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Contributo sul paesaggio per il Progetto Appennino Parco d’Europa

Indice

Tipi di paesaggio della montagna “da dentro”

Compresente e talvolta conflittuale con il senso dell'Appennino di chi ne ha un'immagine dai bordi o dal fondovalle, è quello di chi definisce un'immagine della montagna 'da sopra' e 'da dentro'.

Gli aspetti e i temi di questo modo, storicamente minoritario e elitario, comportano molte sfaccettature e citazioni, che comunque hanno come comune denominatore l'evidenza della differenza.

L'interpretazione più convincente è infatti che esista una cultura consolidata della montagna appenninica che assegna al paesaggio un ruolo forte proprio in quanto diverso e complementare al senso del paesaggio 'domestico': in quanto dà il senso dello sconosciuto nella propria terra, del non facilmente appropriabile ma a portata di mano, della zona d'ombra nel giardino. Si tratterebbe, a livello territoriale, di un carattere fondativo della psicologia del personale senso dello spazio (come introduce Gaston Bachelard nella 'Poetica dello spazio', per la soffitta o la cantina della casa che ricordiamo da bambini [1]): una parte necessaria per l'equilibrio dell'abitare proprio per la sua condizione di estraneità, mantenuta appositamente come un 'altrove' presente comunque nella dimensione del quotidiano urbano o contadino.

Questi aspetti paiono [2] posti alla base delle motivazioni più diffuse di chi si inoltra volentieri nei territori più interni dell'Appennino, a 'permanere optime' o comunque a immergersi in un paesaggio coinvolgente.

Si è disgregato il sistema di ordinaria antropizzazione presente fino a pochi anni fa in tutto l'Appennino: anche in quota, nelle valli boscose, nei passi più impervi, in ogni panorama si sentiva comunque un presidio rurale o pastorale che oggi è molto spesso ridotto a traccia,generando nel paesaggio un senso di abbandono e non più di presenza. Cresce un processo di inselvatichimento (più che di naturalizzazione) del territorio che corrisponde ad una crescita del peso dei segni di alterità, sia nel loro ruolo oggettivo (dato che decadono i segni materiali della presenza viva della coltura/cultura) sia nelle attese soggettive e nell'immaginario del fruitore del paesaggio montano. Infatti non sembra perdersi il senso forte di identità, ma i fattori di differenza si radicalizzano. Il paesaggio della montagna dell'Appennino, dopo aver rappresentato per millenni il consolidarsi della confidenza dell'uomo nei confronti della natura e viceversa la tolleranza della montagna per i modesti formicolii antropici, sembra assumere oggi i segni e la rappresentazione del distacco, di un chiudersi al rapporto con l'uomo moderno, le cui pressioni si segnano come effrazioni, intrusioni in casa d'altri.

Il segreto, il deserto, l'arcaico, il distacco, il sacro, sono tutti caratteri primari del paesaggio, propri della montagna appenninica, da sempre presenti ma oggi emergenti e dominanti, man mano che perdono vigore i segni del paesaggio che si riconosceva come domestico di comunità insediate.

 

a,         il segreto, della natura nascosta o della traccia perduta dell'insediamento, è un senso generato da diversi effetti, spesso ricercati e talvolta accidentalmente verificati da

* l’effetto di entrare in un interno inaspettato, di andare dietro le quinte, generato da:

- morfologie del contenitore orografico (fondovalle ciechi, conche  chiuse: il nascosto dentro)

- itinerari di facile accessibilità che affrontano i salti di quota e i passi con apertura improvvisa di nuovi paesaggi sottostanti (il nascosto al di là: effetto Shangri-là),

- l’orizzonte mobile degli altopiani, delle parti cacuminali di dorsale a panettone o delle terrazze pascolive susseguentesi (il nascosto sopra);

* il panorama aperto ma con nicchie di paesaggio da “guardare con la lente”: quasi ogni visuale a largo raggio ha al suo interno almeno un segmento di interesse particolare, anche se non immediatamente emergente: la parete rocciosa, il prato in forte pendenza, l’altopiano chiuso e colorato in quota, il percorso nella gola, il lago, l’edificio isolato nel pascolo o nel bosco, il borgo fortificato o l’oppidum murata nel contesto agricolo poco alterato e bordato da elementi naturali. La presenza di specifici elementi di attenzione nel quadro generale di un panorama complesso stimola un atteggiamento di curiosità, introduce una serie di attenzioni capillari a margine degli itinerari turistici e una consuetudine all’apprezzamento di micropaesaggi e di specifiche inquadrature, fruite preferibilmente in solitudine e di cui ci si appropria con esperienze personali irriproducibili;

* la natura o la testimonianza storica racchiusa in luoghi nascosti e poco accessibili e perciò tanto più potente quanto più inaspettata e dominante il suo microcontesto: l’acqua nelle gole e il loro skiline “giapponese”, il romitaggio, il percorso vertiginoso sulla forra, l’insediamento medioevale abbandonato, il convento, sino all’intero abitato nascosto come alcuni centri antichi in nodi di fondovalle.

L’esperienza del “segreto” nel paesaggio sembra apprezzarsi a specifiche condizioni:

- la modalità di fruizione del paesaggio deve essere coerente con il suo “senso”: ad esempio ove si tratta di paesaggi della solitudine si perde ogni segreto a fruirli in compagnie numerose (vedi i romitaggi); d’altra parte ove si apprezza l’effetto sorpresa del segno rispetto al contesto (vedi ad es.Castelluccio o Macereto nei Monti Sibillini), alterare le condizioni di fruizione del contesto equivale ad alterare il monumento. Va caso per caso considerato come si produce il micropaesaggio chiuso all’esterno e aperto nell’intorno immediato dell’oggetto di attenzione, che genera l’effetto di luogo-stanza, essenziale per la sensazione di “segreto”;

- la presa di contatto con il luogo deve avvenire secondo una procedura di “ingresso” progressivo: contano molto gli effetti “porta” dati dai passi intervallivi  o dalle svolte nei percorsi di fondovalle (ingresso e uscita dalle gole, ingresso di colpo all’area di pertinenza paesistica di centri arroccati o annidati nel fondovalle);

- non si può prescindere dall’effetto “meta” che il luogo segreto porta con sè: bisogna andarci e poi tornare; infatti è difficile inanellare segreti (nell’esperienza paesistica pare formarsi una condensa e uno scarico di energia legati alla sorpresa e alla diversità, e questi contrastano con la strutturazione del senso del paesaggio ad un livello più complesso, quale si ha con l’effetto rete o collana): perciò non è opportuno promuovere itinerari tematici a tappe di luoghi segreti come romitaggi, gole naturali o rocche dirute.

 

b,         il deserto e il paesaggio privo di segni conosciuti: è il caso 'zero' del sistema di  apprezzamento semiologico del paesaggio, che attiva un'interazione più direttamente emozionale a fronte di un ambiente di cui non si conoscono le regole e in cui non si scorgono punti di riferimento [3]. Proprio perché l'effetto si genera ove mancano riferimenti, il senso del deserto non viene mai percepito alle alte quote (là dove realmente i luoghi sono deserti ), dato che nell'Appennino i crinali consentono quasi sempre panorami vasti sul mondo insediato, in cui ci si orienta e si percepisce semmai un distacco (dovuto semmai alla complicazione del paesaggio, come si accenna di seguito) ma non l'isolamento rispetto ai segni, il disorientamento.

Il senso del deserto si concentra piuttosto dove domina il bosco o nei luoghi chiusi ai bordi, e in essi comunque si ha sempre la consapevolezza della dimensione finita del vuoto di segni, di essere in un 'enclave' di assenza circondato dal mondo normale (se non il nostro, almeno normale per qualcuno): si tratta pur sempre di 'deserto domestico' e non del terribile luogo dell'indefinito e dell'indifferente africano o asiatico. In questo senso il deserto dell'Appennino è, paradossalmente, solo un segno del Deserto, un annuncio dell'esperienza della mancanza di segni che domina l'intero paesaggio di intere regioni del mondo.

Il paesaggio di questi 'bonsai di deserto', presente soprattutto nell'Appennino centro-meridionale, richiede comunque un modello fruitivo adeguato (forse ancor più dei luoghi del sacro, di seguito tratteggiati): quello della solitudine e della riflessione [4]..

Anche in questo caso, come per il segreto, il valore del paesaggio si costituisce in funzione inversa del numero dei suoi fruitori, ponendo apparentemente a rischio il teorema dello sviluppo locale fondato su un turismo sostenibile: qui la sostenibilità del godimento del paesaggio sembra essere strutturalmente vincolante a mantenere un così basso numero di utenti da non consentire l'atteso sviluppo turistico locale. [5] Riconoscere il deserto come paesaggio proprio di certi ambiti del territorio potrebbe indicare una strategia di tutela più rigorosa ancora di quella che è mossa da obbiettivi  di tutela naturalistica: infatti per l'esperienza del deserto la precarietà degli equilibri non è da valutare sulla base di condizioni specifiche né essi sono consolidabili se affrontati con le dovute attenzioni, ma al contrario la forte fragilità della situazione 'deserto' è intrinseca alla fruizione stessa del paesaggio.

 

c,         il luogo dell'arcaico e dell'integrità di un modo di vivere passato: è l'apprezzamento del territorio come parco dell'archeologia antropologica, in cui si possono ancora percepire  con tutti i sensi, compreso il gusto e il tatto, ciò che si crede essere proprio di paesaggi immobili, secolari.

I segni del passato non sono simboli a sé stanti, ma sono organizzati in una sintassi del paesaggio che ha proprietà specifiche come quelle dei segni del moderno, dei segni del buon o del cattivo governo, della città o della natura: in ogni caso è un sistema coerente e autopoietico (cioè, in semiologia, si potrebbe dire che dedica una parte importante delle proprie energie a mantenere evidente la propria identità). L'Appennino interno si offre più di ogni altro paesaggio italiano a rappresentare il senso del passato (per lo più mitico e ideologico, come sopra accennato), mentre non solo la città, ma anche la pianura e la costa (e in certi casi le alpi invernali) sono ormai tipizzati come luoghi della trasformazione contemporanea[6]..     La sintassi dei segni territoriali del passato ricostruibile nell'Appennino tende ad essere in molti luoghi completa e convincente, fondandosi su un insieme oggi irriproducibile in Italia: dal nucleo medioevale al suo intorno coltivato con molti segni della fatica manuale, al bosco poco penetrabile che si sa popolato di bestie, alla pastorizia in quota e nelle radure, ai tratturi della transumanza, alle fortificazioni e ai santuari lungo confini e itinerari oggi perduti ma riconoscibili, ai romiti e i percorsi per i luoghi sacri. Ma più della quantità di segni vale il senso complessivo della loro organica sistematicità: nell'insieme costituiscono paesaggi che appaiono avvolgenti e convincenti, nei quali l'intervento recente colpisce come l'orologio al polso del gladiatore nei film di Maciste.

In questo caso il valore di riferimento è la verginità: le trasformazioni fisiche, indotte dal moderno sono percepite come perversione e non come evoluzione, perché con esse si perde l'aspetto di integrità, fattore principale del valore che viene attribuito ai luoghi.

E' palese che i soggetti portatori di questa ideologia del paesaggio sono abitatori dell'urbano, che cercano i paesaggi dell'arcaico come turisti ed è ovvio che questa tensione li porti a scontrarsi con gli abitanti locali, che sono agitati, come ogni altro abitante del mondo dalle tensioni trasformative del moderno, e rivendicano il diritto primario di evolvere il proprio paesaggio.

 

d,         il distacco e il guardarsi da fuori: è l'effetto generato del panorama complesso sul mondo conosciuto, visto dal monte, dall'alto e da distante. Non si tratta soltanto di un'esperienza data dalla posizione geometrica e topologica di chi guarda il proprio territorio insediato, ma anche della differenza tra caratteri del paesaggio in primo piano e quelli del mondo lontano: infatti il senso di distacco diventa prevalente ove il paesaggio montano, come avviene quasi ovunque sopra il limite del bosco, si semplifica in pochi grandiosi elementi omogenei. Il contrasto tra il paesaggio semplificato di primo piano e il formicolio di frammenti del paesaggio sottostante genera il senso di distacco e un senso di 'relatività ambientale' ormai assente nel resto del territorio (è esperienza analoga, in Italia, solo in mare, costeggiando le coste turistiche).

Di nuovo, come per il segreto ed il deserto, il paesaggio semplificato e omogeneo della montagna diventa un valore in sé quando si costituisce come elemento differenziale e di relativa rarità nel territorio, soprattutto ove questa differenza si può percepire in modo immediato e riconoscibile con un colpo d'occhio che comprenda sia il proprio paesaggio domestico che il luogo 'altro' da cui si  guarda.

 

e,         il sacro, il luogo dell'inabitabile, destinato ad altro dall'uomo: l'Appennino contiene ancora molti frammenti di quella geografia del sacro che Roma metabolizzò dai popoli italici, etruschi e greci, e che disegnò il territorio integrando le parti da sfruttare con quelle intoccabili, sacre perché di altro che  dell'uomo.   Le tracce di un paesaggio che contiene il sacro tra le sue componenti sono ancora presenti in molti luoghi ai bordi della montagna abitata (per questo più frequenti nell'Appennino che nelle Alpi, dove semmai è più presente il segreto e il deserto che la natura dominante più spesso impongono). Il sacro si pone infatti oltre il sistema insediato ma è presente, conosciuto, e deve essere raggiungibile, non è luogo del segreto o del deserto, ma è sede del mistero rituale e collettivo.

L'Appennino è poi il teatro per eccellenza delle testimonianze del processo di semiosi del sacro, di simbolizzazione di effetti complessivi del paesaggio in segni specifici, in edifici o monumenti, in cui il sacro si è trasformato dal medioevo al secolo scorso.

L'abbondanza di luoghi appenninici del medioevo monastico, eremitico, dei santuari e dei luoghi sacri non religiosi (teatri di gesta, di magie o di tragedie), non è soltanto reperibile sul terreno quanto e soprattutto nella cultura diffusa, che ancora alimenta uno sguardo sul paesaggio capace di sentire il sacro, di viverne i riti e il profondo legame con la vita quotidiana, che ancora per questa generazione sa, quasi sempre per sentito dire, di infiniti episodi che segnano la conoscenza dei luoghi di ciascuna comunità.

 

Quelli sopra accennati sono tutti caratteri che suggeriscono la potenza di un patrimonio di valori rari ma fragilissimi rispetto al consumo dovuto alle pressioni antropiche: non solo si attenuano per chi abita in siti omologati e privati del rapporto quotidiano con il paesaggio eterogeneo e complesso della montagna, ma si perdono irrimediabilmente se la loro differenza è ricercata da troppi.

La 'portanza' del paesaggio appenninico, che probabilmente è molto alta per la naturalità e i carichi antropici oggettivi, potrebbe essere molto bassa per i valori più intensi e differenti del paesaggio vissuto e del suo senso proprio, abbastanza diversamente dai caratteri delle coste e della montagna alpina, forse in situazione critica per gli aspetti ecologico ambientali ma più forti e leggibili e relativamente più disponibili a fruizioni di massa quanto a caratteri propri del paesaggio.

In ogni caso si delinea un'ipotesi di fondo: il fruitore caratterizzante l'Appennino è quello che viene dalla città ed è interessato alle situazioni specifiche e rare del paesaggio sopra abbozzate, mentre per gli altri utenti, gli abitanti o i turisti a cui non interessano le caratteristiche specifiche l'Appennino rischia di essere considerato solo un territorio di serie B: una montagna di serie B in confronto alle Alpi , con laghi di serie B in confronto a quelli prealpini,  selvaggitudine e selvaggina di serie B in confronto alle riserve slave, cultura e paesaggi culturali di serie B in confronto alla Toscana, al Veneto o alla Puglia.

 


[1] v.G.Bachelard, (1957) , La poetica dello spazio, (tr.it. Bari, Dedalo, 1975)

[2] ('paiono', perché andrebbe condotto uno studio approfondito per confermare ciò che qui si disegna come ipotesi di lavoro suggerita dalle rappresentazioni artistiche o da alcune interviste approfondite)

[3] Borges in un celebre racconto descrive due modelli di labirinto, quello edificato, da cui si può uscire e quello dato dal deserto, mortale. L'esperienza del 'perdersi' è data sia dalla confusione di segni (v. La Cecla F.,1988: Perdersi. L’uomo senza ambiente , Laterza, Bari), che dall'assenza di segni conosciuti, come magistralmenta Kurosawa nel Dersu Uzala

[4] Non a caso Pasolini descrive un passaggio chiave del suo Teorema con un drammatico trascorrere del protagonista, nudo e solo in un altopiano appenninico percorso dalle ombre delle nuvole (forse Campo Imperatore o Campo Felice).

[5] E' un carattere del paesaggio che interrompe il parallelismo comodo con cui lo abbiamo da tempo incluso tra i mezzi di comunicazione (supporto 'pubblicitario' dell'identità culturale, sistema di testimonianza con continuità intergenerazionale….), ritenendo quindi che ogni incremento di feuizione del mezzo sia di per sé una dinamica intrinsecamente positiva. Se si riconosce una componente emozionale strutturale nella relazione essenziale che costituisce il paesaggio, si deve riconoscere uno spazio alle emozioni che non servono a comunicare, ma a riflettere, in cui il nesso tra l'emittente e il ricevente è esclusivo di altri nessi e non infinitamente disponibile.

[6] Se nei primi film di Fellini (La strada, Lo sciecco bianco, e già in forma residuale La dolce vita) la costa rappresentava un luogo di integrità forte, dagli anni '70 in poi ogni regista che voglia evocare una purezza arcaica in Italia si ambienta nell'Appennino (Zeffirelli, Avati, fratelli Taviani, Pasolini…)