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Un approccio sincronico alla morfologia urbana di Torino
Si considerano qui i risultati di un'indagine sincronica, che prescinde dalle modalità con cui si è stratificata la città, ma ne legge soltanto gli assetti attuali, nella loro struttura e non come effetto di processi.
Certamente siamo abituati ad utilizzare indagini sincroniche per la comprensione della rete funzionale urbana o della distribuzione della rendita, mentre al contrario può apparire una provocazione un criterio analitico che sezioni la morfologia urbana senza ricorrere alla sua storia.
In realtà nella pratica quotidiana la nostra "competenza urbana" fa ricorso sia a paradigmi sincronici, strutturali, che a categorie diacroniche, della memoria, comunque entrambi presenti in ogni scelta operativa nell'uso della città, anche se in misura diversa a seconda dei casi.
Siamo indotti implicitamente a considerare importante la Storia nella comprensione 'scientifica' dei fenomeni che comportano un forte utilizzo della Memoria nella comprensione 'd'uso' quotidiana, ed è certo che per gli europei è generalmente importantissima la memoria della forma fisica della città nel riconoscere la loro stessa identità.
Insomma pare che la morfologia urbana venga diffusamente utilizzata come 'archivio' dei segni di identità collettiva e che la sua descrizione in termini di processo sia il modo migliore per rafforzare quell'identità, quale che sia il risultato finale in termini di qualità, similmente al processo psicanalitico che spinge ad una descrizione 'storica' di sè per ottenerne una accettazione e in fin dei conti un rafforzamento dell'amor proprio.
Come per la propria psiche, la conoscenza storica della propria città permette un superamento della "vergogna del confronto" con valori stereotipi e ideologici di qualità e genera una comprensione più profonda e rispettosa della propria situazione. Tuttavia, come per la propria psiche, anche per la propria città la conoscenza storica permette di superare il disagio esistenziale solo in alcuni casi, mentre in molte situazioni il problema rimane irrisolto: se le cause del malessere sono "esogene" a poco valgono le conoscenze storiche delle sopraffazioni e delle violenze che le hanno generate.
Ciò che emerge nella descrizione della parte di città più recentemente costruita (genericamente: la periferia) è proprio il suo essere "oggettivamente" fonte di disagio, o almeno ciò che risalta è la costrizione dell'adattamento a cui sono sottoposti i suoi fruitori.
Sembra che in queste situazioni la città si costituisca come un oggetto "altro" dalla comunità utente, come un luogo estraneo che "si dà a priori"' (che non è parte della storia della comunità utente ma che c'è già prima' di questa, come un territorio ostile). Se l'alterità è percepita culturalmente, allora la "storia della periferia" indica due processi ben differenti per valori e effetti sulla storia della città nel suo complesso: una è la storia del suo costruirsi fisico, fatta di Piani riempiti e di operazioni immobiliari, l'altra è la storia del suo costituirsi come luogo urbano, in un processo di faticosa appropriazione sociale e culturale che può durare anche più di un secolo.
L'utente fa segni di quello che c'è, perchè, più o meno costretto, abita, e perciò attribuisce significati e fa storia, accumulando memoria. Quindi la periferia diviene materiale segnico oltre e diversamente dalle previsioni di qualsiasi progettista: mentre la storia della crescita edilizia è per lo più una cronaca di eventi senza esiti sul sistema culturale della città, la storia più interessante per l'identità urbana è quella della società che abita.
Quando utilizziamo la storia della periferia, per trarne spunti progettuali per il futuro della città, per lo più noi difendiamo quell'accumulo di memoria in formazione che nel tempo sta assegnando valori di identità a spazi astorici, sta attribuendo significati a costruzioni originariamente indifferenti, sta cominciando a dire "questa periferia è la mia periferia".
Quando invece utilizziamo la lettura della forma urbana "come si presenta", per trarne spunti progettuali per il futuro della città, analizziamo un territorio per capire le condizioni che consentono la sua migliore abitabilità: o troviamo regole implicite nel già costruito o, in mancanza d'altro, tendiamo a utilizzare il metodo di sfruttamento elementare delle risorse, come farebbe, al seguito di una missione di esploratori, un geologo con il suolo o di un botanico con i vegetali commestibili.
Quindi, se al grado ottimale di urbanità la città impone le sue regole al progettista che voglia continuare con innovazione la qualità ambientale che si è accumulata, la periferia, al grado zero di urbanità, si pone all'indagine sincronica come un ambiente naturale di cui vanno studiate le potenzialità di umanizzazione (....di civilizzazione... di urbanizzazione).
L'indagine sulla morfologia urbana tenta una scansione del territorio costruito proprio in base al differente grado di "regola utile" implicita che si riesce a leggere nelle forme insediative, fatte di città ma anche di aree non urbanizzate, comunque dotate di una logica formativa e di un assetto potenziale a cui fare riferimento, tracce da seguire nel progetto.