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Martedì, 07 Dicembre 2010 00:00

Il Valore del paesaggio

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Indice

Progettare la valorizzazione del paesaggio?

 

 

Credo sia evidente che queste indicazioni, abbozzando un quadro di riferimenti ai termini dell'economia (risorsa, valore d'uso, valore di scambio) per un oggetto così disadatto ad un trattamento economico come il paesaggio, non hanno come fine un innovativo paradigma esplicativo ma piuttosto tentano un orientamento al progetto, alle pratiche di intervento sul territorio.   Infatti chi lavora sul, con, per il paesaggio incontra sempre più pressanti inviti a farsi carico dei requisiti economici: dalla fattibilità dei progetti previsti, all'incentivo (traducibile in denaro) alla mobilitazione degli abitanti, dalla dovuta sinergia tra aspetti paesistici del piano e programma di sviluppo socioeconomico, all'ipotesi di coordinamento con la programmazione di settore (agricola, turistica, infrastrutturale), anch'essa misurata sulle capacità di investimento, sulla fattibilità della spesa, sulla redditività  delle strategie.[1]
Va comunque mantenuta, e soprattutto nel progetto, la gerarchia di valori che si sono andati delineando per il paesaggio, a partire da quelli strutturali (i valori culturali) a quelli politici primari (la risorsa paesaggio per il progetto di futuro fondato sulla continuità con il passato), tenendo quelli economici al livello dei pur importanti valori strumentali, necessari alla riuscita di un progetto ma non motivanti le energie e la volontà di realizzarlo. In questi termini ogni modificazione del territorio dovrebbe essere orientata ad una valorizzazione del paesaggio, tenendo i criteri di sostenibilità e di compatibilità economica come strumenti di controllo della fattibilità e non di determinazione degli obbiettivi.
Al di là delle raccomandazioni ottative sulla filosofia del Progetto in generale, dobbiamo porci il problema se esista e quali caratteristiche operative deve avere un progetto  direttamente orientato alla valorizzazione di uno specifico sistema di paesaggi.
Sino ad ora il tema è stato affrontato qua e là, sempre sperimentalmente, solo talvolta con il duplice obbiettivo di aumentare la leggibilità del patrimonio e di migliorare la qualità della vita degli abitanti ( o dei produttori) del paesaggio. In ogni caso comunque si è lavorato a partire dall'offerta di paesaggio e non si è mai affrontato il problema centrale: come si può attivare un progetto per "far rendere" un paesaggio di fronte ad un target che abbiamo visto essere complesso, imprendibile e contemporaneamente definito e insostituibile (visto che ogni altro tipo di domanda produce  quasi certamente una  degenerazione della risorsa).
Tra gli strumenti del Progetto di paesaggio distinguiamo, solo per comodità, tra Piano (nel senso di intervento generale, organizzativo, incidente sull'assetto fisico solo indirettamente e normativamente) e Progetto (nel senso di intervento circoscritto, trasformativo o comunque incidente sull'assetto fisico).
Sicuramente non siamo aiutati ma anzi troviamo una resistenza nella nostra cultura stessa del Piano, che non concepisce neppure lontanamente i valori contenuti in programmi non ordinati: il Piano è ordinativo per definizione. Semmai oggi le differenze tra diversi atteggiamenti di Piano stanno nel senso del futuro: distinguendoli alla grossa tra patrimoniale, cioè che dà continuità a ciò che ci è stato consegnato o imprenditoriale, cioè che mette a frutto le risorse.
La logica del Piano imprenditoriale tiene al paesaggio solo come ospite degli impatti, e ciò è esattamente agli antipodi del nostro interesse per il tema. D'altra parte è evidente che oggi il senso patrimoniale del paesaggio è destinato ad essere perdente a meno che non sia direttamente coinvolto un soggetto capace di dare valore al patrimonio: ogni Piano che assegna la dominanza delle strategie ad una tutela dei valori patrimoniali senza individuare chi remunera tale atteggiamento è costretto all'autoritarismo e, in tempi di democrazia, alla mancanza di appoggio (sia da parte dei fruitori che degli abitanti) e alla progressiva erosione, del piano e del patrimonio stesso.
Il Progetto ha dalla sua alcuni vantaggi (entra immediatamente a far parte del paesaggio fisico, si segnala e racconta le proprie intenzioni, se ne può discutere e si può confrontare con altro), ma ha difetti impliciti difficili da rimediare: è narciso e simula sempre non un inserimento nel paesaggio ma un processo di polarizzazione  egocentrica, che fortunatamente quasi mai avviene.  Inoltre quasi mai si tiene conto che nel nostro tempo la trasformazione fisica ha un ruolo minore in termini di innovazione, rispetto alla potenza che sta nei cambiamenti del modo di guardare: e qui il Progetto è scoperto, privo di strumenti e di capacità operative: subisce le mode e rincorre i comportamenti sociali piuttosto che anticiparli [2]
In realtà per lo sviluppo locale sembrano inefficienti i Piani che conosciamo e inefficaci i Progetti [3], tenendo conto comunque che nessuno ha posto il Paesaggio al centro del tema strategico, considerato un argomento complementare, strumentale alla valorizzazione del patrimonio per il Piano, riferimento per gli impatti e talvolta suggeritore di situazioni contestuali per i Progetti.
Oltre al Piano e al Progetto stanno delineandosi altri strumenti di azione complessa, che in Italia si sperimentano sotto forma di Programmi di riqualificazione o di Progetti pilota. La loro efficacia è ancora tutta da verificare, ma teoricamente sembrano ben attagliarsi alle esigenze del Progetto di paesaggio, se non altro perché si pone al centro la necessità di un coinvolgimento diretto di numerosi attori imprenditoriali, diversificati per motivazioni e potenza culturale, economica e politica, che la fattibilità non solo economica ma anche sociale e culturale è posta tra i valori primari, e soprattutto che la trasformazione che si avvia è considerata a priori (e purtroppo solo a parole) come una fase di un processo culturale, che deve incidere sui comportamenti dei fruitori prima e più strategicamente che non sull'assetto dei luoghi.
Il fatto che sino ad ora si siano sperimentati programmi prevalentemente in aree urbane e con fattibilità dominate dai fattori economici non deve scoraggiare, perché rimane intatto lo spazio per i "Fondamentali del progetto di paesaggio". Semmai così si incoraggia a trattare di paesaggio in ambito urbano, in condizioni di economicità per gli operatori che vi investono, trasferendo i valori del paesaggio nel contesto costruito: un ambito poco praticato da chi studia il paesaggio come un sottoprodotto dell'assetto ambientale ma che nell'800, in forma di investimento per l'immagine della città, è diventato nel giro di trent'anni il più importante fenomeno culturale e il più colossale affare del mondo moderno.
Ma si avvertono anche i primi segnali di una controtendenza: Programmi di riqualificazione che investono il territorio, che fanno della valorizzazione del paesaggio lo strumento principe per la qualificazione del territorio. Avviene ad esempio per molti dei PRUSST in approvazione in questi giorni, nei quali si avverte una curiosa differenza tra quelli delle città settentrionali, incentrati su ambiti urbani e sulla qualificazione di spazi degradati della città e quelli meridionali, coordinati quasi sempre da enti sovralocali (Province, Parchi, Comunità montane, addirittura Regioni), spesso articolati in progetti diffusi di sviluppo locale basati sul recupero di sistemi di luoghi, sul lancio di turismo soft, oltre che sui completamenti di infrastrutture e sui ripristini ambientali.[4]
Traducendo in aforisma le considerazioni sopra esposte: poco Piano e soprattutto non autoritario, Progetto solo per segnalare, Programmi per coinvolgere, ma sempre indirizzandosi al nuovo tipo di target, perché l'efficacia di un intervento può essere rilevante ma si dissipa, e diventa significativa solo se siamo abbastanza sicuri di avere centrato il senso diffuso e collettivo del paesaggio.
L'introduzione del paesaggio in funzione non solo di depositario del patrimonio ma anche di medium comunicativo aumenta il numero dei soggetti in gioco; si aggiungono non solo i proprietari culturali del paesaggio ma anche il target esterno che si ritiene possa collaborare alla riuscita del progetto. Dunque, per potenziare quegli aspetti che sono peculiari della pratica del paesaggio, soddisfacendo un bisogno di sensi positivi anche se oggi poco potenti, si deve tener conto di nuovi attori, e aumentando gli attori aumenta significativamente il grado di indeterminazione degli obbiettivi specifici:  è una bella virata, per chi si è formato alla certezza degli obbiettivi e crede che le difficoltà siano poste solo dalle inefficienze degli strumenti.
Infatti in un progetto che deve poggiarsi alle risorse locali, queste non possono che essere riscoperte sulla base della storia e dei suoi possessori che sono gli abitanti, ma attenzione: il caso in cui tutto ciò sia efficientemente operativo è un caso limite, negli altri casi è tutto sotto forma di traccia, di frammento, di potenzialità. Al ricercatore di paesaggio il compito di connettere quelle tracce in un quadro utile al target attivo e innovativo che sta disperso nel mondo.
Si tratta di progettare per dare spazio a quelle specificità del senso del paesaggio che lo rendono componente forte dell'universo culturale collettivo, a partire da quelle sopra delineate.Probabilmente bisogna lavorare con la gente più che non con le cose, o almeno con le cose a partire dalla gente, ma non è detto che queste persone siano gli abitanti (o almeno non nel senso di antagonisti ai turisti): serve allearsi con gli abitanti conoscitori del mondo, serve al progetto lo sguardo terzo.[5]

 


[1] Vedi ad esempio le recenti leggi sulle aree protette (426/98), sull'istituzione dei PRIU e dei  PRUSST (DM LLPP 8/10/98 o le disposizioni regionali per la redazione dei piani territoriali provinciali e dei progetti di settore in materia di agricoltura, acque, tutela ambientale, oltre che le raccomandazioni sull'integrazione delle politiche di intervento territoriali per il paesaggio , contenuta nella Risoluzione 53/97 del Consiglio d'Europa su paesaggi culturali.

[2] Fortunatamente stiamo superando il periodo "deterministico" in cui si leggevano nelle relazioni di progetto descrizioni più o meno dettagliate di ciò che gli utenti avrebbero fatto e pensato negli spazi, progettati per farli comportare e pensare proprio così, ma le nostre città sono piene di piazze vuote, di deserti emicicli gradinati per ospitare rappresentazioni teatrali, di percorsi attrezzati "alternativi" non frequentati.

[3] cfr. Magnaghi A., Il progetto locale, cit, in cui appare evidente la necessità di strumentazioni innovative

[4] cfr. il num.170 di Urbanistica informazioni (marzo aprile 2000), contenente numerose segnalazioni su programmi complessi e progetti d'area vasta

[5] Nelle più recenti esperienze che direttamente ho seguito (Piani dei Parchi dei Monti Sibillini, dei Colli Euganei, o programmi di valutazione della qualità urbana a Modena), è stato fondamentale il riconoscimento "laico" delle opzioni dei fruitori, siano abitanti che esterni, per definire gli ambiti di intervento (le cosidette unità di paesaggio), le connessioni tra funzionalità ed estetica (nella pratica quotidiana e nella scala di valori attivi, sui quali investire), la prevalenza degli effetti di insieme (di paesaggio) su quelli "di progetto" (di trasformazione con opere ).


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