Convegno |
Torino, 10-12-2010 |
Il paesaggio per la valorizzazione del sistema rurale
Dino Scanavino
agricoltore, piemontese, vicepresidente della CIA Confederazione Italiana Agricoltori
Verso la fine degli anni '50 e '60 si registrò l'inizio di un cambiamento radicale del paesaggio rurale, avviato con lo spopolamento delle campagne e degli edifici rurali ivi presenti. I contadini, nella speranza di conquistare una vita più agiata e con maggiori opportunità lavorative, si trasferirono nelle città; a questo esodo si accompagnò un rifiuto di tutto ciò che rappresentava la ruralità, la vicinanza al mondo contadino. I contadini inurbati spesso tornavano a ristrutturare le loro vecchie case di campagna, sul modello della loro casa di città.
Questo grande cambiamento sociale e culturale ha portato con sé alcune criticità, cui oggi si intende dar rimedio; tuttavia, affinché le politiche avviate siano realmente efficaci è importante innanzitutto capire le ragioni più profonde dell'avvenuto esodo e comprendere pienamente il vivere quotidiano nelle aree rurali.
Gli stessi agricoltori si devono porre in tal senso alcune domande, legate d'un lato al ruolo dell'agricoltura nella produzione di beni, di servizi, di ricchezze, di commodities, di alimenti e dall'altro al ruolo di ammortizzatore tra la necessità produttiva e la tutela e la salvaguardia della terra, latamente intesa, anche come elemento di grande valore paesaggistico.
L'agricoltura è un'industria complessa; gli agricoltori infatti hanno resposabilità trasversali, economiche, produttive, sociali ed etiche, devono saper coniugare molteplici aspetti, dalla qualità del vivere, alla qualità organolettica dei prodotti agricoli.
All'interno di questa complessificazione dell'attività agricola si inserisce una forte spinta alla modernizzazione, non solo delle tecniche ma anche delle funzioni svolte e dei mercati conquistati. In particolare il mercato no-food, destinato alla produzione di energia attraverso l'installazione nei campi di pannelli fotovoltaici, o la coltivazione di vegetali con il solo obiettivo di produrre biomasse, sta stravolgendo in molte parti del pianeta gli equilibri della produzione alimentare. Oggi, circa un miliardo di persone nel mondo soffrono la fame ed il 70% di loro vive e lavora in aziende agricole, il cui unico obiettivo tuttavia non è più la produzione di derrate alimentari, bensì la produzione di energia, di commodities o di servizi.
In Africa si acquistano terreni (land-grabbing) per produrre beni, per coltivare fiori o da destinare alle produzioni no-food; 42 milioni di ettari sono stati acquistati dalle grandi multinazionali, attraverso fondi sovrani dei paesi emergenti (con una spesa di circa 600-700 dollari/ettaro), che coltivano quella terra, pagando i contadini 1 dollaro al giorno, non producendo ricchezza per quelle popolazioni, impoverendo i suoli, emungendo le falde acquifere, con la prospettiva di abbandonare quei territori e quelle popolazioni.
Di fronte a queste dinamiche di sfruttamento, che alterano qualsiasi mercato, la fiaba del coltivatore che da solo diventa imprenditore, che produce cibo, energia, ricchezza è un mito. Il coltivatore deve sapersi rinnovare continuamente, deve saper innovare la propria attività, ma tutto questo all'interno di un percorso contestualizzato e condiviso da tutti i soggetti presenti in un territorio.
Il progetto Corona Verde in questo senso può svolgere un ruolo che va al di là dei suoi contenuti e dei suoi obiettiv locali: può fungere da “testa d'ariete” del cambiamento culturale insito nell'incontro tra la città e la campagna. L'agricoltura da questo punto di vista ha grandi responsabilità, sia in relazione alla riduzione dell'inquinamento e dell’impronta ecologica della città, sia per la gestione del paesaggio, ma per renderle attive si deve lasciare all'agricoltore la possibilità di intervenire fattivamente nel territorio e di trarne un profitto, anche nelle aree di parco periurbane.
Ciò può avvenire perchè si torna a dare valore a risorse che possono essere gestite dall’agricoltore, entro un progetto comune: oggi nelle campagne sta riemergendo il gusto di ripristinare quello che c'era, puntando sulla qualità del vivere e del vedere, attraverso un'agricoltura estensiva, modificando gradatamente il paesaggio rurale monoculturale per rompere la sua monotonia, venutasi a creare nell'ultimo secolo, recuperando saperi che non sono antichi, ma che devono essere nuovamente imparati, dando vita ad un'economia del vantaggio che viene dalle relazioni, progressivamente e gradatamente, come la natura insegna.
E’ su questa valorizzazione culturale e pratica diffusa, anche tra i “cittadini”, che dobbiamo contare, restituendo all’agricoltore il ruolo di mediatore tra due modelli di vita, di comportamento, di paesaggio.