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Lo sguardo terzo del progetto di paesaggio

Indice

 

I connotati del paesaggio come cultura naturale

Come ogni cultura "naturale" anche quella del paesaggio:

- non ha inizio né fine, ma solo dinamiche trasformative irreversibili e irrefrenabili (in cui ogni "progetto" non può che essere verificato nell'infinito processo in cui si inserisce, perdendo nel tempo ogni individualità e venendo sciolto in esiti poco prevedibili);

- è prodotta prevalentemente in modo inconsapevole (come nella lingua il testo letterario è un caso particolare di consapevolezza, così nel paesaggio i luoghi progettati delle cui intenzioni rimane traccia nel tempo costituiscono casi particolari: una parte infinitesimale)

- è legata a regole funzionali interne (le componenti vengono fruite in quanto fanno parte riconosciuta di una struttura organizzata, e non sono prese in considerazione se non riconosciute: come nella lingua non si rilevano i suoni o le locuzioni non regolate –che costituiscono solo rumore-, nel paesaggio per lo più si trascurano le miriadi di percezioni che rilevano solo oggetti banali, naturali o antropici che siano, e ciò toglie peso storico anche agli eventuali "progetti di fruizione", destinati a sciogliersi omeopaticamente nel sistema culturale complessivo),

- è legata a regole di utilità esterna (si fa riferimento al paesaggio solo in quanto "serve" a soddisfare qualche nostra esigenza, tenendo conto che, come per la lingua, la cucina o l'abitazione, si superano ben presto i bisogni direttamente legati alla sopravvivenza e quindi l'"utilità" è relativa per lo più a bisogni complessi: esigenze di qualità, di identità, di piacere molto elaborate, che costituiscono progressivamente i riferimenti culturali di ogni progetto, mentre si dà "per scontato" il ruolo funzionale basico).

Oltre a queste corrispondenze, che sembrano collocare di diritto il paesaggio tra gli argomenti dell'antropologia culturale di maggior interesse per gli europei del ventunesimo secolo, vanno certamente indagate le specificità della cultura del paesaggio. Qui ci muoviamo in un campo di intuizioni, di sprazzi illuminanti un vasto mondo poco esplorato, di cui per ora si riescono solo a proporre tracce e vettori di ricerca.

Ad esempio è certa una particolarità delle componenti psicologiche che oggi, nel nostro contesto culturale, sociale e storico muovono l'attenzione (o addirittura la passione) per il paesaggio, distinguendola dalle altre culture legate agli aspetti patrimoniali o artistici del nostro mondo.

Siamo in grado solo di abbozzare un primo elenco di differenze importanti, aperto e provocatorio: il paesaggio interessa perché

- è anonimo e democratico (il mio modo di fruirlo vale il tuo),

- è gratis (sfugge alle mercificazioni più facilmente di ogni altra pratica culturale e sociale),

- è arazionale (posso parlare di ciò che mi suscita senza necessità di darne una spiegazione logica),

- è hobbistico e poco scientifizzabile (non permette agonismi e anche le applicazioni “professionali”, che si fanno punto d'onore d'essere "oggettive", sono troppo parziali e troppo poco sistematiche per essere riconosciute come scientifiche),

- è dissacrante i progetti autoritari e le regole del gusto e dell’ordine (suggerisce sempre altro da quello che il progettista o il pianificatore aveva premeditato),

- è il luogo della serendipity (ormai viene presentato da artisti e promotor per lo più sulla base di segni che promuovono la serendipity [1], e d'altra parte la ricerca della serendipity muove anche il modello di comportamenti e, anche se le poco indagate pratiche del paesaggio sono ancora poco confrontabili con le molto studiate pratiche urbane  [2], in generale qual è il comune denominatore delle pratiche del paesaggio se non l’abbandonarsi al prevalere dei sensi sul funzionalismo e l'aprirsi quindi ad una pluralità di riferimenti imprevedibile e feconda?),

- è luogo del segreto (ognuno ricerca paesaggi "suoi", ricercando esperienze personali che spesso non desidera condividere con gli altri, dall'attenzione all'incanto delle condizioni di luce e d'atmosfera alla ricerca di itinerari speciali, e questo vale a rafforzare sia l'identità dei luoghi che quella delle persone, anche se non si tratta di un processo socializzato e collettivo),

- è veicolo di segni direttamente reagenti con la memoria biografica e con pulsioni primarie soggettive e collettive, quali il senso di abitare e l’identità (il sentirsi, il perdersi e il trovarsi, su cui agiscono sicuramente corrispondenze "ctonie" tra le profonde costituzioni degli oggetti naturali e quelle dell'animo/a di junghiana memoria).

Simili proprietà si trovano solo nella sensualità amorosa.

Forse non è un caso che gran parte dei soggetti dei pittori figurativi, della fotografia “artistica”, della musica descrittiva sono corpi o paesaggi amati: sono i soggetti che stimolano la legittima permanenza del sentimento, del senso estetico e della produzione artistica nel nostro vivere quotidiano.

Non solo, ma bisognerebbe verificare se della sensualità amorosa il paesaggio ha la potenza sociale, se ha, inutilizzate,  leve potenti che affondano i loro fulcri nella commistione tra personale e collettivo: se può innescare rivoluzioni "dolci" come quelle che, ad esempio, con l'accoppiarsi tra sconosciuti alle famiglie, il processo di urbanizzazione ha portato sin dentro ai codici genetici. In quelle generazioni è stata la serendipity portata al centro della costituzione stessa del patrimonio umano urbano, ed è stata basata sul segreto, sull'anonimato e la democrazia, sulla gratuità, sull'arazionalità, sulla dissacrazione degli ordini precostituiti: le caratteristiche della pratica del paesaggio.

Questi aspetti peculiari non paiono trascurabili proprio perché ci suggeriscono che la cultura del paesaggio che vogliamo studiare è attiva in pratiche prevalentemente sentimentali, disimpegnate dal sociale, dissacranti ordini e stati, anonime e democratiche, e che forse il paesaggio riemerge oggi per importanza nell’assetto sociale e del territorio proprio per la sua induzione a questi valori, necessari per il benessere culturale di tutti ma in crisi nei settori, tradizionalmente più blasonati per questi scopi, come le arti.

 


[1] Alla base delle pubblicità di ogni luogo, da quelli domestici, da riscoprire, a quelli esotici, da verificare rispetto alle aspettative, c'è sempre l'assicurazione della sorpresa, della meraviglia, e mentre ormai nei viaggi organizzati i rapporti umani (alla base della serendipity del viaggio otto-novecentesco) vengono "congelati" e inseriti nel catalogo delle prestazioni garantite (dalla serata con spettacolo ai G.O. dei villaggi-vacanze), le emozioni del paesaggio continuano ad essere vendute come eventualità da ricercarsi, da andarsi a trovare, dentro e fuori le città e gli itinerari obbligati.

[2] Bagnasco ha argutamente introdotto il tema della serendipity nella considerazione delle pratiche urbane (cfr. A. Bagnasco (1993),: Fatti sociali formati nello spazio. Cinque lezioni di sociologia urbana e regionale, Angeli, Milano), ma proprio gli spunti al centro della sua argomentazione (la complessità delle morfologie, la libertà dei comportamenti, la sovrapposizione delle funzioni) sono ormai più vicini ad una lettura del paesaggio complessivo, urbano e non urbano, che non ad una specificità della città.


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