Indice
Introduzione
L’esperienza di lavoro intorno ai fiumi, ed in particolare nel caso del Po intorno a Torino, rappresenta a mio parere una opportunità per proporre una riflessione sul come gli oggetti naturali influenzino, nella realtà e nel metodo, l’approccio del “progettare i luoghi” del “fare architettura”, oltre che sul tema del ruolo che la gestione delle aree protette ha ormai assunto a scala regionale e nazionale quali strumenti di sperimentazione di tecniche di gestione del territorio e del paesaggio.
Oggi il tema del fiume e dei suoi rapporti con l’architettura, intesa come del costruito e del paesaggio plasmato, è oggetto di un forte interesse, in una stagione nella quale il “progetto” non viene più inteso limitatamente all’oggetto costruito ma bensì a porzioni di paesaggio e quindi anche ad ambiti di intervento di natura non puntuale ma “estesa al contorno”. Proprio i territori dei fiumi, prima relegati all’abbandono e usati come retrobottega, ci offrono una palestra ed una così stimolante realtà di intervento tale da essere esaminata e analizzata in tutti i suoi possibili spunti, pratici e teorici.
Il dibattito intorno alle realizzazioni ed ai progetti immaginati sul Fiume Po governato da un Piano di indirizzi come il “Progetto Po – PTO del Po”, poi sostanzialmente trasformatosi nello strumento di piano guida del Parco regionale del Fiume Po, è un percorso che ci porta a scoprire le modalità di influenza che le dinamiche territoriali e naturali hanno sulle dinamiche costruttive e trasformative che la società tende a stendere sulla superficie terrestre e acquatica. Si tratta ovvero di una esperienza particolare proprio in ragione della originalità che il caso delle acque possiede: il mondo delle acque è l’alter ego di quello terrestre, dove categorie dell’opposto si confrontano: dall’acqua alla terra è un pendolo che si muove dall’instabile contro lo stabile, dall’incostante nel breve periodo contro il costante nel lungo periodo, dal quasi inoccupabile contro il saturabile in ogni suo spazio, dallo spazio ad alta energia contro i luoghi senza o con limitati rischi. Insomma due contesti opposti, dei quali quello acquatico ci costringe con particolare evidenza e forza dover porre nei conti l’impossibilità di governare le forze delle dinamiche naturali e quindi ad includere nel nostro set di concetti di progetto quello del “limite imposto” da variabili indipendenti.
L’applicazione del Piano d’area e la moltitudine di casi nei quali abbiamo testato l’applicazione di un modello (il Piano originato dal PTO del Po) che parte da alcuni vincoli ben definiti, gestendoli con strumenti di declinazione e dialogo sul territorio, si trasforma quindi in una straordinaria occasione per riflettere: il percorso concettuale che propongo è un viaggio che si compone di alcune stazioni che mirano a mettere in discussione, per ritrovarne una chiave di interpretazione, il rapporto fra la componente fisica e naturale dei luoghi con le azioni della sua trasformazione e quindi con gli atti dell’uomo costruttore. Un rapporto che può trovare in strumenti appropriati ed in savoir faire adeguati una cultura per gestire il “fare architettura” , inteso come concetto che concepito in forma estesa ricomprenda il progetto dalla recinzione alla centrale termoelettrica.