Premessa
La prova di praticabilità di uno strumento innovativo di governo del territorio, previsto dalla legge regionale ma di fatto non ancora applicato nelle pratiche della pianificazione territoriale, sta trovando una prima sperimentazione in Piemonte su un tema di grande interesse: l’assetto delle attività e il programma di valorizzazione della fascia del Po in territorio piemontese.
I problemi che si pongono in quest’ambito toccano da vicino il tema generale di questo Convegno, pur presentando ovvie peculiarità per quanto concerne i rapporti tra acque e territorio.
Il “Progetto Po” prende le mosse dalla decisione della Regione Piemonte (Del. del Consiglio regionale 8/5/1986) di sviluppare un “progetto territoriale operativo”(1) per la tutela e la valorizzazione delle risorse ambientali dell’intera fascia del Po piemontese. La decisione seguiva da vicino quella che aveva portato alla formulazione, col TI Piano regionale di sviluppo nel 1985, di un “programma finalizzato” per il Po, che tendeva ad affrontare in modo interrelato tre diverse problematiche:
- quelle della sicurezza e della qualità delle acque, coi connessi problemi di difesa e sistemazione idraulica, di prevenzione e controllo dell’inquinamento;
- quelle di sfruttamento economico delle risorse, coi connessi problemi di uso plurimo delle risorse idriche, di controllo delle attività estrattive e di qualificazione delle attività agricole;
- quelle della tutela paesistica ed ambientale, e di promozione degli usi sociali, ricreativi e culturali.
In coerenza con la filosofia del programma finalizzato, l’obiettivo centrale del Progetto era quello di offrire indicazioni progettuali su quest’ultima problematica, in connessione con le altre due. Tale obiettivo acquistava maggior rilevanza in relazione ad altre significative concomitanze: l’avvio della pianificazione paesistica-territoriale da parte della Regione in base alla Legge 431/1985 (la cosiddetta legge Galasso), le iniziative statali e interregionali per il risanamento e la riqualificazione dell’intero bacino padano che dovevano poi trovare riferimento nella L. 183/1989 e nel recente primo programma triennale di salvaguardia, la decisione di inserire l’intera fascia del Po piemontese nell’elenco regionale dei parchi (LR 46/1985). Quest’ultima decisione doveva poi trovare riscontro positivo nella istituzione, nel 1990, del “sistema regionale di aree protette” della fascia del P0: ed è importante notare che il “piano d’area” da formarsi per tali aree protette in base alla legge istitutiva dovrà trovare nel Progetto Po di cui si sta parlando il proprio quadro di riferimento.
Vi è quindi una relazione, non solo cronologica, molto stretta fra le diverse iniziative, regionali e interregionali, che hanno interessato il Po negli ultimi anni ed il Progetto Po.
La fascia fluviale interessata dal Progetto comprende quasi tutto il tronco piemontese del fiume (218 sui 235 km di lunghezza, pari al 36% del corso complessivo) per una larghezza ed un’estensione territoriale variabili a seconda dei problemi considerati: in particolare la cosiddetta “fascia allargata” comprende 80 comuni rivieraschi o comunque strettamente legati agli interventi sul fiume, mentre la “fascia ristretta” comprende, oltre al fiume, le sole aree latistanti con esso strettamente integrate, per una larghezza che varia da poche centinaia di metri a pochi chilometri.
Gli studi e le ricerche per il Progetto sono stati condotti dall’IRES in stretto rapporto con gli uffici regionali e con gli organi strumentali della Regione (CSI, Finpiemonte, ESAP, IPLA) con la collaborazione e la direzione scientifica del Politecnico e dell’Università di Torino.
La prima fase degli studi si è conclusa nel 1988 con la “Proposta” pubblicata, che, come prescrive la legge regionale 61 del 6/12/84, illustra le finalità, i criteri e le scelte da operare, in riferimento alle condizioni del territorio interessato, al Piano regionale di sviluppo ed ai Piani territoriali ed urbanistici, ed individua le caratteristiche essenziali degli interventi da operare. La “Proposta”, dopo le consultazioni degli enti locali interessati, è stata recentemente approvata dal Consiglio regionale e costituisce la base per la formazione del progetto definitivo degli interventi.
1) Il “Progetto Territoriale Operativo”, inserito con legge n. 61 del 6/12/1984 nella legge urbanistica regionale, “è strumento di specificazione ed attuazione del Piano Territoriale”, che spetta alla Giunta Regionale formare ed al Consiglio Regionale approvare.
Approcci integrati e dimensione interregionale
E’ del tutto evidente che i problemi del Po non sono problemi del Piemonte o di altre singole regioni, ma hanno rilevanza nazionale e, per più aspetti, internazionale. Il riconoscimento, anche da parte della più larga opinione pubblica, sollecitata dalle ricorrenti denunce “adriatiche”, ditale rilevanza, ha, sia pur tardivamente, consentito di delineare le prime prospettive per sviluppare strategie appropriate a livello di bacino, prospettive che trovano nella legge recentemente approvata per la difesa del suolo il quadro istituzionale di riferimento.
Nei confronti dei programmi statali di cui si è deciso l’avvio, il Progetto Po del Piemonte rappresenta un primo contributo di ricerca e di proposta d’intervento, caratterizzato da un forte radicamento nelle iniziative e nei programmi di sviluppo della Regione e degli enti locali, e da un approccio integrato e di largo respiro. Esso infatti, pur essendo centrato sugli obiettivi di tutela ambientale, ecologica e paesaggistica e di utilizzazione culturale, ricreativa e sportiva del fiume e delle aree latistanti, ne considera attentamente le connessioni con quelli di valorizzazione delle attività agricole e, più in generale, con quelli dello sfruttamento economico delle risorse fluviali (dagli usi plurimi delle acque alle attività estrattive, agli impianti energetici, alla navigabilità) e con quelli della sicurezza idrogeologica e della qualità delle acque. Il Progetto non è quindi soltanto il progetto di un Parco o di un sistema di aree protette, ma tende ad un’organica sistemazione del territorio interessato.
Proprio per questo approccio integrato - reso necessario dalla imprescindibile indivisibilità e complessità dei processi che investono l’ambiente fluviale - il Progetto non può non prendere in considerazione anche problemi, come tipicamente quelli del risanamento o della difesa del suolo, che hanno certamente dimensioni sovraregionali e che sono o dovrebbero essere oggetto di iniziative e programmi statali e interregionali. Per tali problemi, il Progetto non offre soluzioni esaustive, ma indica piuttosto le coerenze e le compatibilità da rispettare in rapporto alle più specifiche esigenze di tutela e valorizzazione della fascia fluviale.
E’ questo un aspetto del Progetto che merita di essere sottolineato, in rapporto agli orientamenti che maturano nell’esperienza internazionale per la gestione delle risorse idriche ed a quelli che potranno maturare in Italia in base alla nuova legge sulla difesa del suolo. Il riconoscimento della intrinseca complessità degli ecosistemi fluviali, delle strette interrelazioni tra la gestione delle acque e le dinamiche evolutive, nel medio e lungo termine, degli ambienti e dei territori da esse interessati, dall’intreccio inscindibile tra i processi sociali e i processi ambientali direttamente o indirettamente influenzati dall’uso delle acque, può apparire scontato sul piano scientifico e culturale. La grande architettura idraulica del passato (basterebbe pensare, nei nostri territori, alle magistrali sistemazioni dei Gonzaga o dei Savoia), le costanti attenzioni della ‘landscape architecture’ da Olmsted in avanti, gli apporti delle scienze della terra alla pianificazione urbanistica e territoriale già con maestri come Marsh, Powell o Geddes (2), sono pieni di questa consapevolezza. D’altra parte, proprio le vicende degli ultimi decenni dovrebbero avere reso a tutti evidente che i grandi fiumi non sono soltanto gli assi fondamentali dello sviluppo economico e produttivo, ma anche le strutture di sostegno di immensi articolati patrimoni di risorse naturali, di lavoro e di memorie indissolubilmente legati alla storia, alla cultura ed alle prospettive di vita delle comunità che abitano i territori da essi attraversati; e che gli stessi problemi “specifici” dei fiumi (come l’inquinamento o i rischi alluvionali) hanno le loro radici nei processi produttivi, urbani e territoriali che si manifestano nelle regioni attraversate, e non possono quindi essere adeguatamente affrontati con interventi settoriali, destinati a rincorrere le “emergenze”, ma richiedono approcci lungimiranti e programmi integrati d’intervento.
Ma non ci si può nascondere che, ancora in anni recenti e non solo in Italia, la gestione delle acque ed in particolare dei grandi fiumi è stata largamente caratterizzata da approcci settoriali, che hanno di volta in volta privilegiato finalità particolari, come la difesa dalle esondazioni, o la navigabilità o gli usi irrigui o lo sfruttamento energetico, a scapito delle altre funzioni; e che solo nell’ultimo decennio ha preso consistenza in alcuni paesi (USA, Gran Bretagna, Germania federale, Svizzera, Spagna, Francia in particolare) una riflessione critica volta ad una più comprensiva considerazione del ruolo ecologico e sociale ditali risorse, con significativi riflessi sulle politiche d’intervento.
Soprattutto, non ci si può in Italia nascondere il rischio che la recente legge sulla difesa del suolo, faticosamente e tardivamente conquistata, offra nuovi alibi istituzionali agli approcci “ingegneristici”, settoriali o “d’emergenza”, configurando i piani di bacino come “piani di settore” (art. 17) fumosamente coordinati con gli altri piani e programmi, su cui peraltro inesorabilmente prevalgono (3), ed assegnando le competenze fondamentali al Ministero dei Lavori Pubblici. Non ci si può nascondere il rischio che anche l’auspicato “master plan” per il Po polarizzi i programmi d’intervento sul disinquinamento e le sistemazioni idrauliche, lasciando in ombra la complessità delle interrelazioni ecologiche e gli interessi tradizionalmente più “deboli” e sacrificati, quali quello della conservazione nel lungo termine degli ecosistemi fragili (come le zone umide circafluviali, già in larga parte distrutte) o quello della fruizione sociale delle risorse fluviali.
Non è certo un caso che l’attenzione per questi interessi e, più in generale per la molteplicità e complessità degli aspetti ecologici, sociali ed ambientali della questione fluviale, abbia caratterizzato, non solo in Piemonte (al Progetto Po piemontese fa riscontro la suggestiva proposta per il Parco del Delta), le iniziative locali e regionali dell’ultimo decennio. E’ questa un’indicazione di metodo, non priva di implicazioni istituzionali, che può avere un certo interesse in vista della formazione del ‘master plan’ del Po e della definizione di strategie interregionali d’intervento.
2) Oltre ai precoci orientamenti ecologici di George Marsh (1864) o di John W. Powell (1879), di Patrick Geddes possono essere ricordati, più specificamente, gli ammonimenti contro il drenaggio dei grandi bacini indiani, nei primi decenni del secolo (“i drenaggi devono servire alle città, e non viceversa”).
3) Secondo l’art. 17 della legge per la difesa del suolo il piano di bacino “ha valore di piano territoriale di settore... mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d’uso finalizzate allaconservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e la corretta utilizzazione delle acque”. Nonostante l’amplissimo significato attribuito al termine “suolo” (art. 1: “il territorio, il suolo, il sottosuolo, gli abitati e le opere infrastrutturali”) e la farraginosa elencazione dei contenuti del piano (art. 17, punto 3), le finalità specifiche che, non senza incertezze, gli possono essere attribuite (art. 3) ne richiedono evidentemente il coordinamento “con i programmi nazionali, regionali e subregionali di sviluppo economico e di uso del suolo” (art. 17, punto 4). Tuttavia tale coordinamento non è esplicitamente regolato, salvo che nel senso di stabilire che “le disposizioni del piano di bacino approvato hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici, nonchè per i soggetti privati, ove trattasi di prescrizioni dichiarate ditale efficacia dallo stesso piano di bacino”. Tale carenza è tanto più grave in quanto l’oggetto dei piani di bacino può largamente coincidere con quelli di altri piani, ad esempio quelli paesistici formati ai sensi della L. 431/1985, le cui opzioni possono avere non minore rilevanza (cfr.in proposito sentenze recenti della Corte Costituzionale).
Ricerche e problemi emergenti
Pur nei limiti della presente Proposta, l’approccio tecnico e scientifico è quindi multidisciplinare e, per quanto possibile, interdisciplinare, articolandosi in analisi e ricerche che escono assai frequentemente dalla fascia fluviale vera e propria, e che toccano un ampio ventaglio di profili:
a) geo-morfologici e idrologici;
b) naturalistici e vegetazionali;
c) insediativi e storico-culturali;
d) paesaggistici (in senso stretto);
e) urbanistici e infrastrutturali;
f) socioeconomici (con particolare riferimento alle attività agricole e forestali)
g) pianificatori (con riferimento ai piani territoriali , a quelli “agricoli zonali”, a quelli urbanistici, comunali e intercomunali).
L’organizzazione delle informazioni e delle osservazioni critiche, effettuate sotto i diversi profili disciplinari, fa riferimento a 7 ambiti, relativamente omogenei al proprio interno e tra loro morfologicamente ed ecologicamente differenziati, in cui si può distinguere il paesaggio fluviale del Po:
1) da Paesana al ponte di Saluzzo (tratto montano);
2) dal ponte di Saluzzo alla confluenza del Pellice (alta pianura);
3) dalla confluenza del Pellice a Moncalieri (alta pianura):
4) da Moncalieri a S. Mauro (tratto urbano-metropolitano);
5) da 5. Mauro a Crescentino (tratto piano-collinare);
6) da Crescentino a Casale (tratto piano-collinare);
7) da Casale al Tanaro (pianura).
L’organizzazione delle ricerche per ambiti facilita il confronto e l’interazione delle diverse letture critiche e l’individuazione conseguente dei problemi da affrontare nelle diverse aree territoriali.
Particolare rilievo assumono, nel corso piemontese del Po, i problemi della sistemazione idrogeologica, non soltanto per l’ovvia priorità dei problemi di sicurezza idraulica, ma anche perché la maggior parte degli altri problemi, da quelli paesaggistici a quelli della conservazione, dell’accessibilità e della fruibilità delle risorse, hanno le loro radici nelle modificazioni dell’assetto idrogeologico. Una serie concatenata di processi involutivi - dall’abbassamento degli alvei, che minaccia la stabilita dei ponti, delle sponde e delle infrastrutture e pregiudica la normale navigabilità, all’aumento delle velocità di corrivazione, che accentua gli effetti a valle delle ondate di piena, alla progressiva restrizione e rettificazione degli alvei ordinari che, “canalizzando” il fiume elimina o riduce le aree d’espansione e le zone umide laterali (le lanche, la morte, le mortizze distrutte dalle ben note “prismate”) mutilando drasticamente gli ecosistemi fluviali - delinea una sindrome allarmante, che può brevemente riassumersi col termine di “denaturalizzazione”. Sebbene tale sindrome patologica abbia cause molteplici e trovi riscontro in molte altre regioni fluviali, nel caso padano essa ha comportato e comporta una severa discussione critica dei criteri che hanno finora guidato o consentito, sotto il controllo del Magistrato del Po, gli interventi di difesa idraulica e le attività estrattive (4): una discussione tanto più necessaria ed urgente quanto più le iniziative statali e interregionali lasciano presagire consistenti incrementi nella spesa pubblica per il riassetto idrogeologico.
Un secondo ordine di problemi concerne i processi d’inquinamento, di degrado e di devastazione ambientale, fra loro spesso intrecciati. L’evidente insufficienza di iniziative anche importanti e positive, come la realizzazione del grande depuratore del Consorzio Po-Sangone (5), indica l’esigenza di azioni assai più articolate e complesse, estese al territorio circostante e sorrette da una adeguata base informativa, con idonee reti di monitoraggio, oggi del tutto carenti.
I problemi d’inquinamento presentano ramificate interazioni con un terzo ordine di problemi, quello dello sfruttamento delle risorse: per le attività estrattive (che, soprattutto a monte di Torino, hanno ormai determinato situazioni di grave rischio e di estesa devastazione ambientale) (6), per la produzione energetica (in particolare per le ipotesi concernenti l’area a suo tempo destinata alla seconda centrale elettronucleare di Trino) (7) , per la produzione agricola (in particolare per l’eccessiva dilatazione della risicoltura o della pioppicoltura in prossimità del fiume) ed anche per utilizzazioni sportive o ricreative che, in determinate aree ed in determinate stagioni, possono superare le capacità di carico dell’ambiente ed esercitare effetti distruttivi, o comunque comprometterne la fruibilità..
Un quarto ordine di problemi concerne appunto la fruibilità e 1’accessibilità delle risorse ostacolate o compromesse da numerosi fattori, pochi dei quali hanno origini naturali (basterebbe pensare alla “privatizzazione” di fatto di larghi tratti delle sponde fluviali (8), dall’eccessiva sottrazione d’acqua in periodi di magra per usi irrigui, o alle numerose e spesso invalicabili barriere artificiali) (9); in tale quadro si colloca anche il problema della navigabilità. che, escludendo fantasiose e rischiose ipotesi di “bacinizzazione” (10), si pone in Piemonte essenzialmente in termini di navigabilità turistico-ricreativa.
4) Com’è noto, sia le difese spondali che hanno in larga misura rettificato e “cementificato” le sponde (accorciando di molti km il corso del fiume) sia l’eccessivo permissivismo con cui sono state finora
autorizzate e controllate le attività di estrazione di alveo — già severamente condannate anche dall’apposito gruppo di studio formato dallo stesso Magistrato del Po - sono da tempo oggetto di durissime contestazioni
da parte delle associazioni ambientaliste, degli Istituti di ricerca e della stessa Regiòne Piemonte.
5) Com’è noto, l’entrata in funzione del Depuratore del Consorzio Po Sangone, pur coronando un rilevante impegno della pubblica amministrazione, non ha risolto i problemi dell’inquinamento dell’area torinese,
nè in termini di quantità (vaste zone industriali scaricano ancora nel Po) nè in termini di qualità (ad esempio per l’abbattimento del fosforo).
6) La zona interessata è soprattutto quella tra Torino e Carignano, ricca di giacimenti di inerti molto pregiati, ormai “bucherellata come una groviera” da una gran quantità di pozzi molto profondi, che aggravano i
rischi di inquinamento delle falde profonde (anche a pochi metri dai pozzi di prelievo dell’acqua potabile perla popolazione metropolitana) e l’instabilità idrogeologica ed ecologica, oltre a devastare il paesaggio. Un recente “Piano per le cave” della Regione, pur tentando una razionalizzazione ditale situazione,
prevede un ulteriore consistente ed allarmante sviluppo delle estrazioni.
7) Su tale area, dopo l’arresto deciso nel 1987 delle procedure per la realizzazione nucleare, è stata proposta dall’ENEL, ed accettata dalla Regione, l’ipotesi di realizzare una più modesta (600 MW) centrale a metano.
Essa sembra destinata a non fugare del tutto i timori d’impatto ambientale evidenziati nella valutazioni operate nel 1985-86 dall’Università e dal Politecnico di Torino. Inoltre la stragrande parte dell’area a suo tempo preparata per la centrale Nucleare sarebbe ancora libera e disponibile per ulteriori imprecisate
utilizzazioni.
8) E’ il caso della vasta area recintata, includente il fiume, della Centrale Nucleare E. Fermi di Trino; ed anche, di molte aree recintare per gli impianti estrattivi o produttivi.
9) Il corso piemontese è infatti interessato da numerose traverse che lo sbarrano completamente, invalicabili non solo per le imbarcazioni, ma anche per i pesci.
10) Proposte in tal senso erano state avanzate fin dal secolo scorso e sono state recentemente messe a punto da un apposito consistente gruppo di studio per il Ministero dei L.P.
Una nuova filosofia dei rapporti col fiume
Alla luce dei problemi evidenziati dalle ricerche, e in funzione degli obiettivi di tutela, valorizzazione e recupero sociale, il Progetto propone una drastica svolta nelle strategie d’utilizzazione delle risorse fluviali e nella stessa filosofia dei rapporti col fiume. Essa parte dal riconoscimento che la fascia fluviale del Po, pur presentando ancora grandi risorse naturali e paesistiche, subisce in generale una eccessiva pressione antropica, soprattutto in relazione ai processi di sviluppo urbano e produttivo dei decenni post-bellici, che hanno determinato fenomeni di eccessivo e spesso indiscriminato sfruttamento dei suoli e delle risorse idriche ed estrattive, un’inaccettabile accumulazione di carichi inquinanti, una moltiplicazione dei rischi di sovraccarico ambientale nelle aree più sensibili, con effetti diffusi e spesso irreversibili di degrado ed alterazione di risorse scarse e irriproducibili.
Pertanto ogni ulteriore sfruttamento economico e produttivo, ed ogni intervento ad esso funzionale (ivi compresi gli interventi di difesa spondale,di regimazione e di disinquinamento) dovrebbero ormai essere rigorosamente subordinati, anche soltanto per una razionale gestione del patrimonio di risorse, alle esigenze di recupero e salvaguardia dell’ambiente e dei cicli naturali. Si tratta quindi di passare dalla filosofia dello sfruttamento delle risorse a quella della pacifica convivenza coi processi naturali di cui il fiume è protagonista.
E’ una svolta radicale nei nostri rapporti col fiume, che ci impone ormai di andar oltre, anche ad atteggiamenti come quelli che, non troppi anni fa, ancora inducevano il più grande poeta del Po, Riccardo Bacchelli, ad accettare come ineluttabile quella che, con infinita amarezza, egli chiamava “la fine del Po”. Ma è anche, evidentemente, una svolta ia i nostri rapporti con la natura, che non soltanto ci riporta all’antico ammonimento platonico (“per comandare alla natura, bisogna prima imparare ad ubbidirle”) ma comporta un ripensamento di quella filosofia antropocentrica del “dominio dell’uomo sulla natura” che costituisce uno dei retaggi più importanti e più ingombranti dell’età moderna. Non è questa la sede per parlarne, ma non si può fare a meno di ricordare che è qui in discussione la stessa interpretazione “utilitarista” della natura autorevolmente fissata dal pensiero baconiano: un ecosistema fluviale non è soltanto un insieme di risorse utili per l’uomo, ma una presenza viva in un ordine naturale perpetuamente mobile e mai completamente afferrabile e dominabile, di cui l’uomo “fa parte” e con cui la nostra società deve reimparare a convivere.
Orientamenti significativi in questa direzione sono oggi visibili nell’esperienza internazionale; non soltanto nella pianificazione “ecologica” anglosassone e nelle politiche ambientali di molti paesi, ma anche, più specificamente, nelle politiche per la gestione delle acque. In particolare, un vasto ripensamento critico è da qualche tempo in atto in America contro l’eccessiva “domesticazione” dei fiumi che, come avevano denunciato Dunne e Leopold (11) “tende a causare instabilità dei canali, erosione delle sponde a valle, abbassamento o innalzamento dei letti, impoverimento estetico, danni alla fauna e alla flora”, e a favore di approcci alternativi, quali quelli basati sui parchi fluviali e sulla conservazione di vaste aree golenali e zone umide latistanti, idonei a ridurre, piuttosto che accrescere, le alluvioni a valle. Importanti cambiamenti si sono notati, con particolare riguardo per le zone umide, nelle politiche degli anni ‘80 del Ministry ofAgriculture, Fisheries and Food in Gran Bretagna (12); ed alcune esperienze esemplari (soprattutto in termini di “de-canalizzazione” e di “ri-naturalizzazione” degli ambiti fluviali) si sono profilate in Svizzera (Valle di Reuss, nel Cantone di Aargau, 1979 (13), in Germania (Wandsee e alta valle del Reno) (14) e in Spagna (Madrid) (15).
In conformità con questa nuova filosofia che sembra destinata ad affermarsi a livello internazionale, il Progetto propone che le strategie d’utilizzazione delle risorse fluviali siano orientate da alcune opzioni di fondo, ordinate gerarchicamente, in testa alle quali c’è il rispetto del fiume e della sua libertà, come presenza dinamica ed evolutiva da cui tutta l’articolata e differenziata gamma delle condizioni ambientali e degli ecosistemi fluviali inevitabilmente dipende. Ed a questo principio si collegano, in ordine discendente, le altre opzioni che concernono la qualità delle acque e il miglior uso delle risorse idriche, la salvaguardia delle aree sensibili e della continuità ecologica del “corridoio” fluviale, la salvaguardia della struttura storica della fascia fluviale e del suo patrimonio culturale, il rispetto e la valorizzazione delle risorse e delle attività agricole e forestali, il miglioramento della fruibilità e dell’accessibilità del fiume e delle sponde, la salvaguardia della leggibilità e fruibilità del paesaggio fluviale.
11) T. Dunne, L.B. Leopold, “Water in Envirommental Planning”, Freeman & Co., S. Francisco, 1978.
12) Cfr. in proposito T. Turner, “Landscape Planning”, Hutchinson, 1987.
13) Cfr. in proposito: Consiglio Esecutivo del Cantone di Aargau, Svizzera, 1979.
14) Il progetto di sistemazione dell’alto corso nel Reno è stato esposto anche alla Triennale di Milano nel 1988.
15) A. Ramos, M. Aguilo: “The Landscape of Water: Introduction”, in Landscape and Urban Planning, n. 16/1988.
Politiche proposte
I problemi della tutela e della valorizzazione della fascia non possono - in questa prospettiva - in nessun modo ridursi alla semplice conservazione di alcune aree di maggior pregio, di alcuni valori scenici, di certi livelli massimi di inquinamento. Essi richiedono invece una strategia complessa ed integrata su tutta la fascia e, in larga misura, fuori dalla fascia, da sviluppare con politiche diverse e convergenti:
A) politiche di ricostruzione e riqualificazione paesaggistica e ambientale, le quali, oltre ai programmi regionali e interregionali di prevenzione e riduzione dell’inquinamento a vasta scala, implicano interventi di risanamento e rinaturalizzazione della fascia vera e propria, la realizzazione di un sistema lineare di parchi ed aree protette, la realizzazione di circuiti turistici d’interesse ambientale e culturale (con particolari percorsi didattici), la promozione e la diffusione della conoscenza e della “cultura del PO”;
B) politiche di riorganizzazione urbanistica e territoriale, le quali, oltre al controllo dei processi insediativi e delle modificazioni infrastrutturali anche a vasta scala, implicano il miglioramento selettivo dell’accessibilità e delle reti di fruizione delle risorse fluviali (che deve da un lato aumentare le opportunità d’uso sociale del fiume e delle sponde, dall’altro ridurre i rischi di congestione, inquinamento e sovraccarico ambientale), nonché il recupero e la valorizzazione di impianti, attrezzature, insediamenti di servizio lungo il fiume;
C) politiche di settore, da coordinare per i fini indicati dal Progetto, particolarmente per quanto concerne:
- le attività agricole, da valorizzare, compatibilmente con il rispetto prioritario delle aree da lasciare al fiume e con le esigenze di disinquinamento;
- le attività estrattive, per le quali, escludendo prelievi nell’ambito di divagazione del fiume e nelle aree di specifico interesse naturalistico, vanno definite modalità e quantità estraibili rigorosamente subordinate alle esigenze di ricostruzione paesaggistica e di recupero ecologico;
- il riassetto idrogeologico che, investendo la filosofia difensiva che ha portato alla canalizzazione e alla brutalizzazione di larghi tratti del fiume, deve tendere in generale a ridurre al minimo l’interferenza antropica nelle dinamiche evolutive del fiume, rispettandone la libertà di divagazione;
- la navigabilità, per la quale, escludendo interventi dirompenti di bacinizzazione e canalizzazione, si pongono problemi (di rimozione o superamento degli ostacoli naturali e artificiali, di approdi, ecc.) essenzialmente per le imbarcazioni a remi turistiche e sportive; - il turismo e il tempo libero, per il cui potenziamento sono fondamentali le attività d’informazione e promozione (le risorse fluviali sono assai poco conosciute) oltre al recupero e al potenziamento dei servizi e delle attrezzature esistenti;
D) politiche di coordinamento dei piani territoriali, agricoli-zonali ed urbanistici, per i quali ultimi si pongono problemi di adeguamento alle indicazioni del Progetto, di normative unificate per la fascia fluviale, di aggregazioni e intese sovracomunali per interventi specifici.
Indirizzi e strumenti di governo
Le politiche indicate non possono applicarsi uniformemente all’intera fascia fluviale, che presenta rilevanti differenze di stato, d’attitudine, di trasformabilità e di vulnerabilità. Il Progetto propone quindi una notevole diversificazione degli indirizzi e degli strumenti di governo, nei diversi ambiti della fascia fluviale. Una diversificazione che tuttavia ruota attorno ad una connotazione emergente, gi indicata dalla Regione nell’85, quella della destinazione a “parco fluviale” dell’asta del Po. La prospettiva che il Progetto delinea è quella, in sintesi, di un sistema reticolare di opportunità ricreative e di esperienze naturalistiche differenziate, che vanno dalle aree di riserva integrale, alle aree agricole, alle aree propriamente attrezzate per gli usi del tempo libero; sistema che si intreccia con quello dei poli socioculturali, il vario rango e di varia dimensione e caratterizzazione, che l’evoluzione storica delle strutture insediative ha diramato sul territorio, sui due lati del corso del fiume, alimentandone le relazioni. Una rete dunque, sviluppata linearmente, che combina le suggestioni delle “culture locali”, spesso ancora vivissime e recuperabili nelle nuove configurazioni decentrate della moderna “città reticolare” (16), con l’interesse specifico di spazi naturali estremamente differenziati (soprattutto in Piemonte), spesso complementari e sempre ecologicamente e paesisticamente connessi. La proposta, che può ricordare da un lato le metafore della città reticolare, dall’altra le note proposte francesi della Commissione ministeriale presieduta da Edgar Pisani per un “reseau d’espaces naturels” nel 1983, conferisce un valore particolare al parco fluviale gi previsto dalla Regione lungo tutto il corpo del P0. Essa indica anzitutto che il parco fluviale del Po, date le dimensioni e le differenziazioni interne della fascia fluviale, può e deve essere pensato come un sistema lineare di aree protette a differente vocazione e disciplina, connesse da corridoi ecologici e reti fruitive appositamente progettate e tutelate, all’interno di un sistema più ampio e diversificato di tutela e fruizione ambientale. Ma la proposta suggerisce anche che, all’interno della rete complessiva di spazi naturali e momenti socioculturali in progetto, i parchi veri e propri (o, se si preferisce, le articolazioni specifiche del parco fluviale), in quanto aree connotate da particolari equilibri tra forme e livelli d’uso e forme e livelli di tutela, assumono ruolo ed immagine di “eccellenza” simbolico-fruitiva. In altri termini, è soprattutto il parco fluviale, all’interno della rete in progetto, a rappresentare e rendere concretamente esperibili da tutti - come una metafora vivente - i nuovi rapporti tra fiume e territorio, tra fiume e società, che il Progetto Po cerca di ricostruire.
Le differenziazioni storiche e naturali della fascia fluviale, riscontrate nella varia articolazione degli usi e degli interventi che il Progetto propone, implicano il ricorso ad una pluralità di strumenti e procedure d’attuazione. Alcune aree necessitano essenzialmente di vincoli conservativi e misure dissuasive volte a ridurre o contenere le pressioni sull’ambien158 te, altre di linee di coordinamento tra azioni diverse, corrispondenti a settori e a soggetti diversi, altre ancora di interventi di recupero, risanamento, riqualificazione che debbono formare oggetto specifico di progetti appositi, più o meno complessi, riferibili a soggetti diversi, dalla Regione ai Comuni ai privati operatori.
Il Progetto Po si muove quindi inevitabilmente a due livelli diversi: uno più generale, che concerne l’intera fascia fluviale nei suoi 235 km di sviluppo, per la quale occorrono indirizzi e norme di tutela destinate soprattutto a coordinare i Piani di settore ed i progetti locali; ed uno più specifico, limitato ad alcuni ambiti ben individuati, per i quali occorrono indicazioni operative, corredate dalle necessarie verifiche di fattibilità e d’impatto ambientale (17).
E’ in questi ambiti che il Progetto Po deve assumere caratteristiche propriamente operative, articolandosi in Progetti complessi di rilievo regionale o locale o d’intervento puntuale.
16) La prospettiva di sviluppi urbani depolarizzati, diramati sul territorio e fra loro connessi da relazioni di interdipendenza, così da formare reti e reticoli alle varie scale, piuttosto che assetti rigidamente gerarchizzati come quelli teorizzati nel passato, attualmente oggetto di verifiche empiriche e di riflessioni teoriche a livello internazionale (cfr. in proposito Convegno AISRE: “I sistemi urbani tra concentrazione metropolitana e strutture policentriche: tendenze e politiche”, Milano 1989).
17) Il carattere “operativo” del Progetto appunto ribadito nella Legge urbanistica regionale (art. 8 ter) dell’obbligo di valutare i costi e i tempi di realizzazione, di individuare le risorse e i soggetti, di valutare l’impatto ambientale, socioeconomico e paesaggistico degli interventi.
Le illustrazioni che seguono sono tratte da: Progetto Po, IRES, Rosemberg e Sellier, Torino 1989.
Alcune conclusioni
Le ricerche svolte per il Progetto Po, ed i dibattiti attorno alle prime proposte, suggeriscono alcune indicazioni riassuntive, che vanno al di l dell’interesse specifico del progetto.
La prima concerne la fecondità e, insieme, la necessiti e le difficoltà di un approccio integrato ai problemi del fiume.
Le ricerche hanno dimostrato che questi problemi non si possono risolvere né ritagliando artificialmente la fascia fluviale dai territori di cui fa parte ed in cui i problemi stessi hanno le loro radici, né isolandone alcuni aspetti o privilegiando alcune finalità, sotto la pressione dei rischi o degli allarmi emergenti o, peggio, di interessi particolari. La giusta preoccupazione per le ragioni d’urgenza e le priorità da rispettare non deve far dimenticare che si è in presenza di un ecosistema complesso, che richiede, per essere saggiamente gestito, politiche complesse. Strategie adeguate debbono essere sorrette da progetti integrati, che tengano conto della molteplicità degli usi, degli interessi e dei soggetti coinvolti, e consentano di valutare la distribuzione dei vantaggi e degli svantaggi, dei premi e delle pene, nel breve e nel lungo termine. Ma le ricerche hanno anche dimostrato che approcci integrati e multifunzionali sono oggi ostacolati dalla sistematica carenza delle basi informative, che scontano ritardi di lunga data nell’organizzazione e nella gestione della conoscenza del territorio; e dalla rigida e irrazionale divisione delle competenze, che impedisce lo sviluppo di politiche trans-scalari ed articolate “per problemi” anziché per aree amministrative.
Una seconda indicazione che si impone all’attenzione riguarda la necessità. di una svolta radicale nella filosofia d’intervento e nei rapporti col fiume. La problematica fluviale sembra porre, più acutamente e forse più precocemente di altre problematiche ambientali, di fronte alla consapevolezza che il processo di “addomesticamento” delle risorse naturali su cui si è fondato nei secoli il progresso civile ha imboccato da tempo strade perverse e catastrofiche, e va fermato, prima che ogni ulteriore progresso significhi la perdita di inestimabili patrimoni di risorse, penalizzando irrimediabilmente le generazioni future. E’ necessario tornare a progettare con e per la natura, anziché contro la natura, ricercando nuove alleanze e nuovi equilibri dopo le rotture del passato. A differenza del passato più recente, la rivalorizzazione del fiume non può porsi come obiettivo unico o principale lo sfruttamento economico delle risorse (o la razionalizzazione degli sfruttamenti in atto, con la semplice riduzione dei loro impatti ambientali), ma deve tendere al recupero della qualità delle acque e dell’ambiente, al ripristino delle situazioni maggiormente perturbate, alla rinaturalizzazione delle aree devastate, alla riduzione dei rischi creati dall’uomo ed al controllo delle pressioni antropiche sui cicli naturali. Ciò implica che le strategie d’intervento, indipendentemente dai soggetti cui competono, ed innovando radicalmente le pratiche degli ultimi decenni, devono essere basate su alcune opzioni di fondo, in testa alle quali dovrebbe esservi il rispetto del fiume e delle sue dinamiche evolutive.
Una terza indicazione riguarda il rapporto tra politiche ambientali e politiche dei parchi, in contesti ecologici e territoriali complessi come quello in esame. Le ricerche hanno indicato che si tratta di politiche mutuamente irriducibili, ed anzi strettamente complementari. Politiche ambientali articolate e generali, estese all’intero territorio ed organicamente sorrette dalla pianificazione territoriale e paesistica, sono necessarie non soltanto per fronteggiare adeguatamente i processi di degrado, inquinamento e devastazione ambientale, ma anche per promuovere processi di rivalorizzazione delle risorse sufficientemente diramati sul territorio, basati su reti diffuse di spazi naturali variamente caratterizzati e connessi. Nel contempo i parchi svolgono un ruolo insostituibile nel rappresentare e rendere accessibile a tutti l’esperienza di nuovi e più equilibrati rapporti con le risorse e con l’ambiente naturale, soprattutto in contesti come quelli fluviali, in cui le ragioni dell’ambiente e della natura sono state troppo a lungo sacrificate agli interessi di breve termine od agli egoismi individuali.
Infine, un’ultima considerazione riguarda il rapporto tra il Progetto Po e i progetti e le iniziative interregionali e statali. Quanto più ci si accosta ai problemi del Po, tanto più acutamente si avverte l’esigenza - troppo a lungo ignorata o rimossa dalle autorità. centrali dello Stato - di affrontarli con strategie di alto profilo, al livello dell’intero bacino idrografico. Ma le esigenze di approcci integrati, che tengano nel debito conto tutte le principali implicazioni della tutela e della valorizzazione del fiume, sono difficilmente soddisfacibili a livello di bacino, senza articolati riferimenti alle ricerche, alle iniziative ed ai progetti che maturano localmente e che si saldano nei programmi regionali.
E’ infatti a livello regionale che la specificità delle risorse locali può essere adeguatamente considerata e correttamente collegata alle opportunità di salvaguardia paesistica ed ambientale del contesto territoriale (oggetto dei piani formati ai sensi della L. 431/85) ed a quelle di sviluppo economico e sociale oggetto dei programmi regionali. Ed è solo con un rapporto fruttuoso con le iniziative locali e regionali, che un copioso patrimonio di studi, di idee e di proposte gi elaborate può essere messo a frutto, per produrre interventi ben radicati nelle realtà locali, attenti alle peculiarità. e alle differenze che rendono particolarmente ricco e complesso il paesaggio padano.
Ciò sembra confermare un’esigenza già. ben avvertita negli ultimi tempi dal dibattito ambientalista, quella di un rapporto dialogico, di mutua fecondazione, tra approcci locali e strategie generali: un rapporto ostacolato o impedito nelle pratiche correnti di governo del territorio, che dovrebbe invece trovare adeguati riscontri nel nuovo quadro istituzionale che si viene in questi anni disegnando.
Le illustrazioni che seguono sono tratte da: Progetto Po, IRES, Rosemberg e Sellier, Torino 1989
Presupposti e indicazioni progettuali