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European parks and landscapes: a territorial research programme

Indice

 

Relazioni e reti

 

 

Dagli oggetti alle loro relazioni

In modi e per ragioni diverse il paradigma paesistico e i nuovi paradigmi naturalistici pongono l’esigenza di andare oltre i singoli “oggetti” depositati nel territorio per coglierne le relazioni dinamiche e coevolutive. Non è un problema di scala, al contrario è un problema che si pone a tutte le scale, dalla casa alla città alla regione, come già emergeva dalla critica del Correalismo dell’architettura di Kiesler, 1939. Ma in sistemi complessi come gli attuali sistemi territoriali, ciò richiede la considerazione di reti di connessione di vario tipo, ricche di ridondanze e di reciproche interazioni, ma anche mutilate o interrotte sempre più spesso da barriere o discontinuità derivanti dai processi di trasformazione territoriale. Questa esigenza ha trovato riscontro nei “nuovi paradigmi” sopra richiamati con particolare riferimento ai processi di frammentazione ecosistemica da tempo evidenziati (Bennett 1999); ma è facile accorgersi che ha portata assai più generale. Alla produzione di luoghi che caratterizza la “produzione di territorio” non può non affiancarsi la costruzione di reti, che assicurino o ristabiliscano le connessioni vitali: nello spazio (tra fatti variamente dislocati nel territorio), nel tempo (tra fatti variamente scaglionati nella storia del territorio) e nella società (tra soggetti e gruppi sociali differenti) (IUCN 2005). In questo senso il territorio può essere pensato come “rete di reti”. Ma questo obbliga anche a prendere in considerazione tutte le relazioni variamente influenti sulla connettività dei sistemi, nella triplice dimensione sopra ricordata. In altre parole, il “paradigma reticolare”non può che avere carattere fortemente multidimensionale. La sua utilità consiste nel comprendere ed esplicitare le interazioni che si determinano tra le diverse reti connettive che attraversano il territorio, legando fatti ed azioni apparentemente separati.

 

Alla ricerca di un paradigma reticolare trasversale

Ma le ricerche sviluppate sin dai primi anni ’90 in questa direzione, sia sul piano dell’analisi empirica che su quello della elaborazione teorica, non sembrano aver portato alla costruzione di un vero paradigma trasversale, capace di “mettere insieme” reti diverse, come quelle ecologiche, quelle culturali, quelle urbane, quelle d’impresa o quelle infrastrutturali . Anche se non mancano attraenti ipotesi circa l’esistenza di relazioni significative tra di loro, come “le relazioni ecologiche attivate da (o comunque connesse con) le reti infrastrutturali e di interazione sociale” (Dematteis 1993). La riflessione critica e la sperimentazione sulle reti ecologiche hanno dimostrato la difficoltà e l’inopportunità di separarne il ruolo biologico da quello culturale ampiamente inteso (spingendo perciò ad elaborare il concetto di connessione bio-culturale). L’esperienza dei parchi ha evidenziato gli stretti rapporti tra i sistemi di aree protette in quanto risorse territoriali e le reti degli enti di gestione delle stesse, in quanto soggetti sovra-locali di governo del territorio che possono cooperare anche a distanza (come ad esempio nella Rete dei Parchi Alpini). Un’ampia letteratura scientifica ha da tempo studiato le reti gerarchiche urbane (Camagni 1990) e in particolare le relazioni sinergiche tra le reti urbane degerarchizzate, depolarizzate ed auto-organizzate e le reti equipotenziali dei trasporti che le servono. Gli esempi potrebbero continuare e mettere in luce non solo convergenze e interazioni, ma anche la possibilità di riscontrare in questi diversi tipi di reti alcune “proprietà” comuni: come l’esistenza di relazioni non basate sulla contiguità spaziale (e il parallelo indebolimento dei vincoli di prossimità), o di relazioni di interdipendenza multilaterale, o di ridondanze che aprono alternative, o di relazioni dicotomiche (stare o non stare in rete).

 

Trame auto-organizzate e ordinamenti gerarchici

Nel tentativo di sviluppare una interpretazione unitaria delle diverse reti, è stato proposto l’accoppiamento di due concetti chiave, quello di “trama auto-organizzata” e quello di “gerarchia ordinata di elementi uniformi” (De Landa 2003): concetti suscettibili di attraversare il mondo fisicogeologico, quello biologico e quello”linguistico”-culturale. Tre mondi pensati non già come tre sfere separate e diversamente progredite, ma come tre flussi coesistenti e interattivi di materia, energia e informazione. In questa visione, il variabile accoppiamento dei due concetti chiave sembra prestarsi a collegare interpretazioni reticolari differenti, nate e sviluppate in contesti teorici assai distanti, come le reti di località centrali teorizzate dal Chistaller e da altri (Dematteis 1993), le reti ecologiche o le reti di comunicazione sociale. Un obiettivo importante ed ambizioso, nei nuovi scenari della globalizzazione: “si tratta infatti di capire se e a quali condizioni le reti si configurano come trame auto-organizzate che, nascendo dalle realtà locali, possono contrapporsi dialetticamente agli ordinamenti gerarchici, o, al contrario, come proiezioni di un ordine superiore che lega le realtà locali in sistemi di relazioni esogene ed eterodirette”(Gambino 2009). È una domanda che va al cuore dell’“urbanità”, dilatando e complessificando il senso e il ruolo della “centralità”, andando ben oltre quelle interpretazioni “diagonali” che già negli anni ’70 avevano richiamato l’attenzione, soprattutto dei geografi (Bird 1977, Gambino 1983).

 

Una risposta territorialista

Ma la risposta a questa domanda va oltre il paradigma reticolare, per quanto lo si voglia o lo si possa dilatare. Infatti, il ruolo che ciascun nodo può svolgere nelle reti di cui fa parte dipende crucialmente dai suoi caratteri specifici, dalle risorse mobilitabili, dalle capacità auto-organizzative e dall’ambiente operativo di cui si dispone. Il ruolo della specificità nei nuovi scenari competitivi sovra-locali non è separabile dalle ragioni “interne” della sostenibilità e della coesione, non è interpretabile solo in termini di nodalità. Perché il territorio non è fatto soltanto di reti di vario tipo e livello, che vi si incrociano interagendo, è fatto anche di luoghi, dotati di una propria individualità, di una propria - più o meno riconoscibile e riconosciuta - identitภe quindi di una propria, maggiore o minore, capacità di resistere alle spinte derivanti dai mutamenti globali e di difendere i propri valori e le proprie ragioni. Luoghi e reti rappresentano da tempo una duplice metafora interpretativa della territorialità contemporanea (Gambino 1994a). È nei luoghi concreti della realtà territoriale, non in quella astratta costruzione mentale che chiamiamo spazio (Raffestin 2009), che i paradigmi ecologici e paesistici di cui abbiamo discorso, prendono consistenza. È in rapporto alle diversità dei luoghi che si può parlare di identità e tentare di coglierne le tendenze evolutive, le derive localistiche, le intrinseche conflittualità. Perché sono nel territorio i luoghi reali degli scontri di interessi e di valori che determinano i rischi e il degrado incombenti sulla natura, il paesaggio e il patrimonio culturale. È dunque nel territorio il terreno comune nel quale tentare di incrociare le politiche della natura e le politiche del paesaggio, facendole interagire con le altre politiche dei diversi settori interessati, a partire da quelle propriamente urbanistiche. Di qui la “nuova centralità” del territorio, sullo sfondo della transizione post-fordista dell’economia globale, che restituisce importanza alle diversità e alle specificità locali e, nel contempo, fa esplodere le incompatibilità ambientali, in tutte le dimensioni, comprese quelle economiche e sociali. Si ripropone, al di là delle frontiere del neo-funzionalismo, l’attualità del “Manifesto territorialista” (Magnaghi 1990, 1998), che pone al centro dell’attenzione l’“abitare” il territorio, nel significato più pieno del termine. Una posizione non certo priva di rilevanti ascendenze: basti pensare alla concezione, in Cattaneo (1845), del “paesaggio edificato” in cui si riflette la storia dei disegni territoriali degli uomini; o all’equazione heideggeriana tra abitare e edificare. Ma il confronto diretto coi problemi e le attese locali è gravido di interrogativi. Esso costringe a ridefinire il concetto di identità, scontandone la variabilità nel tempo e la potenziale conflittualità: le identità “armate” o “bellicose” che possono “trasformarsi in un’arma potentissima per esercitare violenza” (Amartya Sen 2006). Ma insieme occorre ridefinire anche il concetto di sostenibilità, accettandone l’imprescindibile multidimensionalità, oltre i limiti ed i miti dell’ambientalismo militante (Scandurrra1998). Nel quadro del generale ripensamento del concetto di sviluppo, particolare interesse assume a questo riguardo la teoria dello sviluppo locale, che tende ad offrire un’interpretazione unitaria e “progettuale” del capitale territoriale, ossia dell’insieme dei fattori tangibili ed intangibili, naturali e culturali, su cui si fondano le prospettive di sviluppo dei “sistemi locali territoriali”, SloT (Dematteis, Governa 2005). Sono queste prospettive che possono dar senso al recupero del rapporto tra la gente e i luoghi, tra formazioni sociali e territori, per la società contemporanea intrinsecamente “deracinè”, attraversata da violenti processi di deterritorializzazione, pervasa dal nomadismo e dalla continua ricerca dell’altrove.


Informazioni aggiuntive

  • Riferimenti: Lectio Magistralis al Politecnico di Torino 8/10/2009
  • Periodo: dal 2006 al 2009
  • Luogo: Europa