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Il problema metodologico della esportazione dei progetti: tra colonialismo per modelli e progettazione ad hoc
A. Interpretare la struttura urbana di una città storicamente molto sedimentata, come sono di norma le città europee, è un esercizio di discernimento molto complesso: da una parte concorrono le ragioni progettuali, la potenza costruttrice, l'intuizione creativa di chi ha fatto, dall'altra si devono tenere in conto le culture, i modelli di comportamento, le vicende socioeconomiche di chi ha abitato.
Riconoscere nella struttura urbana di una città elementi, logiche, metodi utili per il nuovo, il progetto del nostro tempo, richiede sia una capacità di "simpatia" rispetto alla forma urbana che una capacità di "straniamento" rispetto alla storia, è una ricerca da svolgere con attenzione ma senza avere paura di misurarci con eventi urbani che godono dell'enorme valore aggiunto dato dalla storia, della "strutturalita'" implicita in ogni spazio che sia stato vissuto da una comunità per decenni.
Estrarre da un contesto storico un modo di produzione di brani di città per riproporlo in un altro contesto, dislocando nello spazio e nel tempo le stesse modalità, richiede inoltre un secondo ordine di attenzioni, simili a quelle che si devono utilizzare nei trapianti di organi, in termini di ricerca della compatibilità e di conoscenza analitica del funzionamento del sistema sul quale si interviene.
Per la ricerca sulle "areas de bordo" si affrontano insieme i tre passaggi sopra indicati, di estrapolazione storica e geografica, richiedenti diversi ordini di attenzioni:
- la verifica della capacità dell'organismo a ricevere (ottenibile con una ricognizione sulla relazione forma urbana/società utente, obbiettivo del contributo di ricerca sulle "areas de bordo" di Valencia),
- la ricerca di compatibilità (ottenibile comprendendo le possibili "simpatie" tra i casi in esame, elencate nel secondo capitolo di questo Rapporto) ,
- la conoscenza analitica dei processi "fisiologici" che governano la parte da trapiantare e i suoi rapporti con il resto dell'organismo (argomento degli ultimi capitoli della ricerca, sul ruolo dei viali nella situazione di Torino e sulla loro storia nello sviluppo urbano).
B. In altre occasioni, nella attività di ricerca progettuale degli ultimi anni, il nostro apprezzamento per l'identità dei luoghi e delle culture ci ha portato spesso a leggere più le differenze che le ricorrenze, ad esaltare più il singolare che il tipologico, a ritenere i suggerimenti più dal localismo che dallo strutturale, ad intepretare la storia più un prodotto di sedimenti irripetibili che una produttrice di modelli cristallini asportabili.
Quindi nelle altre occasioni, pur facendo nostre le attenzioni sopra indicate, abbiamo lavorato per leggere la complessità della storia e del lavoro del genius loci e proporne progettualmente un modo di continuare il processo con cui si sono costruite nel tempo e con cui sono state utilizzate, che le ha in qualche misura "saldate" al resto della città, differenziandole e "segnandole" con i caratteri specifici del luogo.
In questo caso il tema di ricerca ci impone di lavorare con gli stessi strumenti metodologici (valutazione della ricettività, della compatibilità e della autonomia "fisiologica") ma per raggiungere l'obbiettivo opposto: dobbiamo distinguere una serie di componenti "pure" nella struttura urbana consolidata in modo da poterle esportare mantenendo intatte le loro caratteristiche strutturanti.
Un primo approccio è quello di risalire al momento progettuale, alla storia dei piani urbanistici, in cui i caratteri distintivi dell'idea innovativa sono proprio quelli della "purezza", quasi sempre appannata nella realizzazione e ancora maggiormente nella successiva sedimentazione di usi e di comportamenti.
I Piani della Torino ottocentesca, ispirata all'illuminismo e alla razionalità magnanima della borghesia urbana e industriale vincente, offrono una splendida illusione di purezza e un grandioso utilizzo di modelli logico-geometrici.
L’indagine rende conto della capacità di reimpianto urbano espressa nei piani di Torino dell'800: un vero linguaggio di città capitale applicato ad un sito già compiutamente strutturato e organico, ricco di spunti per tutto il secolo successivo, sino ai progetti "direttori" del Piano attualmente in dibattito.
Ad assumere tali disegni come modello si rischia tuttavia di irrigidire il loro già prepotente contenuto ideologico, di veicolarlo con il disegno e di rendere "imperialistica" la traduzione.
Di nuovo la terapia più adeguata sembra essere la "progettazione ad hoc", legata ai temi e ai problemi del sito da trasformare, in cui il localismo offre una guida sicura per evitare il rischio di una importazione acritica e pone con concretezza pratica la gerarchia dei problemi attuali e urgenti, correggendo la sovrapposizione deformante di fattori ideologici del progettista.
La dimensione urbana dei temi oggetto di questa ricerca impongono necessariamente un criterio di verifica basato sulla progettazione ad hoc, ma paradossalmente è proprio questa da questa base metodologica che si è partiti per richiedere un apporto di modelli di riferimento progettuale nuovi e forti.
Infatti la seconda riflessione, dopo quella "ingenua" di tentare una importazione di modelli progettuali ideologici "puri", cioè non misurati con la realtà della loro fenomenologia storica, è quella di verificare la sostanziale somiglianza del problema centrale: l'intervento che andiamo definendo si contrappone al rischio generalizzato delle periferie di produrre ambienti di vita senza identità.
Si tratta quindi di tentare le vie già provate per resistere all'entropia della indifferenza urbana delle espansioni recenti, contesto comune a Torino, a Valencia come a gran parte delle città in questa fine di millennio.
Proprio un criterio di progettazione ad hoc chiede quindi aiuto ai modelli di produzione dello spazio urbano che hanno mostrato di resistere a questa tendenza generale, validi in quanto provati nel tempo e verificabili in situazioni reali.
Si tratta quindi di individuare le tecniche di trapianto più adatte, sapendo di non dover tradire la radice del lavoro, che tende a produrre comunque trasformazioni diverse, caso per caso, adeguate ad ogni diverso contesto.
C. Nella periferia che tende a non raggiungere gli elementi di "ordinata differenza" necessari per ottenere una identità ambientale vissuta dai suoi abitanti come tale, la necessità di elementi forti, di riferimenti visivi e formali è molto sentita e negli ultimi anni, praticata con insuccesso nella produzione di un nuovo sistema di monumenti edilizi isolati.
D'altra parte le trasformazioni derivanti dalla applicazione massificata di tipologie di impianto o di sistema urbanizzativo di tessuto hanno spesso prodotto spazi differenti ma privi comunque di identità: la differenza di impianto dei quartieri periferici è diventata una variante libera, come i decori negli ordini delle facciate ottocentesche.
In qualche caso anche gli interventi, che derivano da una tipologia di impianto progettata in modo assolutamente ripetitivo, hanno assunto nel crescere della città un ruolo formale e funzionale differente tra loro, pur appartenendo alla medesima mentalità progettuale, allo stesso periodo e alla stessa città. Si tratta di esiti di interazioni con il contesto: il nuovo intervento, in maniera spesso casuale, ha generato una trasformazione nel modo d'uso dello spazio preesistente e circostante: si è saldato alla città e in questa azione l'ha trasformata e ne ha rinforzato il grado di identità in quel punto.
E' ciò che accade a Torino con una serie di piazze e di viali, che hanno innervato la città molto al di là della loro stessa funzione, continuando gli effetti della impostazione ideologica ottocentesca anche quando i motivi di questa impostazione erano venuti a mancare, per il tramonto della ideologia che li aveva prodotti: la borghesia illuminata.
Quindi il tema del nostro lavoro è legato al riconoscimento di "tipologie creative", cioè di elementi urbani già consolidati di cui si verifica il ruolo di "elementi chimici a forte legame elettrico" con il contesto, tali cioè da generare nel tempo progressivi processi interattivi.
Non si tratta di progettare oggetti quanto di studiare situazioni già esistenti a Torino, estrarne le regole e simulare gli effetti di amenagement complessivo, simulandoli nella situazione valenciana, vero tema della ricerca.
Si può parlare quindi di "progetti di territorio" che integrano al loro interno componenti sia urbanistiche che più propriamente architettoniche, senza soluzione di continuità.
In altri termini la ricerca dovrà consentire la verifica sul "tipo di paesaggio" che consegue alla applicazione di un elemento risultato efficiente in un altro luogo, sul tipo di ambiente che si contribuisce a costruire, sulla qualità degli spazi finali e di comportamenti urbani che si generano in quel luogo.
Nonostante l'evidente semplificazione e una certa ingenuità di questo approccio "tipologico" rivisto, si dovrebbe evitare un rischio spesso congenito nella progettazione urbanistica di livello intermedio: non riuscire a valutare gli effetti delle proposte di modello urbanistico se non quantitativamente.
Non è certo una eccezione che singoli progetti realizzati, conformi a piani urbanistici dotati di standards perfettamente condivisibili, di logiche normative assolutamente coerenti e congruenti, configurino ambienti intollerabili dal punto di vista della "qualità urbana complessiva" e dell'impatto sul paesaggio.
Se una tale logica conduce per forza ad una larga approssimazione sugli aspetti quantitativi dell'urbanistica e sulle congruenze dovute ai pesi dei diversi interventi, d'altra parte permette di valutare intuitivamente la qualità dell'ambiente riprogettato e il suo impatto trasformativo sia nel paesaggio sia rispetto alle attività umane.