazione” dei contesti urbani e territoriali.
Introducendo la seconda edizione del Premio (1993) il presidente dell’ANCSA, Bruno Gabrielli, chiarisce le ragioni della istituzione di una sezione estera, mirata a rafforzare l’apertura internazionale dell’associazione e le motivazioni del premio assegnato ad Alvaro Siza per il “Plano para a Reconstrução do Chiado”, dopo l’incendio che aveva devastato l’area interna al centro storico di Lisbona: “l'ANCSA ha inteso indicare a coloro che si occupano di recupero e di riqualificazione urbana dove rivolgere l'attenzione: all'Europa che è la realtà cui rapportarsi, il termine di confronto e la palestra per la nostra supponente cultura urbanistico-architettonica, una Europa che pratica poca teoria e mira a realizzazioni concrete. Con questo non voglio affermare che l'esercitazione teorica sia negativa, ciò che lamentiamo - sordità e insensibilità della Pubblica Amministrazione, gabbie normative, incapacità decisionale e programmatica - non si presta a scuse e non verrà mai rimossa se continueremo a lamentarcene "chiamandoci fuori". […] il Premio Europeo non vuole essere una presuntuosa prova di forza (che l'ANCSA non potrebbe davvero permettersi), bensì un'apertura verso una realtà della quale ci aspettiamo utili ritorni per rinnovare i nostri strumenti.
Il premio a Lisbona e ad Alvaro Siza Vieira rappresenta un atto di fiducia nella progettualità del recupero e una risposta alla cultura dell'emergenza: in quel caso si è riusciti a tramutare, in un arco di tempo brevissimo, un evento disastroso in una grande occasione per il progetto di architettura.
In questa occasione, anche il Premio Nazionale ha assunto analogo significato. Il riconoscimento assegnato al Comune di Pisa e a Carmassi rappresenta un ulteriore atto di fiducia; sta a significare che una cultura locale può essere felicemente stimolata e diventare fonte di insegnamento e di guida per il progetto urbano assumendo, come è già successo nel passato, una valenza internazionale”.
Per quanto riguarda la ricerca universitaria, infine, “I Premi per Tesi di Laurea e di Dottorato di Ricerca portano più lontano il progetto dell'ANCSA: ci si interroga sullo stato dell'arte andando a osservare la ricerca nei luoghi della formazione culturale, un'occasione per meditare sugli strumenti che possediamo e su come formiamo le giovani generazioni sui temi cruciali del nostro paese. Un test straordinario di oltre un centinaio di lavori che testimonia il livello raggiunto dalla cultura del recupero e della riqualificazione in Italia… considero questa opportunità come una grande occasione per interrogarci e capire cosa occorra fare. Con queste iniziative, l'ANCSA continua a esercitare la sua funzione di stimolo critico e di rilancio del dibattito”.
Il Premio è anche occasione per riprendere e rilanciare i temi proposti per le 3 sezioni (Europea, Nazionale, Nazionale per tesi di laurea, dottorato, specializzazione) sia in forma di dibattito, sia proponendo in mostra i progetti selezionati. La produzione di conoscenze e le diverse modalità di approccio all’intervento nel rapporto esistente/nuovo danno luogo a un circolo virtuoso: se si accosta la sequenza dei progetti vincitori all’elenco dei convegni e seminari promossi dall’associazione, risulta evidente l’intreccio tra i temi del Premio, i contenuti dei progetti selezionati e le questioni che l’osservatorio ANCSA ha percepito di maggiore interesse e attualità.
Sulla demolizione
Nell’elenco delle attività dell’ANCSA il Seminario dedicato al tema della demolizione rappresenta il messaggio più radicale fatto proprio dall’associazione. Alla metà degli anni ’90, esso appare come una ‘rivoluzione copernicana’, se dalla salvaguardia (sinonimo di tutela, di protezione) del centro storico si è approdati alla demolizione quale necessario passaggio alla riqualificazione urbana.
“Il progetto della demolizione/La demolizione nel progetto” (Roma, giugno 1995) – titolo iniziale del seminario - non irrompe sulla scena in modo imprevisto. A fine anni ’80, a Palermo, l’ANCSA aveva presentato la demolizione come strumento del ripristino di luoghi urbani fortemente alterati e degradati, una sorta di “restauro ambientale” memore forse delle tecniche del “diradamento” giovannoniane, destinato a risanare la città degli abusi e quella in abbandono. L’anno dopo (1990), a Gubbio, la mostra “Italia da demolire” aveva proposto una sorta di esercizio di caccia all’errore/orrore urbanistico-edilizio, rievocazione dei vandalismi alla Cederna da un lato, evidente citazione, dall’altro, dai piani contemporanei alla nascita dell’ANCSA e redatti (1954-57) da uno dei suoi padri fondatori, Giovanni Astengo. Per indicare gli edifici percepiti in violento “contrasto con l’ambiente”, costituito ad Assisi dal tessuto di origine medievale, Astengo aveva usato un retino giallo, colore simbolo della demolizione (come tale presente nei progetti destinati all’approvazione delle Soprintendenze). In modo non troppo dissimile era presentato, a distanza di trent’anni, il test proposto dall’ANCSA quale primo invito alla sottrazione.
Il dibattito che si svolge a Roma nel ‘95, promosso da Antonino Terranova e Paola Falini e pubblicato con il titolo Il progetto della sottrazione3 è intenso e serrato, e coinvolge, tra diversi studiosi, un ampio gruppo di docenti di progettazione architettonica di scuola romana: “dopo aver oscillato tra le due definizioni [demolizione o sottrazione], il convegno sembra aver scelto di optare per la ‘sottrazione’, forse per non apparire troppo nichilista, forse per orientare la discussione sull’attualità del ‘metodo progettuale’ identificato nel caso di Venisseux [demolizione di otto torri del quartiere ‘Democrazia’, nei sobborghi di Lione]… L’impressione è quella che si cerchi di restituire alla pianificazione urbana una centralità che è ormai in crisi, solo che sia disposta ad adattarsi all’idea di operare per de-costruzione piuttosto che per costruzione”, commenta Pippo Ciorra4.
La ‘manomissione del titolo’ ha spostato, secondo Gabrielli, l’obiettivo del confronto dall’ambito “civile” a quello “culturale”, dal momento che, mentre “per sottrarre occorre esplorare, per demolire è sufficiente decidere…”. Analogamente carica di ambiguità rispetto alla sottrazione “[la demolizione] è di natura ‘politica’, non solo per il favore/disfavore che ha avuto nella storia, ma per la sua natura decisionale, per l’imbarazzo che crea nella nostra coscienza, per il timore di sbagliare in modo non reversibile… Se sottrarre è opera di architetto, demolire è - può essere - opera da urbanista”: una nuova figura ancora da costruire che, per Gabrielli, può essere esemplata su quella dello stratega, portatore di competenze molteplici esercitate con grande responsabilità civile. A sua volta, “il piano di demolizione coincide con la costruzione di una strategia complessiva che sia garanzia di riqualificazione, piuttosto che di mera e redditizia sostituzione”5.
Un esempio, in tal senso, potrebbe essere quello portato da Renato Nicolini, che interpreta la de-costruzione dell’area Italsider di Bagnoli, pensata da Vezio De Lucia, in continuità con la proposta fatta un secolo prima da Lamont Young per lo stesso luogo, occupato poi dalle acciaierie. Il nuovo progetto per Bagnoli, evitandone le derive utopistiche, ha previsto una riconversione aperta all’investimento pubblico e privato e rappresenta per questo una scelta innovativa che fa apparire “irritante l’insistenza di qualcuno per cancellare ulteriori cubature e rendere ancora più verde la futura Bagnoli… La ‘nuova centralità’ possibile per le periferie è più una questione di atteggiamento mentale, di decostruzione logica, che di decostruzione materiale”6.
Più che il centro storico, l’oggetto della sottrazione - afferma Terranova - deve essere “lo scacchiere allargato della città esistente per la quale diventa spettacolo la ripresa al ralenti della demolizione di un edificio moderno obsoleto, e però tabuizzata la possibilità di un senso positivo della demolizione per il miglioramento degli assetti reali, per la ricostruzione secondo immagini più attuali e mobili di identità abitativa… La riflessione che svolgo, vorrei fosse inequivoco, riguarda l’opportunità che l’architettura, e il progetto urbano (e senza paradossi, proprio il progetto di riqualificazione urbana) non rimuovano dislocandolo il dovere-piacere di metter in scena una violenza o una tensione che è nei fatti”. Un collage di citazioni (manca l’elogio al piccone demolitore degli scapigliati milanesi e del giovane Arrigo Boito), ripercorre il processo di virtuale distruzione-morte-seppellimento-ricostruzione dei contesti edificati e abitati. Dando spazio a numerosi passaggi dal testo Distruggere l’architettura (A. Cappabianca, 1979), esso riporta nell’orizzonte della sottrazione il centro storico: “Non sono io ad esortare davvero a ‘distruggere il centro storico’. Io dico che la distruzione è in atto, mascherata. E che mi piacerebbe che allora la società pretendesse di dare figura, misura e senso alla violenza di quel conflitto. Dopotutto il conflitto rende la città vivente. La città morta non ne ha. E’ quella conservata solo dall’esterno, come un guscio”. La (provvisoria) conclusione è che bisogna “appartenere al divenire, accettare la differenza e la molteplicità, accettare ricominciamenti che ricomincino dalle pieghe della terra”, ma “quello che proprio non si può fare è non assumersi la responsabilità del conflitto … nel nome di una normalità semplificatoria e astratta della Conservazione” 7 .
La responsabilità, nel mondo attuale, potrebbe consistere nella necessità di ri-comporre la coppia conservazione-demolizione nel suo significato più profondo, nella sua relazione di solidarietà piuttosto che di antagonismo; mentre al contrario, a partire dagli anni Cinquanta, se ne è determinata la separazione, e ciascuna differente opzione ha dato luogo a ideologie e pratiche contrarie, ossia a una demolizione senza sfondo e a una conservazione senza orizzonte: lo sostiene Françoise Choay richiamandosi alle metafore di un celebre testo di Freud, Il disagio della civiltà (1929). Esse possono rappresentare un richiamo a quella “serietà del costruire” cara a Leon Battista Alberti, alla quale andrebbe ancora improntata una edificazione che sappia rifondarsi sul binomio inscindibile conservazione/demolizione.
Nel seminario torna più volte, e con diverse interpretazioni, il tema del vuoto (Alessandro Anselmi): esito voluto della sottrazione, spazio di risulta tra parti e pezzi di edificato aggregati, in apparenza al di fuori di una logica unificante, a porzioni di forme unitarie più antiche, i vuoti possono rappresentare lo strumento di riconnessione, di ridisegno, di riequilibrio della compagine urbana contemporanea, e ‘aggiungere’ nuovo spazio e occasioni al progetto di architettura (Carmen Andriani), come è del resto storicamente avvenuto. Si tratta della stessa logica che ha animato la redazione di alcuni celebri strumenti urbanistici, come il Piano Particolareggiato per Pesaro (1975), ricordato nelle sue scelte essenziali da Raffaele Panella.
Il vuoto sapientemente progettato può essere interpretato come un antidoto alla città di “catrame e cemento” costruita negli ultimi trent’anni, può ricomprendervi, in luogo del suolo consumato dall’edificazione, “l’erba dei prati” dell’ urban agricolture, e restituire forma e misura allo spazio pubblico (Aldo Aymonino).
Dalle riflessioni presenti nei diversi contributi, emergono le premesse di alcune posizioni che l’ANCSA preciserà negli anni successivi: la conservazione non può coincidere con un atteggiamento passivo di rinuncia al progetto; essa non è separabile dall’innovazione;
allo stesso modo, non è possibile segnare una cesura netta tra storicità e contemporaneità;
l’identità di una città non si arresta ai confini del suo nucleo più antico né è riconducibile a un tempo “dato” che precede la modernità.
E’ utile ricordare che nel dicembre 1994 è approvata la legge n. 724 contenente le norme per la sanatoria degli abusi in materia edilizia. Il condono 1995, che consente a ciascun privato l’uso senza regole, al di fuori di qualunque responsabilità verso la collettività, delle risorse urbane e territoriali, costituisce il volto reale dell’anti-pianificazione.
Forme di piano e progetti per il “territorio storico”
Il Premio Gubbio 1996 “Interventi fisici di recupero del patrimonio edilizio esistente e/o iniziative gestionali e organizzative che costituiscano operazioni strategiche di riqualificazione urbana” è focalizzato attorno ai caratteri innovativi del progetto per l’esistente. “L’impressione che si ha, dal nostro osservatorio, è che vi sia un calo di interesse per tutto ciò che è memoria, e che stia affiorando un forte desiderio di cambiamento connotato da cancellazione. Tutto ciò avviene in un momento in cui le ragioni della conservazione avrebbero raggiunto un loro completo riconoscimento istituzionale e culturale, scrive Gabrielli. Riteniamo dunque vi sia da segnalare la presenza di un veleno all’interno della stessa conservazione, un suo oltranzismo cieco che, nell’affermare la difesa delle pietre, trascura la città degli uomini… La testimonianza che l’ANCSA riafferma con costanza [è che] l’idea di conservazione non può essere disgiunta dal suo significato culturale e civile… Renderla vitale e utile per la società, nel segno di un cambiamento teso alla valorizzazione dei beni culturali e alla loro ri-considerazione è l’obiettivo al quale l’ANCSA intende contribuire”.
Paola Falini richiama i criteri di valutazione delle esperienze presentate alla Sezione Europea del Premio, ribadendo i requisiti che ciascun progetto, alle varie scale, dovrebbe garantire: una “conservazione attiva”; un recupero attento alle componenti fisica, economica e sociale dei contesti; una stretta connessione tra i versanti urbanistico e architettonico; la considerazione congiunta degli aspetti funzionali, formali e gestionali.
Nel 1997 il Progetto di riqualificazione decennale (1989-1999) dell’Internationale Bauausstellung (IBA) Emscher Park (Deutschland), viene dichiarato vincitore del Premio e le motivazioni fanno esplicito riferimento alle linee, alle procedure e agli obiettivi dell’azione strategica che lo ha supportato, in particolare al “perseguimento di una qualità abitativa concepita in termini di sostenibilità ecologica”.
Nella stessa edizione, è premiato il progetto di ri-composizione ri-costruzione delle Case Di Stefano a Gibellina (autori, Roberto Collovà, Marcella Aprile, Teresa La Rocca) e i vincitori della sezione Tesi di laurea, dottorato e specializzazione sono scelti tra i migliori studi di progettazione urbana.
L’ANCSA considera il XII Convegno-Congresso “Patrimonio 2000. Un progetto per il territorio storico nei prossimi decenni”8 (Modena, 1997) una tappa fondamentale per la messa a fuoco delle tematiche sviluppate dall’associazione nel decennio seguente.
Quale dovrà essere il ruolo dell’ANCSA nel prossimo futuro? - si chiede la relazione introduttiva9. La profonda trasformazione del contesto urbano e territoriale toglie all’interrogativo gran parte del suo tratto rituale. Al XII Convegno-Congresso sono presenti i rappresentanti di diversi comuni che descrivono i passaggi e le criticità della gestione del patrimonio esistente in città piccole e medie come Pesaro, Modena, Guastalla, Gubbio.
Appare evidente all’ANCSA come il proprio ruolo non possa prescindere dalla costruzione e dallo sviluppo di una rete di relazioni interattive tra gli enti, gli organismi e le associazioni che si interessano del territorio, da “un allargamento di campo” che può consentire un necessario punto di svolta. Entro questa prospettiva vanno esaminati “i fenomeni e i problemi emergenti”: il rapporto tra i centri storici e il territorio, tra la città compatta e la città diffusa; i problemi delle “città d’arte” sia nella quotidianità e che in presenza di grandi eventi; il nuovo significato da attribuire al recupero e alle pratiche della manutenzione.
In questa chiave andrebbero riletti i documenti di indirizzo proposti da associazioni e istituzioni pubbliche e private, le “Carte”, le “Dichiarazioni” da verificare nella loro attualità ed efficacia; in questo quadro andrebbero riesaminate le politiche, le competenze, le pratiche in atto nel settore dei Beni culturali e dovrebbero essere analizzate, infine, le nuove forme della pianificazione.
L’idea dell’ANCSA è che “lo Stato assuma una programmazione di scenario nel campo dei beni culturali e nel campo del governo del territorio”; che “le autonomie locali possano giocare un ruolo decisivo, a condizione che ne siano investite con mezzi adeguati”; che “per il patrimonio occorra spendere di più e nel contempo avere idee guida per farlo fruttare in modo adeguato, ponendolo in un ciclo economico virtuoso, non di solo consumo”.
Fin dalle premesse, a Modena sembra prevalere l’approccio urbanistico al tema del patrimonio esistente, e al centro della riflessione tornano i temi identitari dell’associazione: i centri storici, il territorio storico e il paesaggio nell’Italia e nell’Europa di fine millennio; la tutela ambientale, anche alla luce dei fenomeni di dissesto del territorio - alluvioni, frane, terremoti - che hanno devastato il Paese. Il tema della tutela del patrimonio si intreccia con le questioni del rischio e della sicurezza delle popolazioni.
La relazione di Roberto Gambino ne restituisce un ampio quadro, evidenziando i nodi del rapporto che intercorre tra centri storici e territorio. Propone una “conservazione innovativa del territorio storico” che attribuisca agli insediamenti di non recente costruzione la funzioni di struttura del paesaggio, o meglio, dei “ paesaggi culturali concepiti come manifestazione complessa, olistica ed evolutiva dei processi di territorializzazione”. Mentre la “soggettività territoriale” avrà il ruolo di motore dell’innovazione conservativa “ponendo al centro della scena gli attori e le comunità che abitano e quindi edificano, quotidianamente, il territorio storico”10.
Vittoria Calzolari delinea i passaggi che consentono di leggere le specificità e le diversità dei territori storici e dei paesaggi contemporanei, peculiarità legate alle condizioni geomorfologiche e topografiche, alle storie dei luoghi e della loro costruzione nel tempo, alla storia dei caratteri “immateriali” e alla evoluzione delle “mentalità” proprie di ciascun insediamento. La “ricerca del possibile” nasce da un lavoro di indagine, di sperimentazione sul campo, di composizione, da compiere seguendo i passaggi descritti e pensando a scenari dai tempi medio-lunghi.
Il progetto di territorio e il progetto di sottrazione sono le due principali direzioni di lavoro proposte da Antonino Terranova e Paola Falini, che rivedono in chiave aggiornata ipotesi interpretative e strumenti di intervento storicamente consolidati nella cultura dei centri storici. I grandi progetti di architettura, con il gradiente di sottrazione che vi è implicito, rivelano il loro carattere strategico nel futuro della città esistente.
I temi della gestione delle politiche territoriali, affidati a Carlo Gasparrini e a Stefano Storchi, fanno riferimento alla ricerca, condotta per conto dell’ANCSA “Efficacia e successo delle politiche di recupero e riqualificazione urbana in alcuni casi di studio”.
Osservazioni di grande interesse sono formulate dagli studiosi esterni chiamati alla discussione.
Giuseppe Roma, Direttore del Censis, ritiene che attorno alle proposte dell’ANCSA si possano lanciare grandi progetti nazionali, i quali, senza espropriare l’operatività delle amministrazioni locali, dovrebbero porre come centrale il recupero del centro storico: essi potrebbero coincidere con il progetto per il mezzogiorno, per la cultura della legalità, per il rilancio economico di città come Palermo, Napoli, Bari, Catania, per il grande e irrisolto tema della mobilità, dell’accoglienza, del turismo e del degrado che può derivarne ai centri storici. Il patrimonio storico e il capitale sociale, le reti di impegno civico, la convergenza consensuale, vanno considerati entro un processo unico e in grado di aggregare la cura degli oggetti e quella dei soggetti11.
Francesco Indovina trova che nella proposta dell’ANCSA manchi il riferimento essenziale al rapporto tra le trasformazioni della società e le trasformazioni urbane, in particolare nei centri storici, e che, nella dilatazione di prospettive voluta dall’associazione, questi ultimi sembrano aver perduto un proprio specifico. Quanto alle periferie urbane, esse rappresentano “prima di tutto un prodotto sociale, poi di urbanistica e di edilizia”, e il rapporto tra le diverse categorie dovrebbe tornare centrale nelle valutazioni dell’ANCSA. I vincoli alla pianificazione andrebbero valutati anche nei loro aspetti positivi, non soltanto in negativo: “In quest’ansia di rinnovamento – osserva Indovina - sembrava ci fosse un elemento di depotenziamento del patrimonio culturale, del suo valore simbolico e anche fisico, e quindi sostengo la necessità della sua conservazione”12.
Edoardo Benvenuto invita a considerare la centralità del rapporto dialettico tra il processo di conoscenza insito nelle pratiche della conservazione, e il progetto di intervento, di architettura, di sottrazione.
Infine, Liliana Pittarello, esponente delle istituzioni di tutela, esprime il suo netto dissenso rispetto all’affermazione proposta nella Relazione Generale, che “la difesa e la salvaguardia del patrimonio storico sono ormai concetti diffusi a tutti i livelli, da quelli istituzionali a quelli dei mass-media” e che in conseguenza di questo, il ruolo dell’ANCSA debba essere ripensato. L’associazione potrebbe, al contrario, esercitare una funzione essenziale nell’impedire che la separazione, anche concettuale, tra “tutela” e “valorizzazione” affidi a soggetti istituzionali distinti fasi che dovrebbero essere del tutto solidali e che andrebbero implementate a partire dalla concertazione tra i vari soggetti: le Regioni, le Province, i Comuni, le Soprintendenze. “Rifiuto – conclude – che la conservazione non si attui attraverso il progetto, che non possa essere essa stessa uno dei fini del processo progettuale… [dal momento che non può] esistere una separazione concettuale fra conservazione e progetto ed occorre che il mondo accademico rifletta sui rischi gravi che questa separatezza si consolidi”. Anche in materia di vincoli occorre fare chiarezza, perché se il vincolo non è, né potrebbe esserlo, uno strumento di governo del territorio, “la pianificazione urbanistica deve avere l’alto profilo per contenere, inquadrare, indirizzare i relativamente pochi vincoli monumentali all’interno di una politica di salvaguardia e valorizzazione dell’intero patrimonio culturale territoriale”13.
2000- 2010. Città storica, città contemporanea. Il paesaggio culturale come identità plurima
Gli Atti del Convegno “Urbanistica e sicurezza nelle città” (Bergamo, 2000) e quelli del Seminario “La Città Storica e gli ambiti strategici nel nuovo P.R.G. di Roma” (Roma, 2001) non sono stati pubblicati.
Resta traccia, invece, del Premio Gubbio 2000 e del “dibattito che ha contrassegnato, all’interno della giuria, l’esame di due progetti apparentemente contraddittori.
Da un lato (progetto De Feo) l’A.N.C.S.A. premia il coraggio del progetto, inteso a restituire senso e vitalità ad un isolato urbano mettendo insieme, con disegno intelligente e colto, il recupero di architetture preesistenti e nuove architetture. Dall’altro lato l’A.N.C.S.A. premia un progetto (progetto Botta)14 in cui questo coraggio non ha potuto essere espresso, condizionato dalla storia urbana di uno spazio determinatosi come un “vuoto” ormai irrinunciabile per i cittadini. In questo caso l’A.N.C.S.A. premia un progetto di sistemazione urbana di notevole qualità, la cui realizzazione conclude in modo reversibile una partita durata troppo a lungo. Quasi un rinvio ad un futuro progetto oggi impossibile, ma capace di eliminare finalmente un buco nero dell’area centrale di una città nobilissima, quale è Parma.
Una contraddizione, allora, visto che si premiano “ex-aequo” due progetti che sembrano opposti? Il caso è aperto, ma non vi è dubbio che la giuria del Premio ha voluto porre in luce uno dei temi più dibattuti nell’A.N.C.S.A.
Il tema della memoria, memoria urbana antica e recente, accomuna i due progetti e li fa riconoscere nella loro capacità di risposta qualitativa alla soluzione di problemi urbani che hanno una storia civile alle spalle. Certo che, insieme, convivono le indubbie irrequietezze del momento culturale che stiamo attraversando. Traspare ancora chiaro l’imprecisato rapporto fra conservazione e innovazione, tra amministrazione dei beni culturali, e sua ideologia corrente, e libertà di ricerca progettuale”.
Il Premio per la Sezione Europea è assegnato al “Plan Especial del Centro Histórico de Toledo”, elaborato sotto la Direzione di Joan Busquets, approvato nel 1997, e nel 2000 in corso di realizzazione. Anche il centro storico di Toledo è inserito nella Lista del Patrimonio Mondiale UNESCO. Tra i suoi molteplici obiettivi, il Piano Speciale, oltre che considerare la straordinaria qualità architettonica del contesto, “ha dato centralità alla rivitalizzazione degli usi residenziali della città antica ed al consolidamento della sua diversità funzionale, rafforzando la presenza dell’Università, delle attività turistiche e della cultura, da un lato, e facendo leva sulle potenzialità della struttura esistente e segnatamente sui caratteri distintivi della sua edificazione, dall’altro”.
Il 2003, anno del terzo condono edilizio (D.L. 269/2003, convertito nella L.326/2003), e della gestazione, contemporanea, del “Codice dei beni culturali e del paesaggio” (approvato l’anno seguente come D.Llgs n .42/2004), si tiene in novembre a Perugia il XIII Convegno-Congresso ANCSA dal tema “Contemporaneità e identità del territorio: le sfide del 3° millennio”15.
“L’incontro si apre in un clima piuttosto incerto in ordine ai temi che l'associazione ha da sempre privilegiato. Sembra infatti di essere in presenza di processi di trasformazione sempre più accentuati e sempre meno afferrati e compresi dagli addetti ai lavori”. Rispetto a tale scenario “l'A.N.C.S.A. intende fornire un contributo di interpretazione dei fenomeni in atto, affermare, attraverso alcune ‘Dichiarazioni’, proprie posizioni su diversi temi della Conservazione e, infine offrire alla valutazione alcune importanti esperienze di interventi urbani”.
Guardando alla propria storia, l’ANCSA riconosce due principali momenti: la battaglia per la salvaguardia dei centri storici, con il contributo di analisi, ricerche ed elaborazione di indirizzi finalizzati a quell’obiettivo; la scelta di estendere i temi progettuali della riqualificazione alla città esistente, e poi al ‘territorio storico’, “che ha generato lo strumento del Piano di Riqualificazione Urbana e, oggi, la teoria e la prassi del Progetto Urbano”.
A conclusione di un ciclo che va a coincidere con la fine del Novecento, l’ANCSA sembra attribuire proprio al consolidarsi della cultura della tutela quelle “numerose distorsioni” che in Italia attraversano il campo della Conservazione. A fronte della nascita di nuove strategie d'intervento in numerose città europee, l’ANCSA ritiene che le politiche della conservazione praticate in Italia abbiano di fatto bloccato “quei processi di conservazione attiva che avrebbe consentito la valorizzazione del patrimonio e la costruzione di una nuova identità nella città e nel territorio”.
Curiosamente, è ancora la “conservazione passiva” il nemico da battere, anche se, a parere di chi scrive, essa non si dà e non potrebbe esistere nella realtà delle cose: si tratta in fondo di un antico fantasma che ha turbato a lungo i sonni dei progettisti, i quali, peraltro, lo hanno esorcizzato ampiamente16.
Nella “Dichiarazione n. 1” presentata al XIII Convegno-Congresso con il titolo “La dismissione del patrimonio culturale” l'ANCSA rivendica la necessità del progetto capace di coniugare le istanze della conservazione e dell’innovazione e l’intenzione di rilanciare il dibattito sul progetto del patrimonio “collocandolo all'interno del grande tema del progetto urbano contemporaneo”. Ma la direzione verso la quale si muove il Paese non è certo quella della conservazione, se dopo aver chiarito i termini giuridici della dismissione, il documento dell’ANCSA conclude: “se il patrimonio pubblico continuerà ad essere alienato secondo le insidiose trame deregolatorie introdotte dalle Legge Tremonti (L. 112/2002), allo Stato non resterà nulla da tutelare e alle Regioni nulla da valorizzare”. L’ANCSA sottolinea la gravità dei provvedimenti varati dal governo e “si mobilita perché il patrimonio culturale, su cui poggia l’identità nazionale, sia sottratto a logiche esclusivamente privatistiche e mercantilistiche”.
La “Dichiarazione n. 2. Sulla tutela del Paesaggio”, fa esplicito riferimento alla Convenzione Europea del Paesaggio adottata dal Comitato dei Ministri della Cultura e dell’Ambiente del Consiglio d’Europa e firmata a Firenze da 44 paesi, tra i quali l’Italia, e ne confronta gli obiettivi alla ricerca che l’ANCSA svolge da tempo sul paesaggio contemporaneo e sul progetto della sua valorizzazione.
“Sfida della contemporaneità e patrimonio storico” è il tema della “Dichiarazione n. 3”, che, contro il rischio dell’ “anomalia italiana”, la conservazione, che inibisce la creatività progettuale, riafferma la necessità di “rinnovare il dialogo tra progetto contemporaneo e storicità, come contributo alla modernizzazione del Paese”.
La “Dichiarazione n. 4”, “Dedicato alle amministrazioni locali”, ripropone infine, i tema della sostenibilità fisica, ambientale, funzionale e culturale dello sviluppo urbano.
La seconda sessione del congresso è dedicata ad una rassegna di progetti per molti versi "esemplari", sia selezionati per il Premio Gubbio, sia riferiti ad altre esperienze, italiane ed estere, presentate dagli stessi progettisti. La terza sessione è dedicata al dibattito con gli amministratori delle città che hanno realizzato i progetti.
Tra i partecipanti al Convegno, discutono i 4 punti della Relazione Generale: Oriol Bohigas, Mario Manieri Elia, Aimaro d’Isola, Bruno Fortier oltre a Pio Baldi e Giorgio Piccinato. A presentare i progetti sono chiamati Joël Batteaux (sindaco di Saint-Nazaire), Bernardo Secchi, Ben Van Berkel, Bruno Fortier e Italo Rota (vincitori del premio Gubbio per la sezione estera), Franco Mancuso (vincitore della sezione nazionale) e Cesare Macchi Cassia.
Ritorno al centro storico
A Macchi Cassia è affidata la Relazione di apertura del Convegno Nazionale “Turismo e Centri Storici nell’Italia contemporanea” (Firenze, 2005)17 che fin nel titolo dichiara l’intento di riconsiderare i problemi che investono le città contemporanee a partire dal loro centro storico. Sarà così anche per gli anni seguenti.
Il convegno è inserito nel “Progetto comunitario LUCUS – Salvaguardia e Valorizzazione dei Boschi sacri in Europa”18. Nato intorno a Spoleto e alla sua montagna, con il bosco sacro e i suoi i ricoveri eremitici, “luogo dell’anima”, dell’interiorità, del silenzio e dei tempi lenti, il progetto Lucus intende estendere al “territorio storico” e al suo patrimonio, nelle sue molteplici manifestazioni - parchi letterari, vie di pellegrinaggio, sacri monti, infrastrutture di archeologia industriale, portuale o rurale… -, senza comprometterne il carattere, forme innovative di valorizzazione culturale, come assicura Stefania Nichinonni.
La struttura del convegno del 2005 prevede ancora una volta che gli invitati rispondano ai temi sollevati dalla relazione introduttiva; che siano presentati casi di studio relativi a città di grande e media dimensione e a costellazioni di centri minori; che le tematiche esposte siano discusse con esperti stranieri.
Il turismo rappresenta indubbiamente una delle grandi fonti di ricchezza dell’Italia, e tuttavia investe il territorio del paese in forme del tutto diseguali. Se alcune municipalità tentano di incentivare il numero di visitatori mediante iniziative culturali piuttosto che inserendo le proprie comunità all’interno di itinerari enogastronomici, in altri casi si cerca, viceversa, di porre freno al turismo di massa, specie a quello che si manifesta nella modalità del “mordi e fuggi”, che può risolversi in una grave forma di snaturamento delle città che ne costituiscono la meta privilegiata.
“Il positivo significato del turismo come scambio culturale rischia di essere completamente ribaltato da modalità d’uso che sviliscono il patrimonio e lo mettono in pericolo. Occorre definire e attuare una politica per il turismo che consenta il recupero del significato culturale, nonché di valorizzazione culturale del patrimonio storico-artistico del nostro Paese”, è la tesi dell’ANCSA.
I flussi turistici dalle aree più popolose del mondo, l’incremento dei visitatori provenienti dalla Cina in particolare, rischierebbero di travolgere le “città d’arte” di media dimensione come Venezia e Firenze, e di falsificare completamente la percezione della civiltà e delle caratteristiche più autentiche delle culture regionali italiane. La Relazione introduttiva propone di diversificare e ampliare l’offerta oltre i centri più noti e celebrati, includendovi località e insediamenti tra loro correlati per storia, per tradizioni, per cultura. La sfida ulteriore consisterebbe poi nel portare all’attenzione dei turisti, e di conseguenza dei cittadini, la città contemporanea con i suoi nuovi paesaggi, espressione dell’ibridazione di culture che ne ha ridisegnato l’identità attuale. Inoltre, nuovi strumenti culturali dovrebbero elevare la percezione e le richieste del pubblico dei visitatori.
Ogni città attrae uno specifico tipo di turismo: su ciascuna delle forme di rapporto che vi si crea occorre dunque lavorare. I turisti visitano di preferenza il centro storico, e tendono a concentrarsi in modo abnorme nel nucleo antico delle città d’arte; queste tendono a loro volta ad uniformarsi alla domanda del turismo a basso costo, alla richiesta di colore locale e di prodotti tipici fino a diventare città dei turisti molto più che dei residenti, “periferie di quelle che danno origine al mercato turistico. Arrivano fino a incorporare i loro gusti più elementari… L’esodo della popolazione locale elimina la sorveglianza sociale sui manufatti e sui siti, riduce le città ad ambienti monoculturali, ciò che comporta il decadimento della stessa esperienza turistica”, spiega Franco Mancuso descrivendo la situazione di Venezia, città che dal turismo, dal consumo del contesto fisico, dei monumenti, e dalla cessione ad acquirenti stranieri del tessuto residenziale, esistente e di nuova formazione, andrebbe difesa19.
Ma il turismo non ha soltanto un volto negativo e, ad esempio, la stessa “Firenze non è (solo) una città turistica”. A Firenze non vi è un centro storico omogeneo, ma un insieme di mondi assai composito per formazione e uso, di luoghi diversi tra loro più di quanto lo siano rispetto alle periferie che presentano caratteri molto più uniformi. Il turismo stesso è in realtà un bene composito, e anche il turista di un giorno può attivare effetti positivi sul sistema economico: sta all’operatore pubblico governarne le conseguenze componendo gli squilibri che si determinano quotidianamente e nel tempo20.
Per invertire le tendenze negative si potrebbe puntare su diverse soluzioni. Ad esempio, sulla definizione di una nuova figura, quella del “philosophic pratictioner”, al quale affidare il compito di “trasformare i centri storici folklorizzati in magneti per il nuovo ceto medio internazionale” allo scopo di declinare con successo il concetto di “città ospitale”, è il parere di Nicolò Costa, professore di “Scienze del Turismo”21.
Si dovrebbe puntare decisamente sul rinnovamento dei centri urbani, ai quali sarebbe in tal modo restituita una dimensione più propriamente storica, in luogo di quella puramente archeologica sottesa alla nozione di conservazione, sottolineando ad un tempo il valore dei luoghi: costi di accesso più elevati, consentirebbero di selezionare il pubblico dei visitatori, sostiene Philippe Daverio22.
Si potrebbe proporre in una nuova accezione il concetto - peraltro esplorato già negli anni ’50 - di città come opera d’arte: le strade e le piazze “a tema” che hanno costruito in tempi diversi la fisionomia unica e la dote di bellezza di ogni città, piccola e grande, fanno sì che ciascuna di esse possa essere considerata un’opera d’arte, e come tale - afferma Marco Romano - essere spiegata al pubblico e costituire la meta di un viaggio. L’aggiornamento delle tradizionali guide per i visitatori dovrà porsi questo obiettivo, affiancando indicazioni artistiche a quelle più generalmente culturali, ad esempio, relative a una ristorazione di qualità legata al territorio.
Se la regione rappresenta “l’espressione più pertinente di una stratificazione culturale che nei secoli ne ha definito i caratteri e la specificità”, un accorto “marketing” territoriale dovrebbe promuovere le regioni europee quali meta turistica, alleviando così la pressione sulle città d’arte”23.
Ancora, una politica consapevole non può che partire dalla conoscenza dei luoghi, del loro spessore storico e culturale. La ricerca svolta per la Regione Sicilia, coordinata da Teresa Cannarozzo, ne costituisce la possibile dimostrazione. L’indagine, i dati raccolti e la loro interpretazione sono finalizzati all’identificazione delle aree sulle quali concentrare i finanziamenti e favorire l’economia e lo sviluppo locale, in particolare nei centri minori e nelle zone interne del territorio regionale. L’individuazione dei potenziali “distretti culturali” parte dall’analisi delle caratteristiche peculiari di ciascuna delle aree esaminate. Dopo averne evidenziato le criticità e considerati i parametri dell’accessibilità e dei collegamenti territoriali, la ricerca si conclude nell’attenta valutazione delle risorse e delle loro interrelazioni. I centri storici appaiono come risorsa primaria, ma la mappa disegnata mette in rilievo altre componenti essenziali del processo di rivitalizzazione: gli insediamenti storici diffusi, le aree archeologiche, le zone di interesse paesaggistico, ambientale e naturalistico, nonché le produzioni tipiche, gli eventi e le istituzioni culturali, la ricettività turistica24
Il caso dell’attento recupero del giardino della Kolymbetra nella Valle dei Templi di Agrigento, liberato dai rifiuti e dalla vegetazione infestante, ripiantumato con essenze autoctone, ripristinato nelle canalizzazione e negli impianti irrigui, progettato nei percorsi, nei luoghi di contemplazione e di sosta e negli elementi di arredo, è presentato come un esempio di valorizzazione di una risorsa “ritrovata” dal grande impatto paesaggistico25.
I temi che l’ANCSA propone negli ultimi anni, tra loro strettamente correlati, delineano un percorso centrato su problemi soltanto all’apparenza circoscritti, e che mantengono in realtà, nell’impostazione e nei riferimenti, l’ampiezza di orizzonte e le valenze di carattere generale da sempre proprie all’associazione.
Dopo la questione del turismo, esaminata dall’osservatorio di una tra le città d’arte per eccellenza, è Bergamo la sede del Convegno Internazionale che l’associazione dedica, nel maggio 2006, a “Spazi aperti nei contesti storici”26. Roberto Bruni, sindaco della città e dal 2005 Presidente dell’ANCSA invita a riprendere “il filo di una tradizione” mirando al contempo a “un aggiornamento dei temi e dei problemi connessi ad un più coerente riuso delle aree urbane di antica formazione”.
I temi trattati nell’incontro del 2006 sono articolati in tre sezioni, la prima delle quali dedicata non a caso alla ridiscussione della “Nozione di patrimonio storico”, e sono presentati da Roberto Spagnolo (Politecnico di Milano). Il concetto di patrimonio è mutato molte volte nel tempo. La contemporaneità ha alterato fino a sovvertirle gerarchie e rapporti interni alla città e al territorio antropizzato; appare necessario, di conseguenza “agire in molti centri storici segnati da caratteri di periferizzazione non soltanto con il recupero di organismi edilizi, ma soprattutto con una visione progettuale rivolta alla riqualificazione degli spazi aperti, e dunque delle funzioni private e pubbliche in essi insediati”. È a partire dall’analisi e dalla ridefinizione degli spazi collettivi che può concretarsi il processo di rigenerazione dei contesti urbanizzati ed “è nell’aspetto specifico dell’‘attacco a terra’ che gli edifici della storia sembrano indicare alla progettazione contemporanea non già dei modelli ripetibili, quanto delle potenzialità relazionali”, spiega Spagnolo. Il ruolo culturale del progetto e delle sue pratiche deve tornare prevalente, come torna essenziale discutere la “relazione tra antico e contemporaneo, tra vero e falso, tra identità e mimesi… sia per quanto riguarda gli organismi edilizi che la struttura e l’uso degli spazi aperti”27.
“Il rapporto tra Centro Storico e periferia è del tutto cambiato – gli fa eco Gabrielli – ed è connotato da una sempre maggiore specializzazione… dalle condizioni di degrado degli anni ’60 e ’70 si è oggi passati a condizioni di privilegio… a un modello diffuso a livello europeo di levigato valore antiquario, che è di fatto una nuova forma di distruzione dei suoi valori tradizionali… della sua diversificazione sociale, economica e perfino morfo-tipologica”. L’ANCSA ritiene che l’identità dei centri storici italiani risiede al contrario nel loro essere luoghi di scambio, differenze, vitalità, conflitto, integrazione. L’intervento pubblico si rende quindi nuovamente e più che mai necessario.
Se per Gabrielli occorre ripartire dalla rilettura delle politiche degli anni ’70, per Gambino il dibattito dovrebbe riprendere a partire dalla Nuova Carta di Gubbio del 1990 e dai suoi concetti fondanti. L’estensione di campo dal centro storico al territorio storico non proponeva infatti “un mero cambiamento di scala; ma una nuova filosofia di comportamento nei confronti dell’eredità storica e naturale e dei suoi rapporti con i territori della contemporaneità”28. Dopo 16 anni, occorre interrogarsi sull’attualità della Carta e delle posizioni che vi erano sostenute.
Il paesaggio, considerato ai sensi della legge di tutela del 2004 come parte del patrimonio culturale, nella realtà è stato per 50 anni oggetto di saccheggio e degrado. Nella sua relazione, Gambino sintetizza tempi e modi della devastazione, fino ai recenti condoni edilizi e alla svendita del patrimonio pubblico, ripercorrendo parallelamente gli studi che nel tempo hanno individuato caratteri e significati dei paesaggi, fino ai contenuti innovativi proposti dalla Convenzione Europea, o, più localmente, ai recenti progetti per “infrastrutture ambientali”, finalizzati a riportare la natura in città (greening the city). “È in questo quadro che va collocato il grande tema degli spazi di relazione nella città storica… dei solchi fluviali che spesso l’attraversano e del verde urbano che le consente di respirare”31. La risposta può essere, piuttosto che nell’assecondare la strada della divisione di campi e dell’isolamento di settori o di luoghi privilegiati, nell’affermare una logica di relazioni, nel declinarla in senso progettuale in favore della nozione estensiva dei “paesaggi culturali”.
Tra i casi di studio portati all’attenzione del convegno, Pasquale Culotta ha presentato i progetti per il centro storico di Cefalù, in Sicilia, ove si è puntato proprio sul rapporto tra il riuso di antichi palazzi e strutture conventuali adattati a sedi di attività e servizi pubblici e la rilettura-progettazione degli spazi aperti. Il percorso che, seguendo il circuito delle mura megalitiche con i suoi tratti sottoposti a restauro, costeggia per 1.300 metri il bordo del mare, diviene “pretesto per connettere suolo, spazi urbani e geografia dei luoghi… per dar luogo a geometrie, materiali, misure, dislocazioni di elementi nei punti, nelle linee e nelle superfici costitutive l’architettura del paesaggio urbano” 30.
Documenti, tracce materiali e storia dei luoghi sono alla base del progetto di riqualificazione della Piazza Grande, cuore della celebre Palmanova fondata a fine ‘500 per rafforzare i confini orientali della Serenissima. “Terminati i lavori - scrive l’autore, Franco Mancuso - la gente si è subito riappropriata della piazza, in maniera più intensa di quanto fosse possibile augurarsi. Muovendosi al riparo delle automobili, incontra adesso le statue dei Provveditori, nuovamente protagoniste della scena urbana, o l’obelisco triangolare, disposto in modo da rivelarne l’originalità del disegno, restaurato e adibito ad edicola per le informazioni turistiche”31.
Antonino Terranova contrappone la “nuova progettualità del riuso” rivendicata dall’ANCSA negli anni ’80 e ancora tutta da esplorare, al destino della desertificazione che, con segno diverso, sembra accomunare gli spazi collettivi nelle Città d’arte e nei Borghi antichi “Un lavoro per il quale forse i caratteri socio-spaziali del centro storico (principalmente i suoi spazi aperti, così vari, multiformi, ospitali o simbolici) potranno costituire una lezione di progettazione – penso a Le Corbusier, a Quaroni, a Samonà, a Scarpa, ed altri… - piuttosto che una memoria poetica soltanto nostalgica”32.
La terza sezione del Convegno presenta, illustrati da autori e studiosi, casi significativi di riqualificazione degli spazi urbani realizzati o proposti in varie città: per il Centro Storico di Buenos Aires (S. Bossio), nel quartiere di Ortigia a Siracusa (T. Cannarozzo), nel centro storico di Genova con la mostra “Arti&Architettura 1900-2000” (A. Costantini), nel progetto per i paesaggi urbani della Bergamo storica (GL. Della Mea, A. Frosio), con la Promenade plantée, il percorso verde Est-Ovest attraverso il 12° arrondissement di Parigi (P. Micheloni), con gli spazi residenziali e l’area di Piazzale San Francesco e del Naviglio, a Parma (S. Storchi), con il Parco lineare integrato delle Mura di Roma (P. Falini).
Il Premio Gubbio 2006 è assegnato (Gubbio, 13-14 ottobre) per la Sezione Europea, a pari merito al “Plan Territorial Insular de Menorca” (Spagna) diretto da José Maria Ezquiaga Dominguez, e al progetto per il Quartiere dell’Arc de Triomphe a Saintes (Francia) redatto da Thibaud Babled, Armand Nouvet e Marc Reynard.
Quanto alla Sezione Nazionale, “due progetti, molto diversi tra loro per scala e criteri operativi, sono stati ritenuti equamente meritevoli di riconoscimento: il progetto di “microinterventi”
di riqualificazione degli spazi aperti e pubblici nell’isola di Ortigia a Siracusa, esemplare operazione colta e raffinata condotta dai tecnici dell’Ufficio Tecnico Speciale del Comune, rivolta soprattutto agli spazi minuti e domestici di un tessuto storico particolarmente articolato e ricco, e
quello per il Parco tra Caltagirone e Piazza Armerina dove si declina poeticamente, alla scala del paesaggio, una interpretazione contemporanea dell’identità storica del territorio agricolo siciliano”.
Inoltre, in occasione della sesta edizione del Premio Gubbio “l’ANCSA ha inteso inaugurare il Premio intitolato a Giulio Carlo Argan che, proprio a partire dalla memoria dell’illustre critico d’arte, intende offrire, ad ogni edizione, un riconoscimento a studiosi, architetti, critici che si sono particolarmente distinti per il loro impegno culturale e scientifico nel campo degli studi sulla città e dei patrimoni storici.
L’attribuzione a Giancarlo De Carlo della prima edizione del Premio Argan rappresenta, senz’altro, un autorevolissimo e promettente avvio della nuova iniziativa”.
Ancora nel 2006, l’ANCSA promuove a Roma il Seminario "Centri storici/Periferie. Nuovi deserti metropolitani"33.
Il Convegno Nazionale “Geometria e natura”, tenuto nuovamente a Bergamo, nell’ottobre 2007, costituisce, rispetto al convegno sugli spazi aperti, una forma di prosecuzione e di raccordo alle problematiche della riqualificazione dei paesaggi urbani e extra-urbani 34.
Il trentennale dell’istituzione del Parco dei Colli è l’occasione per aprire, rispetto al continuum della città diffusa, nuovi interrogativi sul rapporto tra luoghi della tutela, oasi all’interno del territorio storico che in Europa hanno subito un incremento del 25-30% della superficie, e luoghi aggrediti dall’urbanizzazione senza piano. Ma è anche un momento per rimeditare il tema del rapporto tra centri storici di antica sedimentazione e insediamenti recenti, ai quali conferire “centralità” nuova mediante l’apporto determinante del progetto, inteso sia in senso politico e amministrativo con forti requisiti sociali, sia nel senso di un progetto di architettura attento alla cultura dei luoghi, denso di capacità interpretative e di qualità poietiche.
Il binomio geometria-natura evoca l’immagine dei giardini “all’italiana”, poi “alla francese”, con la studiata architettura del disegno e delle simmetrie disegnate da componenti architettoniche ed essenze vegetali. Viceversa, il “giardino all’inglese” del XVIII secolo che ne rompeva gli schemi, le rigidezze, la possibilità di visione complessiva e immediata, introduceva, nell’avvicendarsi di quadri e di sorprese, nell’alternarsi di natura e artificio, i principi dell’estetica del sublime. Ma si tratta di spazi limitati, fisicamente confinati da recinti e sottratti alla “naturalità” anche se, in alcuni casi di dimensioni più vaste, l’area più esterna tendeva a confondersi con le zone naturali.
Sovente i paesaggi contemporanei, che hanno travolto e in parte inglobato il paesaggio agrario, rompendo i suoi diversi codici, rendendo omogenee le sue molteplici espressioni, non hanno limiti percepibili come tali. Essi costituiscono un contesto che, in alcuni tratti di recente trasformazione, potrebbe essere descritto trasponendo al contesto costruito le settecentesche categorie del sublime: il mostruoso, il caotico, l’oltre misura (fuori scala), il selvaggio…, e in altri tratti essere ricondotto alla definizione di paesaggi ordinari, quindi estranei a qualunque espressione di eccezionalità.
In questo attuale contesto forme progettate di costruzione del paesaggio dovrebbero fondarsi su una lettura sapiente del palinsesto territoriale, da riconoscere mediante strumenti analitici ed euristici, e proporre al pubblico come conoscenza che rappresenta essa stessa un patrimonio collettivo. Poi, “spetta al progetto - più o meno implicito o consapevole - dare senso al paesaggio e al patrimonio diffuso, segnalare la diversità delle identità locali, contribuire alla strutturazione dei territori urbani leggendo il valore della centralità nella ripetizione. In questo orizzonte progettuale cambia il rapporto tra la natura e la cultura dell’uomo, le “geometrie”con cui ci siamo misurati col mondo, continuamente ridisegnandolo”. Ma l’architettura dovrà a sua volta esprimere nuove qualità, “oltrepassare le logiche della domesticazione e della simulazione che hanno finora guidato il confronto con la natura, a favore di un’autentica collaborazione con i suoi processi”35.
Il progetto dovrà ripensare il rapporto tra le aree “verdi”, i paesaggi naturali e agricoli, con le nuove forme di insediamento e con le città.
In tale accezione il tema degli spazi aperti torna essenziale, e la questione della centralità può essere riproposta, partendo – come propone Macchi Cassia – da due mosse: “aggiudicare al centro storico un ruolo che supera quello giocato all’interno del singolo luogo urbano, del singolo Comune… Affiancare alla centralità storica una nuova tipologia di centralità, già oggi intravista nella realtà dei territori più sviluppati, costituita da un differente materiale urbano. È dal dialogo tra questi due sistemi di centralità - storica l’una, contemporanea l’altra - che può nascere un contributo alla strutturazione dei territori urbani, un appoggio al loro disegno, un tentativo di loro prefigurazione spaziale”36.
“La forma fisica non è certo da sottovalutare - sostiene Gambino – ma non vorrei che si ignorasse che c’è dietro a questi cambiamenti fisici, l’allargamento incessante dell’impronta ecologica dell’urbano contemporaneo su spazi sempre più estesi… certo è che oggi siamo di fronte a una globalizzazione … del rapporto dell’urbanità con la naturalità… un’uscita dell’urbano dai suoi tradizionali confini… e contemporaneamente una grande modificazione della naturalità… di come la società contemporanea organizza e propone a se stessa il mondo naturale”. In tal senso, lo “spostamento delle ragioni del progetto dagli spazi urbani agli spazi aperti… riflette il riconoscimento di una nuova centralità, che si affianca e si alterna e si mescola alla centralità tradizionale… “. Per progettarla, occorre “pensare al di là delle geometrie tradizionali… mettere in rete e mettere in scena le risorse e le identità locali, ‘collaborare con la terra’… creando nuovi sistemi integrati - nuove architetture - più diramati e complessi”37.
Oltre che sui cambiamenti culturali, “Vorrei insistere anche sui cambiamenti strutturali, quelli indotti dalla globalizzazione economica, finanziaria e tecnologica che poi portano a una frammentazione degli spazi, dal momento in cui ogni luogo può collegarsi con qualunque altro luogo sulla terra” propone il geografo Giuseppe Dematteis. Questi mutamenti danno luogo a “un indebolimento generale dei legami di prossimità che davano significato all’organizzazione del territorio, ma anche alla forma dei territori, ai paesaggi: quindi… formazione di geometrie che noi percepiamo caotiche, senza un apparente rapporto né con gli ordini urbani del passato… né con gli ordini con cui ci rappresentiamo i territori naturali… geometrie instabili prive delle differenze, delle specificità, delle patrimonialità accumulate nel tempo… e soprattutto prive dell’identità che costituisce tuttora il valore della città storica”. Allora, è il parere di Dematteis, il progetto delle nuove centralità non può che ancorarsi ai territori “visti come depositi, sedimenti storici di potenzialità ereditate dal passato… come patrimonio genetico che è stato incorporato… e che ha portato il territorio a seguire cammini diversificati… [dal momento che] così come c’è un problema di conservazione della biodiversità c’è un problema della conservazione della diversità dei territori”38: è proprio questo l’obiettivo, sicuramente problematico che costituisce la sfida maggiore per il progetto.
Sul tema dello spazio non edificato, del suo destino, delle sue grandi potenzialità; sulle possibilità di raccordo tra il contesto di antica sedimentazione e il costruito recente che il progetto dei “vuoti” saprebbe evidenziare e mettere a frutto; sul modo di progettare nel/il paesaggio - che può essere profondamente condizionato e trasformato non soltanto dai grandi tracciati transnazionali, ma anche da un intervento di piccola entità, alla scala edilizia -, vertono gli interventi portati al convegno; a partire dal complesso monumentale di Valmarina (Paolo Belloni), nel Parco dei Colli di Bergamo che andrebbe riconnesso con una serie di accorte azioni progettuali all’area vasta cui appartiene (Roberto Spagnolo), essi illustrano storie, situazioni, proposte e interventi relativi a contesti territoriali diversi: dal progetto Alptransit Ticino - linea ferroviaria veloce che attraversa la Svizzera -, alla realizzazione di una casa nell’Isola di Paros, in Grecia (Aurelio Galfetti); dal progetto per i paesaggi costieri del Randstadt olandese (Emanuela Bartolini), alle linee di azione strategica previste per il sistema di parchi delle residenze sabaude e del verde che costituisce la “Corona di Delizie” attorno a Torino (Paolo Castelnovi); dal Piano del Parco dell’Adige, a Verona (Alessandro Tutino), alle soluzioni, interne al PGT di Bergamo per il “corridoio verde”, ovvero il parco lineare che riconnette e ridisegna i vuoti urbani della città (Bruno Gabrielli, Aurelio Galfetti).
Nell’ottobre del 2007 si tiene a Parma e Guastalla il Seminario ANCSA “La Gestione dei Centri storici”, che proseguendo la serie di iniziative e di confronti in corso a livello internazionale, sviluppa l’assunto secondo il quale il progetto della città e del paesaggio storico non può prescindere dal progetto di gestione delle trasformazioni territoriali, che andrebbe a sua volta ricondotto ad una strategia di governo unitaria e a una implementazione sottoposta a costante controllo nel tempo.
Il Premio Gubbio 2009 - tema proposto “Interventi sul patrimonio edilizio e/o iniziative gestionali ed organizzative nel quadro di strategie di riqualificazione di ambiti urbani o territoriali” - istituisce una Sezione Internazionale per l’America Latina e il Caribe, a sancire un rapporto di collaborazione in corso da alcuni anni con enti culturali e studiosi delle città di Buenos Aires e L’Avana.
Il Premio per la Sezione America Latina e Caribe, è assegnato a “Riqualificazione integrale del percorso ‘La Ronda’ e conservazione del Centro indigeno di Tulipe”, progettato e presentato dalla Arcadia Metropolitana di Quito (Equador), e ritenuto di grande rilevanza “per il recupero del significato abitativo originario del quartiere e dell’uso pubblico degli spazi commerciali, culturali e di servizio”.
Vincitore del Premio per la Sezione Europea è il progetto “Les abords de la Basique de Saint Denis” (France), di Franco Zagari, Jean-Louis Fulcrand, Faouzi Doukh, presentato da Plaine Commune, France e “riferimento imprescindibile per chi si occupa di progettazione degli spazi aperti nei centri storici”.
La menzione d’onore è andata rispettivamente alla Camara Municipal do Porto per il Piano di Gestione di Porto Antica, iscritta dal 1996 alla World Heritage List dell’UNESCO, e all’Oxford Preservation Trust per l’ “Oxford Castle Project” che ha convertito in albergo l’edificio medievale adibito a lungo a prigione.
Il Premio per la Sezione Nazionale è assegnato al progetto dello Spazio Vedova alle Zattere, di Renzo Piano, presentato dalla Fondazione Emilio ed Annabianca Vedova e realizzato all’interno dei Magazzini del Sale. Anche in questo caso la motivazione, enunciata da Tommaso Giura Longo riflette le posizioni dell’associazione, riferendosi ai corpi di fabbrica “restaurati con rispetto assoluto dello spazio e della matericità della preesistenza, all’interno del quale le opere accatastate sul fondo, possono scorrere su un binario centrale mediante navette dotate di bracci estensibili comandate elettronicamente che prelevano le opere per collocarle nel punto previsto”. Un felice rapporto tra preesistenze e nuove tecnologie contrassegna anche il progetto destinatario della Menzione d’onore, “Città dell’altra economia” all’ex Mattatoio di Testaccio, in Roma, ove “oltre al restauro conservativo e alla riabilitazione strutturale condotti in maniera esemplare”, l’autore, Luciano Capelloni, inventa “uno spazio ulteriore… una nuova struttura in acciaio e vetro, indipendente, ma fortemente integrata con l’esistente”.
Il Premio Giulio Carlo Argan, al quale intervengono Raffaele Panella e Paolo Desideri, è conferito a Carlo Ajmonino, prestigioso maestro dell’architettura e dell’urbanistica italiane.
Centri Storici. Gestire la trasformazione è il titolo del volume curato da Silvia Bossio e Stefano Storchi con il patrocinio della Dirección General del Casco Histórico di Buenos Aires, dell’ANCSA, e dell’Oficina del Historiador de la Ciudad de La Habana39.
Il confronto, che ha già avuto luogo attraverso le mostre e i seminari, approda così alla pubblicazione, che, pur accettando un certo grado di incompletezza, allinea esperienze di grande interesse condotte in diverse città italiane, spagnole e sudamericane40 nella convinzione che, al di là degli specifici contesti culturali, una dimensione globale relativa alle tematiche dell’intervento nel centro storico e nella città contemporanea accomuni i paesi del mondo. La lettura sintetica che viene proposta è resa omogenea dalle voci di una scheda appositamente predisposta che fa da comune layout. Questa si snoda seguendo, in parte idealmente, in parte effettivamente, le fasi di piani strategici e piani di gestione focalizzate sulla visione delle tematiche relative al centro storico, ed articola in una serie di campi preordinati i contenuti e i risultati dell’azione di governo: le forme di gestione, con le strutture operativa, le modalità, le strategie di intervento; i modelli di gestione, con i meccanismi e gli attori della concertazione; i compiti della struttura gestionale, con la definizione dei possibili scenari operativi rispetto alle aspettative e alle reazioni dei cittadini; i fattori positivi e negativi che influenzano l’attività gestionale; le risorse economiche, pubbliche e private a supporto dell’intervento; gli esiti conseguiti e gli obiettivi futuri.
Tale descrizione del processo di governo delle trasformazioni urbane rende efficace la comparazione tra i casi presentati, dando luogo a una serie di riflessioni relative alle città italiane e spagnole e alle città dell’America Latina e del Caribe; essa evidenzia, anche, i processi di frammentazione delle competenze burocratiche intervenuti in alcuni strutture amministrative che, dopo gli anni degli “uffici per i centri storici” istituiti in tante città, hanno compromesso le possibilità di gestire il territorio in modo integrato, considerando unitariamente sul piano politico e operativo, le valenze estetiche, funzionali, economiche e sociali. Il confronto consente, infine, di individuare le tante assonanze riscontrabili nelle esperienze proposte “un’analogia di problemi, a cui tuttavia sono state date risposte differenti [ma] che porta a concludere che le città e i loro centri storici affrontano interrogativi analoghi, pur in contesti assai diversi e fisicamente lontani”41.
Tra le ultime attività che hanno visto protagonista l’associazione, vanno segnalate: Convegno nazionale "Identità/Trasformazione” (Firenze, maggio2008), e il Convegno “Centri Storici e Città Contemporanea. Politiche pubbliche e strategie di intervento” (Palermo, febbraio 2010) curato da Teresa Cannarozzo con il CIRCES (Centro Interdipartimentale di ricerca sui centri storici dell’Università di Palermo) e il Dottorato di ricerca in Pianificazione Urbana e Territoriale. Il convegno, svolto in partenariato con l’ANCSA e l’INU, riprende e sintetizza i temi esplorati dall’associazione nella seconda metà del decennio. L’incontro è finalizzato a individuare le politiche pubbliche più idonee e le migliori strategie operative per il recupero e la rivitalizzazione delle città storiche, e focalizza l’attenzione sui concetti di identità urbana, permanenza, mutamento, innovazione, sulle problematiche economiche e sociali, sugli attori pubblici e privati protagonisti dei processi di recupero/riqualificazione e sulla qualità degli interventi progettuali
Il processo di recupero del centro storico di Palermo, del quale con Teresa Cannarozzo discutono Pierluigi Cervellati, Bernardo Rossi Doria, Giuseppe Trombino, Maurizio Carta, Giuliano Leone, è posto a confronto con casi di riutilizzazione esemplare del patrimonio edilizio storico e con interventi di riqualificazione urbana illustrati da Franco Zagari (Saint Denis, Francia), Gianluca Della Mea (Bergamo), Stefano Storchi (Parma); Francesco Gastaldi (Genova), Franco Mancuso (Venezia), Francesco Cellini (Roma).
1 Cfr. nel sito dell’associazione gli eventi di carattere generale scelti per inquadrare l’attività dell’ANCSA (www.ancsa.org). Le frasi in corsivo nel testo sono tratte dai documenti riportati sul sito, consultabili anche negli opuscoli che l’ANCSA ha pubblicato in occasione del conferimento del Premio Gubbio.
2 La questione era stata avanzata nel Seminario “La carta di Gubbio 1990: problemi e orientamenti operativi degli enti locali e territoriali”. Ferrara, 7-8 giugno 1990.
3 Gli Atti, integrati da ulteriori contributi sul tema, sono stati pubblicati a cura di A. Terranova in «Groma Quaderni» 3, 1997.
4 Ib., p. 103.
5 Ib. pp. 43-44.
6 Ib., p. 41.
7 Ib., citazioni alle pp. 9-17.
8 A. De Andreis, G. Polo( a cura di), Patrimonio del 2000. Un progetto per il territorio storico nei prossimi decenni, Atti del XII Convegno-Congresso Nazionale ANCSA, Modena, 24-26 ottobre1997, sl, sd.
9 Sarà questo il tema centrale del Convegno “Prospettive delle tematiche ANCSA e ruolo futuro dell’Associazione” che si terrà a Lucca nell’ottobre 1998.
12 Ib., citazioni alle pp. 62-63.
13 Ib., citazioni alle pp.71-73.
14 Si tratta, rispettivamente, di: Vittorio De Feo e altri, Progetto per la nuova sede dell’Amministrazione provinciale di Pordenone; M. Botta, Progetto per la sistemazione del Piazzale della Pace, a Parma.
15 Cfr. Pre-Atti del XIII Convegno-Congresso Nazionale ANCSA “Contemporaneità e identità del territorio: le sfide del 3° millennio”, Perugia, 7-8 novembre 2003.
16 La conservazione “attiva”, molto prima di essere reinventata dall’ANCSA, è un prodotto della cultura del restauro, consapevole che qualunque intervento, anche il più contenuto, modifica il suo oggetto, e che, di conseguenza, costituisce una forma di rinnovamento: in ambito accademico, ma non solo, è da tempo condiviso il concetto di conservazione come “governo delle trasformazioni”.
17 S. Carullo (a cura di a cura di), Turismo e Centri Storici nell’Italia contemporanea, Atti del Convegno di Studi, Firenze, 29 aprile 2005, Bergamo, 2005
18 Vedi anche il Convegno Internazionale “I Boschi Sacri in Europa, Valorizzazione e Salvaguardia”, Valladolid, 7-8-9 aprile - Spoleto, 13-14 maggio 2005.
19 Ib.,citazioni alle pp. 57-61.
20 S. Casini Benvenuti, ib., pp. 74-76.
21 Ib., pp.16-22
22 Ib., (pp.28-34).
23 B. Gabrielli, Premessa al Convegno, p. 8.
24 Ib., citazioni alle pp. 42-53.
25 M. Leone, ib., pp. 54-55.
26 Spazi aperti nei contesti storici, Atti del Convegno Nazionale ANCSA, Bergamo 13 maggio 2006, Bergamo 2007.
27 Ib., p. 15.
28 Ib., p. 23
31 Ib., p. 28.
30 Ib., p. 40.
31 Ib., p. 47.
32 Ib., p. 53.
33 Va segnalata, anche se esterna all’ANCSA, l’iniziativa promossa nel maggio 2008 a Roma dalle Facoltà di Architettura "Ludovico Quaroni", di Scienze della comunicazione, di Scienze umanistiche e di Studi orientali, con il convegno dal titolo “Roma, paesaggi contemporanei”, i cui atti sono stati pubblicati nel 2009 a cura di Marina Righetti, Alessandro Cosma, Roberta Cerone, e nel corso del quale, secondo ottiche disciplinari diverse, il tema della città contemporanea è stato posto a confronto con la realtà di Roma, "città eterna", ma che al tempo stesso muta sotto il profilo antropologico, architettonico, culturale, economico e mediatico. Figure di Architettura per la Città a Bolle e Crepe, è il titolo del contributo presentato da A. Terranova, Vice Presidente dell’ANCSA.
34 S. Carullo (a cura di), Geometria e natura, Atti del Convegno Nazionale ANCSA, Bergamo 13 ottobre 2007, Bergamo 2008.
35 C. Macchi Cassia, R. Gambino, “Le ragioni di un convegno”, ib., p. 9.
36 Ib., p. 24.
37 Ib. citazioni alle pp. 31-35.
38 Ib., citazioni alle pp. 39-41.
39 S. Bossio, S. Storchi (a cura di), Centri Storici. Gestire la trasformazione / Centros Historicós. Gestionar la transformación, Cremona, 2009.
40 Si tratta dei centri storici delle città di Arequipa, Asunción, Bergamo, Bogotà, Bologna, Buenos Aires, Firenze, Florianópolis, Genova, La Habana, Madrid, Malaga, Mantova, Milano, Montevideo, Napoli, Pachuca, Parma, Quito, Santa Cruz de la Sierra, Santa Tecla, Santiago de Chile, Valencia, Venezia.
41 Centri Storici. Gestire la trasformazione Centri Storici…, cit., p. 7.