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Il ruolo degli spazi aperti metropolitani per il senso geografico del paesaggio
Le riflessioni sopra svolte, sul paesaggio periurbano e sulla diversità degli sguardi che conducono ad esso, derivano da una considerazione complessiva dell’esperienza paesistica dei vari tipi di abitante metropolitano, che nel loro nomadismo interno percorrono indifferentemente spazi urbani e campagne. Il senso del paesaggio posto alla base dell'indagine è quello che si forma spontaneamente nella memoria di un’esperienza complessiva del territorio in cui si abita, senza differenziazioni a priori tra parti aperte e parti costruite, tra città e non città.
Se invece, con Corona verde, concentriamo l’attenzione e il progetto solo sugli spazi aperti, dobbiamo scontare una parzialità del nostro punto di vista ed una difficoltà a valutare equilibratamente il reale ruolo che tali spazi svolgono nel senso del paesaggio consolidato nelle comunità abitanti nell’area metropolitana.
Se la “rivoluzione” del punto di vista, dai centri abitati alle aree esterne, è utile per innovare i paradigmi di indagine in altri settori, come quello ambientale o quello storico, diventa invece un fattore di spaesamento per chi pone al centro della propria indagine il senso comune del paesaggio e il suo carattere olistico. Infatti nella normale percezione del paesaggio le aree libere sono complementari ai luoghi costruiti, ma normalmente sono questi ultimi il centro non solo delle attività ma anche dei segni identitari e dei riferimenti comunemente riconosciuti.
Al di là del comune senso del paesaggio, lo spostamento dell’attenzione dalla città costruita alle aree libere comporta una verifica dell’importanza delle aree vaste, del ruolo che esse svolgono nell’opinione generale, come contesto del sistema costruito. In questa dimensione occorre verificare se, nel nostro senso del paesaggio, convenga ricorrere ad un paradigma geografico piuttosto che (o accanto) a quello urbanistico: se noi, con il nostro sguardo locale o metropolitano, facciamo riferimento solo agli spazi e ai tempi immediati in cui ci muoviamo, per lo più cittadini e "interni", o se invece teniamo conto anche delle relazioni di questi con luoghi e dinamiche trasformative molto più generali, che costituiscono il tema di fondo, l’appartenenza ad un secolo e ad una regione con i suoi ritmi e le sue forme complesse.
Solo in quest’ottica più “geografica” l’indagine sul paesaggio di Corona verde non diventa un’indagine sul senso locale dei pochi che frequentano o abitano i campi al margine delle città metropolitane, ma rimane ancorata ad un aspetto di generalità e di coinvolgimento di tutti gli abitanti del torinese, base indispensabile per ogni seria strategia di valorizzazione e di apprezzamento condiviso delle risorse paesistiche.
D'altra parte, come definito in premessa, si ipotizza che la percezione del paesaggio metropolitano, e degli spazi aperti come sue componenti rilevanti alla scala più generale, non sia applicata in continuum ma costituisca una rete di punti di attenzione e di memoria, immersi in ampi spazi di disattenzione e quindi sia articolata in numerosissime situazioni identitarie distinte, spezzettate e talora contrastanti. Certamente alcuni degli spazi aperti costituiscono il punto di riferimento per ampi contesti e serviranno da orientamento per lunghi tratti di percorso (si pensi a Stupinigi, a Rivoli, a Superga), mentre la memoria di molti altri, pur differenziati e ricchi di identità particolari, non è diffusamente utilizzata per costituire l'immagine generale del paesaggio di una certa regione.
Per rendere conto del ruolo che assumono gli spazi aperti nelle diverse situazioni di paesaggio il territorio non urbanizzato è stato suddiviso in parti sufficientemente ridotte da potersi differenziare per una propria identità nella memoria, e per esse si è individuato un grado di riconoscibilità, cioè una valutazione del potenziale risalto nella percezione e dell'importanza relativa che possono assumere nella memoria collettiva.
Per questo approccio di ricerca si è ipotizzato che solo tra i luoghi a buona riconoscibilità si consolidino i connotati delle variegate e complesse immagini identitarie del territorio metropolitano, quelle che possono essere considerate parte di un sentire comune tra i fruitori dallo sguardo “metropolitano” e i fruitori dallo sguardo “di nicchia”
[1] cfr. G.Martinotti, Metropoli, Bologna, il Mulino, 1993. al cap.3 distingue quattro tipi di popolazione di una city: gli abitanti, i pendolari, i metropolitan businessmen (i quali, con i pendolari frequentano la città per lavoro)) e i city users, che frequentano la città ma non per motivi di lavoro.