Indice
- Copertina
- Costruire il valore: il paesaggio come risorsa
- Quale valore d'uso e quale valore di scambio per il paesaggio
- Progettare la valorizzazione del paesaggio?
- Quali valori per il progetto di paesaggio?
- Sensibilità (o coinvolgimento fisico)
- Inerzia (o diacronia)
- Sguardo da fuori (o riflessione identitaria)
- Stupore (o serendipity)
- Dissipazione (o valore della perdita del valore)
Inerzia (o diacronia)
E' molto differente la durata dell'assetto del paesaggio in forme stabili (cioè non apprezzabilmente modificantisi) rispetto a quella dei comportamenti e delle memorie dei suoi fruitori, e ciò produce una presunzione di inerzia, di resistenza al cambiamento. Il paesaggio appare come uno strumento di testimonianza dello scorrere del tempo perché conserva le tracce materiali dei segni utilizzati, anche quando questi non lo sono più: in ciò il suo ruolo di vestale della permanenza, di Penelope che garantisce la continuità degli affetti a chi viene da un altro tempo (o più semplicemente ha modificato i termini di riferimento).
In realtà la durata oggettiva dei singoli componenti il paesaggio fisico è sottolineata quasi sempre dalla relativa stabilità delle loro sostituzioni: in agricoltura come in città alle piante si sostituiscono piante e alle case si sostituiscono case. Ove alle piante si sostituiscono case ciò viene registrato come modificazione del paesaggio solo quando viene raggiunta una certa soglia: la nostra memoria registra i cambiamenti per quanti e non in modo continuo.
E' proprio questo senso soggettivo della durata e del cambiamento che permette una sorta di volano (d'inerzia appunto) tra continuità del paesaggio materiale e continuità del paesaggio della memoria.
L'inerzia che ci interessa valorizzare fonda la sua forza sul fatto che i due depositi di senso (quello materiale dei luoghi e quello immateriale della memoria) sono integrati e ciascuno segna per l'altro lo scorrere del tempo e la necessità di resistere al suo degrado. Se la memoria continua si richiederà di rivitalizzare i luoghi che sono stati teatro di azioni desiderate e hanno perso il loro potere significante; se il patrimonio di testimonianze è ancora leggibile si cercherà di non perdere il senso dei linguaggi che lo sanno interpretare e in cui vorremmo continuare a riconoscerci come stirpe.
A differenza di ogni altra filosofia di intervento sul territorio e di progetto di architettura, che trascurano il fattore tempo o lo tengono come nemico, la valorizzazione del paesaggio assume il senso della diacronia come elemento caratterizzante, appoggiando ad esso sentimenti profondi come la nostalgia, l'identità, il senso di appartenenza al divenire delle generazioni.
Ne discende una tensione progettuale di grande fecondità perché, se sfugge alla tenaglia tra mito del futuro e mito del passato schematizzata poco sopra, permette di affrontare serenamente il grande nodo: quello della continuità del mondo oltre la morte dei singoli partecipanti.
Nella pratica quotidiana il valore della doppia inerzia del paesaggio si misura nella resistenza che si manifesta al cambiamento gratuito, immotivato, non condiviso. Purtroppo quasi sempre il paesaggio buono è quello perduto, cioè ci si accorge troppo tardi che era opportuno assecondare la resistenza dei luoghi e delle memorie, perché i processi di alterazione, come già accennato, sono percepiti per quanti e non nel loro quotidiano lavorio. Ma più impercettibile ancora è il cambiamento dello sguardo, la deriva della memoria: solo chi se ne fa un cruccio riesce a porre attenzione alle sollecitazioni esterne che modificano i propri giudizi, i propri sensi del paesaggio intorno. L'inerzia culturale in un sistema relativamente omeostatico come quello rurale, che ha prodotto i nostri paesaggi, è sottoposta oggi ad un logorio quotidiano di nuove informazioni, di altre immagini che ne diminuiscono radicalmente la capacità di attenzione e insomma la resistenza.
Per valorizzare operativamente l'inerzia del paesaggio potremmo, e già cerchiamo di farlo nei piani, potenziare il riconoscimento di sistemi di segni, sia nel loro aspetto reticolare sia in quanto configuranti unità di paesaggio, luoghi forti delle relazioni paesistiche in cui ritrovare organicamente le ragioni di una continuità (che in molti casi sono quelle della proiezione identitaria di una comunità).
Nel riconoscere un legame tra le parti il paesaggio assume una configurazione, un'identità definita che aggiunge capacità di resistenza al cambiamento o meglio aumenta le possibilità di accogliere il cambiamento senza perdere l'identità. E' il processo classico che avviene per le città, il cui paesaggio identitario, pur trasformandosi radicalmente nell'assetto fisico, è capace di resistere nella sua considerazione da parte dei cittadini molto più dei territori rurali, la cui perdita è irreversibilmente accoppiata, nei luoghi e nella memoria.