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A, tra città e campagna contro la periferia: distinguere per integrare
Dove città e campagna mantengono ciascuna il proprio carattere distintivo nella percezione comune, è più facile una loro integrazione nei comportamenti e nella considerazione dell'identità ed è più semplice il superamento dell'effetto di confusione e banalizzazione della "periferia”. In questa prospettiva, vanno comunque stabiliti alcuni criteri strategici generali.
Innanzitutto nell'area metropolitana pare in via di esaurimento la domanda di paesaggio urbano, o meglio la domanda di paesaggio urbano pare concentrarsi sulla riqualificazione delle aree degradate interne al perimetro della città, piuttosto che spingere a imporre i segni della città all'esterno.
Al contrario pare crescere una domanda di insediamento caratterizzato dai segni del paesaggio rurale, anche dove tali segni non corrispondono più alle effettive attività praticate, ormai per lo più urbane (residenze, servizi etc.). Insomma per le strategie di rafforzamento del bipolarismo di paesaggio città-campagna, in questa fase potremmo dire, parafrasando una massima adottata dagli ambientalisti: "paesaggi urbani dove necessario, paesaggi rurali dove possibile". In questo senso comunque si ripropongono, in chiave attualizzata, i termini della integrazione del paesaggio del Buon Governo senese: sotto un'unica matrice culturale e antropologica molto integrata, città e campagna devono mantenere una forte distinzione identitaria, inglobando ciascuna nel proprio dominio semantico le parti aggiunte provocate dalle nuove funzionalità necessarie.
Così per le nuove lottizzazioni a palazzine ci si deve decidere per un assetto definitivamente urbano o se potenziare la morfologia rurale sino a confondersi strutturalmente (cioè nell'impianto, negli effetti di relazione con l'intorno, nei comportamenti territoriali indotti) con il contesto di campagna, Così le grandi attrezzature che la città espelle e che sempre più la circondano (vedi indagine sugli aspetti ambientali), devono essere ricondotte alla morfologia dei nuovi cantieri urbani o viceversa rientrare tra le aree libere prevalentemente vegetate, ove non siano obbligatoriamente costruite e incomunicanti con l'ambiente circostante (si pensi alle possibilità di qualificazione ambientale offerte dal recupero delle cave e delle discariche, o alle fasce di bordo delle strade ferrate, come sono state realizzate sino a pochi anni fa).
Ciò che si vuole sostanzialmente ottenere è un rinforzo e non un affievolimento delle distinzioni tra città e campagna, che vada al di là della attuale fase di omologazione delle parti e di erosione dei fattori differenziali.
In secondo luogo, al di là delle specifiche vocazioni di ogni ambito ad una specifica prospettiva, dall’indagine emerge il tema del bordo urbano come un leit-motiv della debolezza dell’identità a livello locale. E’ come se i processi trasformativi, che hanno la massima intensità sul mobile frangente dell’insediamento verso gli spazi liberi, lasciassero un cantiere aperto per decenni, in cui si aspettano nuovi eventi perché le fasce coinvolte prendano senso e acquistino un posto stabile nell’immagine identitaria locale.
La criticità non sembra stare nell'intensità del processo trasformativo: il senso del paesaggio era fortemente stabilito nel Buon Governo, dove l’operosità trasformativa sia dentro che fuori le mura non ledeva il senso della città né quello della campagna, ben sostenuto dall’opposizione tra le due componenti del paesaggio e dal segno fisico delle mura stesse.
La criticità sembra stare invece nell’assenza di proprietari culturali dei luoghi in trasformazione: il problema sinora non risolto sta nello sfalsamento temporale tra interventi e formazione di una domanda di identità, che interviene molto più tardi, a cose fatte, quando i nuovi abitanti entrano nelle nuove case. Non ci sono i proprietari culturali dei luoghi in trasformazione e quindi non si forma una attenzione al patrimonio identitario formato dal paesaggio che si abita. Non formandosi una domanda di identità la fascia di espansione, priva di abitanti, viene trasformata con un processo operativo incontrollato dal punto di vista paesistico: all’assenza di precauzioni riguardo alle identità paesistiche frantumate nei processi di espansione insediativa, corrisponde l’assenza di progetti per la formazione di nuove identità riconosciute collettivamente negli insediamenti di nuova formazione. I nuovi abitanti, quando si insediano, diventano immediatamente i conservatori più austeri dei brandelli di paesaggio che ancora riconoscono, ma ormai le relazioni strutturali tra città e campagna sono perdute.
Dunque gli interventi per rimediare questa aporia, grave perché insiste su un fronte di massima importanza, e quindi di massima vulnerabilità del senso del paesaggio, dovrebbero essere improntati a riconoscere un “diritto identitario” vasto per le aree libere tra gli insediamenti, allargato a intere comunità e non solo al senso privatistico degli acquirenti dei nuovi alloggi.
I soggetti più opportuni dovrebbero essere quelli dei centri che attorniano le isole di aree libere residue. In questo caso, alla moratoria degli interventi fisici, ottenibile con una buona applicazione di criteri perequativi allargati a tutto il territorio, si deve accompagnare un potente lavoro sociologico e di cultura paesistica: si tratta di inventare identità per territori che sino ad ora sono stati sulla fascia più esterna del senso dei luoghi, per lo più considerati aree bianche da trasformare per i cittadini e campi da coltivare, senza senso che non fosse produttivistico, per gli agricoltori.
Si tratta quindi di individuare una strategia culturale e operativa, prevalentemente di progetto, che si appoggi a qualche riconoscimento di valore preesistente ma che soprattutto designi una nuova comunità che si senta culturalmente proprietaria di un territorio libero: sono scommesse che già si stanno giocando con alcune aree lungo i fiumi (in certi tratti dello Stura ad esempio), con alcuni grandi demani istituzionali (le aree dell’ex-Ospedale Psichiatrico di Collegno, ad esempio), e che si potrebbero sviluppare pienamente in molti altri casi, ricorrendo ad un utilizzo sistematico della perequazione urbana e territoriale, purchè le istituzioni locali condividano tra più comuni l'interesse a riconoscere come proprio paesaggio le fasce aperte tra gli insediamenti e a gestire insieme le prospettive dei rispettivi bordi urbani.
Si tratta insomma, per dare una materialità di esempio per un processo molto più complesso, di ridisegnare i bordi urbani valorizzando gli affacci verso le aree libere, acquisendolo la campagna come paesaggio per gli abitanti urbani, proprio in quanto panorama identitario godibile dalle loro finestre.