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Urbanità: temi, programmi e politiche per la qualità del paesaggio urbano

Indice

I progettisti

 

I progetti finiscono per essere alla ricerca di identità ombelicale dell’oggetto che facciamo, e non sappiamo più a quale sistema di segni, di sensi, appartenere. Sappiamo che lo spazio pubblico è importante, non sappiamo bene come renderlo più gradevole data la grande complessità della sua percezione. Sappiamo di non poterlo rendere gradevole solo con l’ordine e con le regole, ma troppo spesso orientiamo i nostri progetti verso un’identità narcisistica, senza considerare come elemento forte la partecipazione di quell’edificio al paesaggio urbano.

Manca così una caratterizzazione forte a cui riferirsi per il progetto innovativo: e questo spaesamento coinvolge tutti , non solo i progettisti, ma anche i fruitori, abitanti e turisti. Proviamo e vedere dove si coagulano i giovani, dove identificano i luoghi che rendono attraenti per tutti gli europei città come Barcellona, Bologna, Lione (tanto per citare casi qui ben conosciuti): quasi mai troveremo i luoghi progettati per essere rappresentativi, ma più spesso li troveremo mescolati a luoghi diversi, eletti al nuovo ruolo per caso, per contrasto, per motivi che spesso ci sfuggono, o che comunque sono sfuggiti ai progettisti.

Ecco perchè ci pare importante prendere atto della mancanza di un soggetto forte, al quale fare riferimento e, lungi dall’averne nostalgia, indagare sulle ragioni per cui ci piacciono sempre di più i paesaggi urbani consolidati, quelli in cui si sono sedimentate identità che ormai non riconosciamo più, quelli che sono deformi (come nella cultura zen) per eventi imprevedibili, quelli in cui si possono verificare azioni impreviste (pensiamo alla fortuna del piazzale di fronte al Beaubourg, o alle infinite piazze di ritrovo italiane).

Perciò ricominciamo da zero, indagando sui motivi che ci fanno apprezzare maggiormente i paesaggi consolidati, quelli in cui già si sono sedimentate delle identità. Perché ci piacciono non i luoghi ordinati ma quelli che si sono completamente deformati, nello spazio fisico o nei comportamenti dei fruitori, i luoghi in cui si possono verificare situazioni impreviste? In questa prospettiva, di indagine alla ricerca dei motori di identità, il paesaggio urbano ci interessa perché c’è un gusto archeologico nel riconoscimento delle tracce di orientamento, che diventano, per tutti, stimoli a capire il passato.

Riassumendo, lo spazio pubblico è opportunamente il paesaggio urbano

- per recuperare le identità personali trasversali, impreviste,

- per offrire la città allo sguardo curioso del turista,

- per gusto archeologico del riconoscimento di ordini sedimentati tra di loro interferenti,

- per soddisfare il senso della serendipity anche negli spazi e non solo degli eventi.

 

Tutto ciò ha a che fare con il progetto, ma è molto difficile assumerne un metodo e ancor più insegnarlo: dovremmo andare a scuola in oriente.

In ogni caso la galassia dei pensieri che qui ho accennato porta ad alcune considerazioni pratiche che hanno effetto sul modo di progettare: le espongo per punti sommari.

In primo luogo un cambiamento della logica progettuale sicuramente fruttuoso deriva dal porsi nella giusta posizione rispetto al paesaggio che contribuiamo a modificare. Non vale tanto l’atteggiamento di progettare un testo dentro un contesto quanto invece progettare un luogo nella sua complessità: l’oggetto che progettiamo è e sarà comunque percepito come parte di un sistema di luoghi e quindi è, per definizione, un contributo rispetto al senso del paesaggio urbano che quel luogo già da prima del nostro intervento genera.

Invece di una visione “progetto-centrica”, in cui si immagina un fruitore che pone al centro dell’attenzione (e della prospettiva o del fotomontaggio) sempre il nostro progetto, dobbiamo avere presente la dinamica dei comportamenti che pensiamo di modificare: qual’è in quel luogo il modello di fruizione che andiamo a trasformare. Da ciò deriva che le nostre trasformazioni fisiche si inseriscono in un flusso di modalità di comportamento culturale molto lento a modificarsi e che, se vogliono contribuire a valorizzare il senso di paesaggio, devono operare per piccoli spostamenti coerenti e non traumatici.

Seguendo questo principio cardinale possiamo proporci di seguire tre tracce su cui si sta lavorando oggi:

- potenziare la riconoscibilità dei luoghi importanti, per il loro ruolo, ma oggi privi di appeal per il senso e la memoria. Siamo pieni di luoghi prevalentemente legati a un sistema infrastrutturale forte o ad una situazione funzionale consolidata e sedimentata, ma destrutturati dal punto di vista del paesaggio urbano che generano. In questi luoghi si transita molto: sono dei cardini del nostro modo di vivere la città ma sono cardini poveri di riconoscibilità. Molti studi sulle città americane si sforzano di riqualificare questi luoghi-nonluoghi, in cui il tema dell’identità è al centro dell’attenzione da trent’anni; ma spesso ogni ipotesi di qualificazione affonda in una povertà di risorse culturali dei luoghi stressi, completamente artificiali e astoricamente nati dal nulla, è come se ci si dovesse opporre ad un processo di desertificazione già in stadio avanzato. Da qui l’importanza di azioni lungimiranti, per evitare il formarsi di gap troppo forti di cultura dei luoghi, di curare sin da oggi la crescita di luoghi rappresentativi, anche se minimi, nei paesaggi urbani in via di consolidamento, la necessità di valorizzare qualche luogo delle periferie diffuse inglesi, dello sprawl urbano del nord-est italiano, dell’habitat pavillonaire francese;

- conservare, nel senso di fare emergere le tracce, appoggiare e diffondere il gusto di una percezione archeologica del paesaggio. Riuscire a ritrovare in ogni luogo delle tracce di trasformazioni e di progetti precedenti e metterle in evidenza nelle loro sedimentazioni e sovrapposizioni. Dare loro forza in tanto quanto possono partecipare al paesaggio urbano attuale, anche se di fatto non hanno più forza di testimoniare significativamente di un ordine precedente. Anche le tracce di antichi progetti forti sono spesso ormai rese labili dalla sedimentazione, ma è proprio la sedimentazione complessa quella che permette di interpretare e di rinforzare le identità locali, molto più degli ordini originari prestabiliti. In questo senso ogni prospettiva di restaurazione di un ordine prestabilito spesso è una violenza, mentre al contrario valorizzare le tracce nella loro potenzialità di suggerimenti, di proposte è spesso un contributo a capire, e a qualificare l’identità locale in modo allusivo e seducente;

- innovare, azione fondamentale dove la banalizzazione regna, dove il senso dei luoghi non è stato preso in considerazione da chi ha costruito, dove si verifica effettivamente una domanda di identità. Nelle nostre periferie, fatte di antichi centri sbudellati, a partire da poche tracce di riferimento, è necessario che, accanto a progetti di recupero del sistema dei segni antichi, si faccia avanti una nuova costruzione di sistemi di spazi pubblici. Si tratta di costituire una continuità del paesaggio urbano di nuova formazione, che dia in chiave positiva e di appropriazione il senso del più grande evento trasformativo del secolo, che è l’urbanizzazione diffusa. Probabilmente nelle periferie il nuovo senso dello spazio pubblico non è appoggiato ad una continuità percettiva quanto ad una reticolarità, discontinua sul territorio. Questa continuità da interpretare non sul piano fisico ma su quello culturale e dei comportamenti rappresenta una sfida per il nostro “storico” senso del paesaggio, ma proprio qui sta la sfida dell’innovazione a cui il progetto è chiamato, ed è opportuno accettare i termini del  problema senza fingere soluzioni che non trovano più riscontro nei comportamenti (e quindi nelle capacità di senso) della gente.