Questo sito utilizza cookie e tecnologie simili.

Proseguendo nella navigazione accetti l'utilizzo di cookie di terze parti. Per saperne di piu'

Approvo

La polisemia del paesaggio

Indice

La sfida dell’ineffabile



Ciò di cui c’è bisogno è di un’analisi scientifica di quella forma strana di semiosi che trasforma il paesaggio in un testo narrativo a valenza estetica: c’è bisogno di uno sguardo semiotico sul punto di vista estetico. Essendo sin d’ora chiaro che, così facendo, non ci apprestiamo a dar luogo ad un’ennesima disciplina geo-grafica mirata a fondare la conoscenza di un qualche sottosistema del mondo; ciò che si tratta di capire è come il meccanismo della semiosi genera il più polisemico, il più aperto, il più ambiguo dei paesaggi: il paesaggio estetico per l’appunto.

Questo tipo di indagine è complicato dal fatto che il paesaggio estetico ci costringe a dilatare la nozione di senso fino a comprendere quegli effetti di senso che assumono la forma di un’ineffabile emozione (o, come diceva Greimas, di una “presa estesica”); ma anche l’ineffabile pone al semiologo la sfida di essere spiegato per l’appunto nella sua natura di effetto di senso, cioè di prodotto della semiosi.

È appena il caso di osservare la differenza di impostazione tra una analisi semiotica del fenomeno estetico e quella riflessione filosofica che ha improntato di sé l’estetica del paesaggio, in particolare nel contesto della cultura italiana. Mi riferisco all’elaborazione, pure importante, di Rosario Assunto, che ha protratto, ben al di là di quanto i tempi avrebbero consigliato, una riflessione in chiave estetico-romantica. In questo tipo di Estetica filosofica non si mira ad esaminare la struttura semiotica del testo e le ragioni per cui essa può esercitare una funzione estetica:[1] l’estetico è sostanzialmente indicibile, dipendendo esso da quella facoltà misteriosa che è l’intuizione[2]. Rinunciando a spiegare il funzionamento semiotico del testo estetico, questa Estetica finisce per incentrarsi soprattutto sulla costruzione di un codice della sensibilità, per cui, ad esempio, di fronte allo spettacolo infinito delle montagne si deve provare il senso del ‘Sublime’, che è un certo stato dell’anima che ci si premura di descrivere. Là dove questa Estetica cerca una motivazione di fondo sulla esteticità del paesaggio, con mossa tipicamente romantica, si appella al mito e ai suoi simboli, e quale mito è in questo caso più pregnante di quello della Terra Promessa e dell’Eden perduto (Assunto 1984)?

Dieci anni prima che Assunto pubblicasse il suo “Il paesaggio e l’estetica” (1973), Roman Jakobson pubblicava gli “Essais de linguistique générale”. I “Collected Papers” di Peirce, opera fondamentale del pensiero semiotico, sono di quarant’anni precedenti. Credo vi sia bisogno, anche nel campo della riflessione sul paesaggio, di un aggiornamento scientifico che cerchi di mettere a frutto gli strumenti su cui si basa, ormai da qualche tempo, l’analisi del testo estetico nel campo delle lettere come in quello delle arti figurative (Corrain, Valenti 1991).

Forse sbaglierò ma mi sono fatto l’idea che il rifiuto, a volte aspro, di porsi il problema dell’esteticità del paesaggio dipenda dal persistere di una vecchia concezione dell’estetico (quando non addirittura di una concezione volgare per cui la semiosi estetica viene ridotta ad un semplice giudizio sulla bellezza o la bruttezza delle cose) e dalla incapacità di fare i conti con il suo meccanismo cognitivamente imperfetto.

 


[1] “Tipico delle estetiche romantiche è descrivere l’effetto che l’opera d’arte produce, non il modo in cui lo produce. L’estetica romantica non mette a nudo l’artificio, come avrebbero detto i formalisti russi, ma racconta l’esperienza di chi soggiace al fascino dell’artificio.” (Eco 1984, 221).

[2] In proposito si può vedere: “Croce, l’intuizione e il guazzabuglio”, Appendice 2 a Kant e l’ornitorinco (Eco 1997, 375-387).