Indice
Convergenze
Il crescente rilievo della domanda di natura e di paesaggio
Parchi e paesaggi hanno assunto un crescente rilievo politico, sociale e culturale nei dibattiti, nelle pratiche e nelle costruzioni retoriche riguardanti la qualità della vita e le speranze di futuro della società contemporanea. La domanda di natura che trova espressione simbolica nei parchi naturali e la domanda di paesaggio, lungi dal potersi rinchiudere nelle preoccupazioni estetiche o edonistiche di esigue minoranze, nascono congiuntamente dalle ansie, dalle paure, dalle delusioni e dalle aspirazioni, da “quell’ampio cambiamento nella struttura del sentire” (Harvey 1993) che caratterizzano la condizione post-moderna. L’incubo dei collassi ambientali, drammaticamente aggravato dai cambiamenti globali (soprattutto ma non solo il cambio climatico) si intreccia con la crescente, anche se ancora inadeguata, consapevolezza dei processi degenerativi che sgretolano il patrimonio di risorse di cui disponiamo per costruire il nostro futuro. D’altra parte la ricerca di identità e di senso dei luoghi, che connota la domanda di paesaggio, è la spia di un malessere più profondo, che ha certamente a che vedere coi processi di globalizzazione e con i loro contradditori effetti di omologazione e di nuove diseguaglianze; e più in generale col passaggio epocale dalla “società dei luoghi alla società dei flussi”, propiziato dalle tecnologie della comunicazione.
La celebrazione della diversità, della natura e del paesaggio
Al cospetto di simili cambiamenti, la questione del paesaggio e la questione ambientale (latamente intesa) paiono sempre più spesso associate. Sono in gioco, sotto entrambi i profili, i rapporti dell’uomo con la terra, con l’acqua, con la natura. Molte delle sfide che la questione ambientale ha gettato sul tappeto- la carenza d’acqua per masse enormi di popolazione, la crisi energetica, le distorsioni strutturali dell’agricoltura, la crescita apparentemente inarrestabile dell’urbanizzazione “post-urbana” che ruba suolo e risorse vitali al mondo rurale, l’allargamento incessante dell’“impronta ecologica” che la città proietta sul territorio, ecc.- riguardano congiuntamente la conservazione della natura e quella del paesaggio. La lotta, lanciata a Rio de Janeiro a livello internazionale (UNCED 1992) contro la perdita di bio-diversità, ha sempre più allargato i propri obiettivi sulle implicazioni culturali, dunque paesistiche, delle dinamiche evolutive, ponendo al centro dell’attenzione la diversità bio-culturale e le sue variazioni. per effetto della globalizzazione (“Goods move, people move, ideas move and cultures change”, titolava già dieci anni fa National Geographic, agosto 1999). Non mancano i riscontri empirici, come ad esempio le ricerche in Asia od Africa che mostrano una correlazione positiva tra la diversificazione biologica e quella culturale (misurata in base alla varietà delle lingue, delle religioni e dei gruppi etnici: IUCN-CEESP 2004). A fronte dei contradditori effetti della globalizzazione, la celebrazione della diversità in tutte le sue forme (IUCN 2002) sembra ormai costituire un vero e proprio terreno d’incontro per la conservazione della natura e la conservazione del paesaggio – se si riconosce a questi due termini il significato pregnante che hanno recentemente assunto. Ciò vale in particolare per l’Europa, se è vero che la diversità è il tratto distintivo del “sogno europeo” nei confronti del “sogno americano” (Rifkin 2004).
Convergenze tra politiche della natura e del paesaggio
Questa convergenza di interessi e preoccupazioni si avverte a più livelli. A livello globale, da tempo organismi come l’IUCN hanno richiamato l’attenzione sul ruolo che le politiche del paesaggio sono chiamate a svolgere al fine di conferire maggior efficacia alle politiche di conservazione della natura, con particolare riferimento alle “aree protette” e ai loro rapporti con il territorio circostante. Già il Congresso Mondiale di Durban, nel 2003, aveva approvato una Raccomandazione finale specificamente rivolta a sollecitare la messa in campo di politiche del paesaggio, come strumento chiave per l’allargamento delle politiche di protezione della natura (IUCN, 2003: Raccomandazione CGR3 RES050). Più recentemente, al Congresso di Barcellona, 2008, un apposito Workshop è stato dedicato al “mosaico dinamico paesistico”, nella prospettiva di integrare diversità, equità e cambiamento (Borrini Feyerabend, Phillips 2009). Si è ribadito che “considerare il paesaggio più vasto è estremamente importante per perseguire la visione dell’IUCN di un mondo giusto che dà valore e conserva la natura”. E simmetricamente si colgono orientamenti volti a promuovere politiche del paesaggio fondate su solidi approcci ecologici, quali quelli offerti dalla Landscape Ecology. Approcci che possono trovare organica considerazione anche all’interno di un quadro giuridico completamente rinnovato come quello costituito dalla Convenzione Europea del Paesaggio (CE 2000). A livello regionale e locale, non mancano le esperienze che hanno colto nella dimensione paesistica opportunità specifiche di tutela e valorizzazione del patrimonio naturaleculturale da contrapporre alle spinte omologanti derivanti dai processi di globalizzazione, anche ai fini del ri-posizionamento di città e territori nelle arene competitive sovra-locali. In tali esperienze - piani urbanistici e territoriali di vario livello, programmi ricognitivi come quelli degli Atlanti, piani e progetti per i parchi e le “aree protette”, costituzione di Osservatori del paesaggio o di Ecomusei, ecc. - il paesaggio si configura come una essenziale chiave interpretativa e progettuale dei territori interessati. E inversamente, le aree naturali protette si configurano come terreni privilegiati di sperimentazione ed attuazione delle politiche del paesaggio. È interessante notare che questo reciproco interesse non si verifica soltanto in Europa (dove l’insieme delle aree naturali protette è connotato da una forte mescolanza di valori naturalistici e paesistici: CED PPN 2008), ma anche in altri paesi, come dimostra, ad esempio, l’attenzione del National Park Service americano per i “paesaggi culturali”).
Separazione tra politiche della natura e del paesaggio
A dispetto di queste convergenze, non si può evitare di constatare che le politiche del paesaggio e quelle per la conservazione della natura sono tuttora sostanzialmente separate, soprattutto nel nostro paese. Diverse le matrici giuridiche, distinti i quadri legislativi, separate le competenze e le responsabilità istituzionali: tipicamente in Italia, le due leggi fondamentali – la L394/1991 per la natura, il Codice del 2004 per il paesaggio- sembrano reciprocamente ignorarsi, così come le attività di controllo e di guida dei rispettivi Ministeri, per l’Ambiente da un lato, e per i Beni e le attività culturali dall’altro. Non meno gravi le separazioni osservabili a livello europeo, dove le competenze dell’Unione Europea escludono il paesaggio, su cui si è invece autonomamente mosso, con la Convenzione del 2000, il Consiglio d’Europa. Ci si può allora chiedere se e quanto queste separazioni derivino dalle tradizionali barriere scientifiche e culturali, dalle persistenti divisioni disciplinari del sapere e dalla mancanza di un quadro teorico unitario di riferimento. Oppure se inversamente siano esse stesse la causa dei ritardi e delle carenze che si avvertono sul piano scientifico e culturale.
Un programma di ricerca per uno sfondo comune
A partire da domande come queste è forse possibile delineare un “programma di ricerca” volto a costruire uno “sfondo” sul quale tentare di proiettare analisi e progetti che scavalcano i tradizionali steccati disciplinari e mettono in relazione visioni diverse. Non si parte da zero. Una riflessione retrospettiva sulle ricerche ed i progetti che si sono negli ultimi tre o quattro decenni misurati con le tematiche simbolicamente evocate dalla coppia parchi/paesaggi, consente forse di intravedere un itinerario “implicito”, saldamente appoggiato al territorio ma non insensibile alle suggestioni provenienti da tematiche diverse, a vario titolo pertinenti quella coppia. Ma questa riflessione non può limitarsi a guardare all’indietro, non può rinunciare alla spinta dell’“anticipazione immaginativa” (Zerbi 2008). Si può anzi avanzare l’ipotesi che proprio uno sguardo al futuro possa consentire di ritrovare i passaggi chiave dell’itinerario percorso.