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Per chi si progetta il paesaggio?
Il criterio di individuazione del target del progetto non può più essere definito a priori (il produttore O il fruitore, l'abitante O il turista) ma va ricostruito con coerenza rispetto ai valori di vitalità, di motivazione e di attualità che sopra si indicavano. E di fronte a questo criterio siamo poveri di sapere: poco abbiamo studiato dei motivi e delle differenti caratterizzazioni dei gruppi sociali rispetto al loro desiderio di paesaggio, alle modalità con cui ne fruiscono, ai valori che ad esso attribuiscono.
Così poco ne sappiamo che quelli, come noi, a cui capita spesso di discutere con "la gente" di progetti di gestione del paesaggio (non parliamo di progetto!), quasi mai riescono a comunicare agilmente, ad avere degli alleati naturali, a conquistare facilmente gli animi delle persone alle speranze dei programmi di intervento, a quelle opzioni che ci sembrano diritti elementari, indiscutibili, da dare per scontate e passare a discutere semmai delle difficili strategie per dare loro corpo.
E' chiaro che manchiamo di marketing, che rimaniamo bloccati dalla nostra ignoranza dei gusti del "mercato", poco sappiamo delle culture del paesaggio diffuse, delle loro differenziazioni e caratterizzazioni locali o di nicchia, della loro potenza rispetto ad altri piaceri e saperi: forse sotto sotto continuiamo a ritenere che la nostra posizione "colta" di apprezzamento del paesaggio sia l'unica praticabile, che l'unica cultura del paesaggio possibile sia quella che coniuga informazioni multidisciplinari e scientifiche ad un occhio educato dall'arte "du paysage" (arte che ovviamente crediamo estinta all'alba di questo secolo e che oggi si può solo snobisticamente riprendere).
Se invece ci guardassimo con distacco, noi, cittadini da generazioni, che discutiamo della necessità di mantenere vivo il rapporto tra paesaggio e insider che lo produce, vedremmo d'un colpo tutta l'ampiezza della gamma di feeling che la cultura del paesaggio comporta: proprio nel ventaglio di posizioni che colma la straordinaria distanza tra cultura dei luoghi del produttore diretto, trasformatore o manutentore fisico del territorio, e cultura dei luoghi dello studioso che muove da documenti e cartografie per riconoscerne le tracce nella reale fisicità delle cose.
Questo intervallo (sociale e non psicologico), tra l'agricoltore che fa il paesaggio e il cultore della materia che lo studia, è uno dei vissuti generalizzati nella storia del Novecento europeo: il grande processo di mobilità dal sistema rurale a quello urbanizzato e dall'agricoltura al terziario attraverso l'industria ha segnato i destini di tutti noi, nei nostri padri, o nei loro padri. E' questa storia recente che forma le attuali, vive, infinite posizioni articolate e dinamiche di chi ai paesaggi fa riferimento per fattori biografici, sentimentali, di competenza settoriale, di ruolo.
La Risoluzione del Consiglio d'Europa sui paesaggio culturali cita in più punti un soggetto generale ("le popolazioni", "i cittadini") al quale si riferisce implicitamente la "proprietà culturale" del paesaggio, risorsa comune, motore di identità e di diversificazione da difendere; alle popolazioni in generale viene riconosciuto non solo il ruolo politico-giuridico di un soggetto di diritto ma anche quello più complesso di un soggetto attivo "nell'evoluzione dei paesaggi" e come "fruitore di un paesaggio di qualità" (vedi punto 6)
In questa generalità si riconosce di fatto il superamento della dicotomia paralizzante tra i produttori di paesaggio e gli altri (divisi semmai tra contemplatori e consumatori): si assume invece il principio secondo il quale il paesaggio è prodotto da tutti, contemporaneamente, è compresenza nel tempo e nello spazio di tanti autori e fruitori. Si tratta di generalità che sono caratteristiche strutturali di ogni produzione culturale "naturale" di un popolo, come la lingua, la cucina, il modello insediativo o i riti.