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Il paesaggio cognitivamente perfetto della Geo-grafia
“Il problema di ogni scienza è quello di far combaciare i mari del Sud, il loro blu immenso e frastagliato, con l’azzurra carta geografica dei Mari del Sud.” (Claudio Magris)
Credo che chiunque tenti di dare una risposta al quesito in ultimo posto non possa evitare di provare una sorta di vertigine dell’innumerevole. In effetti i significati che possiamo attribuire ad una porzione di mondo sono davvero innumerevoli: in primo luogo perché il complesso dell’informazione percettiva del mondo è infinitamente segmentabile e ogni segmentazione si fa luogo generativo di significati; in secondo luogo perché il complesso dei significati che attribuiamo al mondo, cioè quella che i semiologi chiamano la nostra Enciclopedia, è connesso da un reticolo che consente di passare da un significato ad un qualsiasi altro all’interno di un sistema di concatenamenti praticamente illimitato: “la conoscenza del mondo, o enciclopedica, è nella sua totalità, irrapresentabile (…), perché se si “apre” il significato fino ad includere tutte le conoscenze relative a un dato termine, la rappresentazione tende ad esplodere e divenire immaneggiabile.” (Violi 1997, 87). Nella trasformazione del mondo delle cose in un mondo di senso abbiamo il duplice problema di espandere il senso fino a dominare l’infinita segmentabilità dell’universo e al tempo stesso di mantenere il senso nei limiti della dominabilità.
In questo lavoro di espansione a fissione controllata dell’universo del senso la conoscenza scientifica svolge, nella cultura contemporanea, un ruolo imprescindibile: nessun dialogo sul senso del mondo sarà più possibile se non saprà fare i conti con il possibile della scienza, e ciò vale anche per il paesaggio: oggi noi qui non potremmo neppure cominciare un dialogo sul senso del paesaggio se non avessimo quella base culturale comune che ci deriva dalla Geo-grafia. Dunque è di lì che dobbiamo partire alla ricerca del senso del paesaggio.
Non è mia intenzione tentare una panoramica dello stato dell’arte delle varie geo-grafie, in primo luogo perché non ne sarei in grado, secondariamente perché è altro il problema su cui mi preme portare l’attenzione. Brevemente però vorrei osservare che la conoscenza scientifica in campo ambientale sta vivendo una stagione di vera e propria esplosione: un po’ a tutti i livelli si conducono ricerche, si costituiscono banche dati (la più moderna forma di memoria artificiale), si elaborano teorie, metodi e tecniche sempre più sofisticati e probabilmente questo è solo l’inizio di un’epoca che sa di non poter fare a meno di una conoscenza scientifica sempre più perfezionata dei processi che governano lo stato dell’ecosfera e di una tecnologia in grado di intervenire efficacemente su tali processi. Peraltro, quanto più rapido è lo sviluppo delle conoscenze tanto più rapido è il loro processo di obsolescenza: la nostra natura semiotica ci condanna al senso e alla sua provvisorietà.
Probabilmente il paradigma della complessità, che anche per la sua relativa novità ci affascina più di altri, è destinato ad avere riflessi, a provocare qualche ristrutturazione anche all’interno dell’universo semantico delle geo-grafie e, a seguito di queste ristrutturazioni, certi contenuti potranno essere messi in crisi e sostituiti da altri ritenuti più aderenti a quello che ci pare essere il senso del mondo. D’altra parte è proprio questo il processo di metamorfosi della conoscenza e mai come oggi questo processo si va accelerando.
Ecco dunque una parte fondamentale del senso del mondo e di ciò che provvisoriamente possiamo chiamare “paesaggio” e, visto che la ricerca scientifica è anche quella che conduce alla forma di conoscenza più perfetta, potremmo dire che il paesaggio scientifico delle geo-grafie è sinonimo di paesaggio cognitivamente perfetto; dando per scontato che, non essendo alla nostra portata la perfezione eterna, la perfezione che possiamo permetterci è solo quella effimera che riesce ad assaporare il successo di una stagione.
Il paesaggio geografico è dunque affetto da una polisemia in continua espansione a causa della crescente segmentazione e specializzazione del sapere, la quale richiede che l’unità del sapere venga ritrovata a nuovi livelli e alla luce di nuovi paradigmi; essa è, per ciò stesso, anche una forma di polisemia contraddistinta da un crescente grado di provvisorietà.
Vi è però un dato di fondo che accomuna le varie geografie e che ritroviamo nei loro atlanti, cioè nelle rappresentazioni che esse ci forniscono dei loro paesaggi. Quest’idea centrale è che “il tutto è connesso al tutto” e che “ogni cosa è parte di un sistema di sistemi”. Poi quale debba essere il modello di “sistema” è anch’esso definito solo provvisoriamente, così come è in continua discussione il modo di applicare questo modello a ciascuno degli aspetti del mondo, al modo in cui segmentarlo e pertinentizzarlo per farlo diventare sistema. Ma vi è pur sempre questa convinzione di fondo che accomuna le varie discipline scientifiche, per cui la realtà è un sistema di sistemi di cui il soggetto conoscente è parte integrante. Che poi questo modello sia una proprietà ontologica dell’Essere o sia semplicemente il modo più efficace per organizzare il senso che attribuiamo all’Essere è questione che possiamo lasciare agli appassionati di metafisica.
Detto questo, essendo noi animali sociali (come molti altri) dobbiamo accordarci sulle configurazioni del sistema e sulle sue leggi e ciò richiede negoziazione: pare cioè che la scoperta del sistema non possa avvenire se non come scoperta della comunità e se non sotto forma di cultura socialmente approvata e condivisa.
Vi è poi un altro aspetto che accomuna le varie discipline geo-grafiche: ciascuna di esse si occupa di un ben delimitato segmento dell’Universo Semantico Globale, sul quale esercita una sorta di dominio cognitivo e del cui arricchimento è responsabile. Condividere l’idea che l’universo sia un sistema di sistemi e occuparsi di un ben delimitato sistema aperto al resto dell’universo paiono costituire requisiti indispensabili per essere ammessi nel Consesso delle Discipline Geo-grafiche.
Di questo paesaggio polidisciplinare non possiamo fare a meno, sempre che non si voglia ripiombare in una cultura che non ci appartiene più e che può interessarci solo per capire ciò che siamo stati e da dove veniamo. Di questo paesaggio non possiamo fare a meno se vogliamo con successo modificare il paesaggio esistente in un paesaggio possibile e desiderabile: non vi è progetto di cambiamento che possa prescindere dal significato del paesaggio geo-grafico, perché esso è il significato che è stato costruito nel modo più efficiente per guidare l’azione pratica del nostro rapporto con il mondo.
Sorge però un interrogativo: il paesaggio geo-grafico esaurisce il senso possibile del paesaggio? O al di là del senso del paesaggio geografico ne esiste uno ulteriore, che non troviamo scritto e rappresentato nei suoi atlanti? Il problema è di capire che cosa si tralascia nel momento in cui ci si limita al senso cognitivamente perfetto delle geo-grafie, che guardano al mondo delle cose come ad un complesso sistema di sistemi.