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L’abbandono e i piani per il governo del territorio

Indice

 

Difficile riaccendere i motori

Quindi né il piano né il mercato rispondono a strategie di valorizzazione territoriale, anzi sono complici dei processi di “deterritorializzazione”. Non è per caso che oggi le amministrazioni locali, strutturalmente rappresentative delle ragioni del territorio, quando sono prese nelle tenaglie insostenibili del ricatto delle singole imprese (o sfruttamento o abbandono!), ricorrono a politiche del rattoppo, del meno peggio, sfiduciando i sostenitori dei piani sedicenti “comprensivi”, che però trattano solo lo “sviluppo” e non sanno operare nelle crisi.

Nella tempesta della deterritorializzazione si assegna sempre più facilmente dignità di strategia organizzativa agli aspetti gestionali e operativi, alle contrattazioni dell’ultimo momento che rinviano gli eventi, che aggiustano protempore le emergenze più violente.   E la pratica diventa grammatica: non solo di fronte alla catastrofe, ma sempre più spesso, in condizioni anche ordinarie, ci si rifugia nella governance invece (e non a complemento) del government. La capacità gestionale pare una via in alternativa alle rigidità spigolose della pianificazione, che oltre a tutto non premiano sforzi costanti e faticosi contro lo sfruttamento, impedendo l’abbandono.

I sindaci preoccupati del loro territorio cominciano a chiedere al tecnico del Piano: ma perchè devo contenere l’edificazione del centro se tutto il resto si svuota, perchè regole per impedire le attività in una piccola parte del Comune, se da tutte le altre parti le attività cessano per proprio conto?

Non tutti i programmi di sviluppo sono così indirizzati allo sradicamento e alla insostenibilità, ma è un fatto che anche per le ipotesi di  sviluppo sostenibile e legato al territorio, si tenta di utilizzare le strumentazioni concettuali ed operative che sino ad ora si sono utilizzate per guidare processi in moto, veloci ed irruenti. E si arenano di fronte a processi strutturali di abbandono anche i più recenti progetti di sviluppo locale, che dovrebbero essere adatti alle regioni deboli, in cui si prova una programmazione inclusiva (performante, come dicono i manager), puntata sulla flessibilità alle iniziative locali, alternativa alla pianificazione rigida.  Si tratta di un’impotenza rispetto alla fase: non si hanno gli strumenti per mettere in moto un sistema spento, mentre la promozione dello sviluppo è efficace quando agisce su motori in qualche modo funzionanti: sistemi impoveriti sì, ma con le connessioni del sistema territoriale ancora attive e da rivalorizzare.

Allora per governare un territorio con avanzati processi di abbandono occorre un quadro di riferimenti nuovo: non si possono riusare quelli tentati per le situazioni di sviluppo prepotente, come si faceva per i figli piccoli con gli abiti smessi dai fratelli maggiori.

Dunque se si ipotizza una strategia di governo del territorio inversa e complementare a quella che cerca di cavalcare le fasi di sviluppo, occorre ragionare sul processo di abbandono in sé, sulle sue caratteristiche operative, sulle sue dinamiche e le sue inerzie.