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D, per la integrazione dei nuovi sistemi di paesaggi tangenziali
Corona Verde è termine coniato sulla scorta di uno schema archetipico, che vede la città al centro e una green belt al contorno. La strategia di valorizzazione ambientale che soggiace a tale schema non può trascurare la totale estraneità dei sistemi di connessione tangenziale rispetto al paesaggio abituale nel comportamento e nella immagine consolidata degli abitanti metropolitani. Come sopra sottolineato l'intero impianto storico intorno a Torino è radiocentrico e da esso derivano ulteriori centralità paesistiche locali: gli spazi trasversali, le connessioni tangenziali complessive non esistono né nel modello del disegno di impianto né nella pratica delle frequentazioni, di fatto inesistenti sino alla recentissima realizzazione della tangenziale autostradale.
Ne è prova la estrema difficoltà con cui si tenta, oggi, di comporre un itinerario che congiunga le Residenze sabaude, quella Corona di delizie così fortemente incardinata al sistema radiocentrico della città e completamente prive di relazioni reciproche. Dunque storicamente non esiste una percezione in rete di paesaggi tangenziali; sono presenti semmai singole relazioni tra località di cornice, in tratti favorite dalla morfologia che traccia bordi trasversali e non radiocentrici: la collina di Torino, la collina di Rivoli, le vaude.
D'altra parte il sistema identitario radiocentrico esclude per definizione il sistema tangenziale concentrico: gli elementi che possono costituire la connessione degli spazi liberi lungo i bordi tangenziali sono proprio i varchi e le separazioni che permettono alle sequenze di complessi costruiti del paesaggio radiocentrico di emergere e di acquistare riconoscibilità.
Dunque gli spazi aperti tangenziali non hanno riconoscimento come parte di sistemi tangenziali, essendo già coinvolti come spazi complementari e secondari rispetto alle sequenze radiocentriche: non esiste memoria consolidata di un paesaggio tangenziale del torinese.
Quindi al contrario della strategia per le sequenze radiocentriche, tutta di salvaguardia e ripristino, una strategia per i paesaggi tangenziali è indirizzata alla invenzione di nuove sequenze, alla "creazione" di nuovi sensi di paesaggio itinerante.
Si vuole quindi sviluppare una potenzialità di fruizione del paesaggio nuova, a partire dallo stesso territorio, un po' come accade in alta montagna quando si affermano i tracciati delle Gran vie in quota, che inanellano con percorsi tangenziali i rifugi, costruiti invece originariamente come tappe di percorsi radiocentrici, dal fondovalle alle vette.
Si pone immediatamente un problema pratico, di fruibilità: manca il senso del paesaggio intanto perchè mancano i percorsi per fruirne. A questo riguardo hanno cominciato a colmare la carenza iniziative locali come quella per realizzare Tangenziale verde o altri tracciati di cintura, anche se gli itinerari che risultano sono frutto dell'utilizzo sistematico dei varchi mantenuti liberi tra gli insediamenti, indipendentemente dalle emergenze e dai valori paesistici che sono presenti in quelle fasce.
In una prospettiva strategica più compiuta si possono ottimizzare le potenzialità di fruizione delle risorse paesistiche disponibili, sia per quanto riguarda le emergenze di interesse storico del costruito che per le parti di maggiore rilevanza naturalistica.
In questo senso si possono immediatamente delineare le problematiche per un proficuo coinvolgimento di due ordini di risorse fondamentali: i fiumi e le grandi tenute agrarie.
Il disegno radiocentrico dell'insediamento nel torinese si è da sempre tenuto distante dai fiumi, attestandosi solo in qualche caso al loro bordo. Come emerge dall'indagine i fiumi sono a loro volta oggetto di un processo di esclusione dalle frequentazioni di medio-lungo raggio: anche a Torino tradizionalmente si frequenta il Po come se fosse un lago lungo cinque chilometri, e solo recentemente si sono aperte ciclabili di bordo che si spingono a nord per qualche miglio in più, mentre verso sud nodi infrastrutturali e attrezzature a lenta evoluzione impediscono una continuità tra il Po torinese e il Po “delle cave”, a monte di Moncalieri.
Nei fiumi minori spesso mancano addirittura le condizioni minime di accessibilità e i casi di tracciato ciclabile lungo fiume si contano a centinaia di metri e non a chilometri.
Una sistematica percorribilità del bordo fiume lungo tutto il pettine d'acque che circonda Torino consentirebbe di costituire una rete continua di spazi "altri" da quelli insediati, un sistema di paesaggi lineari a se stante, che certamente metterebbe in contatto numerose risorse in altro modo frammentarie e di difficile percepibilità (molti palazzi nobiliari o case forti medioevali sono molto più accessibili e comprensibili dal fiume che dalle fasce interne, alterate da insediamenti e infrastrutture. Sarebbe così possibile vivacizzare e dare un senso compiuto a numerose situazioni locali in cui si è maldestramente affrontato il rapporto tra paese e fiume, ricche di insuperati problemi di accessibilità e di incongruenze tra piani regolatori rivali (si pensi alle difficoltà di disegno dei percorsi stradali di attraversamento e dei nuovi ponti).
In una visione più ampia la percorribilità lungo i fiumi induce ad una coscienza territoriale di grande scala che certamente oggi manca nell'area metropolitana: quella di essere un territorio pedemontano. Risalire o scendere i fiumi significa acquistare coscienza della prossimità del versante morenico, delle valli alpine, della relazione di paesaggio macro tra pianura e montagna: una consapevolezza che in altro modo si acquisisce solo salendo sulle rampe del Musinè.
Gli ambiti punteggiati dalle grandi cascine mantengono il migliore sistema di segni rappresentativo della "permanenza delle campagne". Questo aspetto, sostenuto dalla relativa integrità di molti territori ancora pienamente coltivati e organizzati intorno ai complessi edificati, costituisce la base del paesaggio di bordo esterno di Corona verde: il supporto rurale su cui poggia la complessità metropolitana. Questo bordo relativamente poco in trasformazione si articola in alcuni "cunei rurali", che svolgono il ruolo di mantenere una certa discontinuità paesistica (e ambientale) antagonista al processo di densificazione e di compattazione dell'insediamento, che progressivamente l'area metropolitana produce. Dunque obbiettivo strategico è mantenere forti questi cunei di campagna presidiata da grandi cascine, non isolati ma connessi con i territori rurali aperti all'intorno. Questa linea strategica, apparentemente di pura salvaguardia di una risorsa territoriale diffusa, anzi "spalmata" su interi ambiti, deve essere attrezzata rispetto alla fragilità intrinseca al sistema produttivo rurale in questa fase storica.
Nella pianura padana si assiste, in prossimità dei centri maggiori, alla sempre più forte separazione dei complessi costruiti dalle pertinenze rurali che ne costituiscono il complemento strutturale: la cascina viene utilizzata intensivamente come residenza, i campi vengono condotti estensivamente da operatori deterritorializzati. Per resistere a questo trend, ancora poco aggressivo nel torinese, ma prossimo ad acquistare vigore, non sono sufficienti regole di contenimento delle variazioni d'uso o di attenzioni al recupero edilizio: si tratta di una trasformazione radicale di utenti e di comportamenti in territori a bassa densità di segni e con una notevole integrità residua.
E’ certamente necessaria una nuova alleanza tra chi si occupa del governo del territorio e gli operatori agricoli, la cui monofunzionalità è ormai al tramonto nelle aree periurbane, ma che possono costituire il soggetto di riferimento per la qualificazione degli spazi aperti, destinando gli interventi manutentivi e colturali non solo alla massimizzazione della produzione ma anche alle fruibilità visiva e alla percorribilità dei bordi, delineando un modello di gestione sostenibile di quelle green belt che non potranno essere tutte fatte di spazi pubblici ma prevalentemente di parchi agricoli, di campagna ridisegnata che dovrebbe essere progettata insieme agli insediamenti e alle infrastrutture, e godere dello stesso tipo di rendite e di benefici economici.
Ma non basta una prospettiva generale di coinvolgimento delle forze produttive rurali: strategie di salvaguardia dei cunei rurali devono probabilmente contare anche su alleanze locali, su Comuni che accettino di perequare investimenti sul territorio aperto rurale in cambio di ridisegni dei perimetri urbani, di sperimentare forme di utilizzo delle cascine che non scadano in banali residenze condominali per cittadini pendolari, su promozioni di gruppi di utenza innovativa nei modi e nelle forme, incaricati anche di proporre ed elaborare nuove forme di paesaggio condiviso dentro e intorno ai complessi costruiti (dai parchi sul modello setteottocentesco alle abitazioni speciali, dalle attività agrituristiche alle nuove attività produttive di beni immateriali).