Indice
Principi e valori
Nuovi sistemi di valori potenzialmente in conflitto
La tutela della natura, come quella del paesaggio, ha a che fare con l’affermazione di sistemi di valori; ma i sistemi di valori non sono gli stessi nei due casi. Comprenderne le differenze può aiutare a coordinarne le rispettive politiche. Contano, nel primo caso, valori riconosciuti e presidiati dalle “scienze dure” (come la geologia o la biologia), in termini tali da quasi annullare ogni possibilità di scelta circa le misure di tutela da adottarsi. Tra il riconoscimento oggettivo e scientificamente inoppugnabile del valore e la scelta dei modi con cui proteggerlo, si profila una relazione stringente, al limite deterministica. Nel secondo caso, la tutela del paesaggio, entrano in gioco valori di assai più incerta determinazione, che lasciano ampi spazi all’interpretazione e alla valutazione soggettiva, nonostante il poderoso ausilio delle scienze sociali, in primo luogo la storia. La labilità e la soggettività che ne derivano, in ordine alle misure di tutela e di gestione, sono state esplicitamente riconosciute dalla stessa Convenzione Europea del Paesaggio, che impegna le parti a tener conto, nella valutazione dei paesaggi, “dei valori specifici che sono loro attribuiti dai soggetti e dalle popolazioni interessate”(art.5). Questa distinzione non è peraltro rigida. Anche nel campo della conservazione della natura si è fatta strada una concezione più socialmente sensibile dei valori in gioco; mentre la stessa oggettività scientifica delle valutazioni è sempre più spesso revocata in dubbio (basterà ricordare l’aspra contesa che attraversò il mondo scientifico quando si trattò di scegliere la miglior strategia d’intervento, a fronte dello spaventoso incendio che devastò il Parco di Yellowstone qualche anno fa). E inversamente il determinismo ecologico (a partire dalla svolta degli anni ’60: McHarg 1966) ha profondamente impregnato la cultura del paesaggio, dietro le bandiere della Landscape Ecology. Piuttosto che suggerire una biforcazione tra sistemi diversi di valori, l’esperienza sembra indicare l’intrinseca problematicità della identificazione dei valori, sia nel campo della conservazione della natura che in quella del paesaggio.
Nuovi diritti
Il riconoscimento dei valori naturali e culturali, in particolare di quei valori che il mercato ignora o contrasta, è alla base delle lunghe lotte per il “diritto alla città” (Lefebvre 1970) e per la costruzione dello “stato sociale” (Mazza 2009), rese oggi più aspre dall’emergenza dei fenomeni d’immigrazione e dalle nuove iniquità sociali. Ma il riconoscimento di quei valori porta anche all’affermazione di nuovi diritti e di nuovi doveri, come quelli che in Italia si richiamano all’art. 9 della nostra Costituzione. Accordi e trattati internazionali hanno sancito una progressiva dilatazione dei “diritti ambientali”, fra cui quelli che – come tipicamente i “diritti all’esistenza” di beni ambientali irrinunciabili - riflettono interessi collettivi trans-generazionali. Nel contempo si è ampliata la gamma dei “diritti di cittadinanza”, che riguardano ormai pacificamente anche valori “intangibili” come quelli estetici o letterari. Può sembrare ironico nel nostro paese, che ha lasciato gran parte delle proprie coste, dei propri paesaggi agrari, delle proprie montagne e dei propri centri storici alla mercé della speculazione immobiliare (e che anzi si accinge tuttora ad assecondarne le spinte in nome dello sviluppo economico) pretendere il rispetto dei “diritti alla bellezza”: un lusso che secondo molti non possiamo permetterci. Ma non si può ignorare che sotto quella bandiera si stanno aggregando consistenti ed agguerriti movimenti d’opinione.
Ragionar per principi
Se si accetta l’idea che le politiche della natura e del paesaggio non possano prescindere dai nuovi diritti di cittadinanza, non si può evitare di chiedersi come assicurarne la concreta attuazione, tenendo conto della pluralità e dell’intrinseca conflittualità degli interessi e dei valori in gioco. Una conflittualità che certo non si limita allo scontro tra generici interessi pubblici ed interessi privati, ma contrappone sempre più spesso, come riportano le cronache, diversi interessi pubblici antagonisti. Perché e a quali condizioni il riconoscimento di un paesaggio urbano storico di grande rilievo o di un’impareggiabile paesaggio agrario deve impedire la realizzazione di un grattacielo per uffici pubblici o di una piattaforma logistica o di un grande complesso ospedaliero? Per sfuggire alle insidie del relativismo e reagire all’“indietreggiamento dei valori universali” (Touraine 2008) si invoca l’accettazione di gerarchie di valori. Ma la battaglia sui valori assoluti sembra difficilmente riconducibile alle logiche del confronto democratico aperto ed inclusivo. Se ciascuna delle parti in conflitto si trincera dietro al proprio sistema di valori, l’esito del confronto non può che essere quello di una sopraffazione più o meno violenta e, si può aggiungere alla luce dell’esperienza, tendenzialmente a danno degli interessi pubblici più deboli, come quelli paesistici e ambientali. Di qui l’opportunità, nello spirito della Costituzione, di “ragionar per princìpi”, sostituendo alla logica dell’imposizione la logica della persuasione (Zagrebelsky 2009). E’ su questo terreno, piuttosto che su quello di un astratto confronto di valori, che anche la conservazione della natura può coniugarsi, rafforzandola, con quella del paesaggio.
Conservazione e innovazione, un rapporto inscindibile
Se spostiamo l’attenzione sui princìpi, il confronto tra i due ordini di politiche può essere concentrato su alcuni di essi, particolarmente problematici, tra i quali emerge il principio di conservazione. Negli ultimi decenni tale principio ha conosciuto una sconcertante dilatazione del campo d’applicazione e del suo stesso significato, non senza ambiguità e contraddizioni. Sia nei confronti della natura che del patrimonio culturale, la conservazione si è progressivamente staccata da concetti come quelli di “preservazione”, salvaguardia, tutela passiva, implicanti il riconoscimento di una condizione di immodificabilità non perfettibile, per lasciare spazio a forme più o meno complesse di trasformabilità, gestione dinamica, attenta amministrazione (Passmore 1986), cura e innovazione. Sebbene la nuova concezione recuperi importanti lezioni del passato, come il conservazionismo di Marsh (1864) o di Leopold (1933), essa si nutre di riflessioni attuali. Da un lato, la constatazione che, più che in passato, non può darsi autentica e durevole conservazione che non comporti trasformazione innovativa (“non si possono separare le cose dal loro divenire”: Tiezzi 1999; “il cambiamento fa parte inscindibile della biosfera”: Botkin 1990). Ogni intervento sul patrimonio culturale implica tensione innovativa, quanto meno nel ridar senso alle cose; e, d’altro canto, non si fronteggiano efficacemente i rischi e le minacce derivanti dai cambiamenti globali senza “adattamenti” innovativi (Adams 1996). Ma dall’altro lato e simmetricamente, la presa d’atto che ogni autentica innovazione nel mondo contemporaneo implica il confronto con una ingombrante eredità naturale e culturale, con sistemi complessi di “provenienze” (Petz 2004) e di memorie (Schama 1997), che non c’è oblio senza memorie, e che la gestione innovativa degli attuali ecosistemi non può prescindere dalla loro storia precedente (Botkin 1990). In sintesi, la conservazione si configura sempre più come “luogo privilegiato dell’innovazione” (ANCSA, “Carta di Gubbio”, 1960-1990). La conservazione innovativa, lungi dal potersi interpretare come un indebolimento delle opzioni di tutela, implica un impegno rafforzato per la cura dell’eredità territoriale e per la sua trasmissione alle future generazioni (Gambino 1997).
La dilatazione dell’opzione conservativa
Ma il cambiamento di senso del principio di conservazione è tanto più rilevante in quanto è stato accompagnato da una vera e propria esplosione del suo campo d’applicazione, sia nei confronti della natura che del paesaggio e del patrimonio culturale. Per la conservazione della natura, il cambiamento forse più emblematico riguarda le “aree naturali protette” ed i loro rapporti coi territori circostanti. La ricerca di forme di protezione e di valorizzazione estese a tali territori (secondo lo slogan del Congresso IUCN di Durban, 2003: “Benefits beyond Boundaries”: benefici al di là di ogni frontiera), di politiche conservative “a scala di paesaggio”, di pianificazione ecosistemica per eco-regioni, di “messa in rete” di ampi sistemi di aree protette variamente caratterizzate, trova un’ispirazione comune nel nuovo modo di intendere il principio di conservazione. Analoga dilatazione si è prodotta in rapporto al patrimonio culturale, con lo spostamento d’attenzione, (che trova emblematica testimonianza nell’evoluzione del pensiero dell’ANCSA: Gabrielli 1997) dai “monumenti” ai centri e agli insediamenti storici, al territorio storico nella sua interezza. Anzi questo spostamento di senso, dal monumento al patrimonio, è strettamente connesso - nei discorsi che da anni studiosi come Francoise Choay (2008) vanno sviluppando - alla “mondializzazione della salvaguardia del patrimonio storico”, ossia al riconoscimento internazionale che “non possiamo più permetterci il lusso di lasciarlo andare in rovina”. Ancora più esplicito, è appena il caso di ricordare, lo spostamento riguardante il paesaggio, riassuntivamente espresso nella Convenzione Europea del Paesaggio, che sancisce l’obbligo di riconoscere valenza paesistica a tutto il territorio, applicando misure diversificate di salvaguardia, gestione e pianificazione. Sotto tutti questi profili - ed in contrasto, beninteso, con gran parte degli apparati e delle pratiche tradizionali di controllo e tutela- si afferma l’irriducibilità del principio di conservazione a singoli “pezzi”del patrimonio naturale-culturale staccati dal contesto; o in altre parole, l’impossibilità di dividere il patrimonio territoriale in parti da conservare e parti da lasciare alla mercé delle spinte trasformatrici .
I principi del limite, di diversificazione e di integrazione
Naturalmente, quanto più si allarga sul territorio l’opzione conservativa, tanto più si articola e diversifica il suo rapporto con le dinamiche di sviluppo. La contrapposizione tra conservazione e sviluppo, che aveva svolto negli anni ‘60 e ’70 un importante ruolo di contrasto nei confronti delle politiche più aggressive e minacciose sotto il profilo ambientale e culturale, lascia spazio a concezioni più articolate, che ri-configurano l’opzione conservativa all’interno del grande tema dello sviluppo sostenibile. Rielaborazione non certo esente da ambiguità e contraddizioni, data l’elevata conflittualità che tuttora contrappone le istanze di tutela alle scelte politiche ed economiche dominanti. Il nuovo modo di intendere il principio di conservazione si ripercuote quindi sugli altri correlati principi che interessano congiuntamente la natura, il paesaggio e il patrimonio culturale, quali:
- il principio del limite, che muove dalla constatazione della scarsità relativa delle risorse disponibili per ogni progetto innovativo ma che sembra oggi proporsi (a quasi 40 anni dal riconoscimento dei “limiti dello sviluppo”: Meadows et al. 1972) più come sfida che come confine o barriera insuperabile;
- il principio di diversificazione, che muove dalla consapevolezza del ruolo insostituibile della diversità nell’attivare le relazioni vitali ecosistemiche, economiche, culturali e territoriali, in contesti tuttavia altamente conflittuali, che mettono a dura prova le identità locali e regionali;
- il principio di integrazione, che muove dal riconoscimento dell’esigenza di azioni pubbliche coerenti per la tutela e la valorizzazione efficace del patrimonio naturale-culturale, con particolare riferimento agli effetti cumulativi delle diverse politiche territoriali, generali e settoriali.