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Martedì, 07 Dicembre 2010 00:00

Il Valore del paesaggio

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Indice

Quale valore d'uso e quale valore di scambio per il paesaggio

 

Ipotizziamo che il valore d'uso del paesaggio stia, come si è già accennato parlandone come risorsa, nella sua elaborazione culturale, nella sua capacità di suscitare senso di identità, di appartenenza ad un territorio, o viceversa di alterità rispetto ad esso e di conquista. Ipotizziamo che a questi sentimenti, "utili" per il benessere (personale e delle comunità), partecipino tutte le componenti assumibili sul piano estetico (il godimento della bellezza), sul piano scientifico (la conoscenza secondo paradigmi ordinati), sul piano politico (l'appartenenza del singolo o la proiezione "geografica" dell'identità di una comunità).
In valore d'uso il paesaggio si presenterebbe quindi come strumento di soddisfazione di esigenze culturali complesse, in generale relative al rapporto di un soggetto (singolo o collettivo) con il mondo: cioè potremmo confrontare i paesaggi  secondo un criterio utilitario, in base all'intensità dell'attaccamento, del radicamento di chi li abita o viceversa l'intensità della memoria o del desiderio di assaporamento e di ascolto di chi, gustandoli, se ne vuole appropriare. [1]
Continuando con il parallelo con le definizioni classiche, il valore assoluto che il paesaggio contiene non può che essere la consapevolezza dell'ecosistema e della sedimentazione storica del lavoro dell'uomo a quello associata. In valore assoluto il paesaggio si presenta quindi come strumento di comunicazione e di sapere, cioè possiamo confrontare i paesaggi secondo un criterio"assoluto" a seconda di quanto del loro patrimonio riescono a comunicare o offrono alla conoscenza.
Seguendo le teorie del valore, la risorsa "paesaggio" assumerebbe valore di scambio quando per essa si manifesta in qualche modo un mercato, cioè un rapporto riconoscibile e tra domanda e offerta.[2].. La dimensione di tale valore tuttavia sfugge ai parametri classici: ad esempio è difficile misurarlo sulla base del costo dei fattori necessari alla produzione. Infatti, anche se il paesaggio  come bene ha sicuramente a che fare con un lavoro accumulato (di massima evidenza nei nostri paesaggi antropizzati), per chi oggi lo apprezza si configura più come una materia prima, o al massimo come un bene patrimoniale, che non come il riconoscibile prodotto di un processo di lavorazione/valorizzazione.
Infatti, tra i fattori che rendono pregiato un paesaggio, emergono spesso quelle componenti naturali (il mare, la vetta, il fiume) che più dovrebbero essere trascurate in un normale mercato che apprezza il valore/lavoro accumulato nei prodotti.
Inoltre, come abbiamo visto, trattandosi di una risorsa immateriale e poco disponibile all'appropriazione privatistica, il paesaggio non si può monopolizzare né rendere un bene genericamente raro: non rimane che arrendersi ad una lettura marginalistica, ipotizzando che la misura del suo valore dipenda dalla disponibilità soggettiva di gruppi di utenti ad affrontare costi per goderlo (di viaggio, di permanenza, di riproduzione attraverso immagini trasportabili, di studio delle sue particolarità), preferendolo così ad altri  beni, o preferendo quel paesaggio ad altri.
Secondo questa lettura che permette di considerare solo la capacità di spesa per il paesaggio, si possono derivare solo, per differenza e per confronto con altre possibilità di spesa, degli apprezzamenti di quantità  (ovvero di gerarchia) di valori rispetto alla domanda, mentre poco o nulla si può prevedere da parte di chi è proprietario culturale del paesaggio, che costituisce in questo rapporto l'offerta.
In un mercato in cui sembra che le decisioni siano tutte in mano alla domanda, dobbiamo configurarne  le possibili tipologie, distinguendo in primo luogo tra quelle che utilizzano tangenzialmente il paesaggio come corredo rispetto ad altri consumi e quelle che sono direttamente orientate al paesaggio come centro della propria opzione.
Gran parte della mobilità per loisirs di questi anni rientra nel primo gruppo, poco o nulla essendo ricercato del paesaggio, come lo intendiamo qui , tra coloro che frequentano i villaggi turistici, i campi da sci o le movide sempre più prefabbricate dei paesi latini. Per costoro è evidente che la scelta della meta dipende solo in minima parte dalla presenza di caratteri differenziali dei luoghi e dalle proprietà culturali del paesaggio.
Al contrario il "turista di paesaggio" si può associare all'"abitante di ritorno" e allearsi con gli appassionati di settore delle risorse locali (della natura, dell'arte, dell'enogastronomia, degli usi e costumi) nel porre come meta i luoghi e come desiderio il sapere e il gusto dei luoghi. Si tratta di un target diffuso ma disperso, culturalmente vivo ma non facilmente aggregabile, non riconducibile , al contrario del target del turismo di massa, a bandiere ideologiche o a parole d'ordine, piuttosto potente e ricco ma difficile da individuare per farlo partecipare ad un'impresa trasformativa perché anonimo, spesso non localizzato, sempre volatile: tutte le caratteristiche magiche ed ostiche del capitale finanziario.   Questa imprendibilità della domanda si riflette immediatamente sulle condizioni di stabilità del valore: il valore di scambio del paesaggio sembra affidarsi ad una ipotesi progettuale, una speranza che la proposta che si va facendo sia gradita al "pubblico": un po' come dovrebbe essere per i film ai festival o le opere d'arte ai Salon di buona memoria.
Ma sappiamo che nella realtà la domanda, teoricamente individuale, frammentata e pronta ad ogni novità, ad ogni luogo, si organizza (o meglio viene organizzata) per tipologie, e queste per mode e modelli; sappiamo che in questi anni la tradizionale montagna"non tira più"mentre si sta lanciando in modo complesso e promettente il paesaggio storico della collina medioevale, riconosciamo in questi andamenti il mercato deformato del cinema (il western non va più e anche la fantascienza …) o dell'arte (dopo anni di trionfo l'astratto cede al nuovo figurativo…). Insomma riconosciamo anche per il paesaggio una sorta di eterodirezionalità delle categorie di comportamento e di gusto che incide pesantemente sul successo (e quindi sul valore di scambio secondo l'ipotesi marginalista) di un luogo, di una meta, piuttosto che di un altro.

 


[1] Cercando di stabilire una categoria di beni o di qualità indisponibili, Magnaghi distingue per il territorio tra "valore" e "risorsa", attribuendo al primo il carattere fondante lo "statuto dei luoghi", il senso di "patrimonio" che già altri (Choay ad esempio) avevano utilizzato per segnare l'eticità della conservazione, del non consumo di quelle "invarianti strutturali di lunga durata" che costituiscono lo "zoccolo duro" dell'identità. Alle "risorse" si riserva il significato di valore d'uso dei luoghi e della loro identità, uso che deve essere mantenuto tuttavia nei limiti, impedendosi il degrado e la distruzione degli aspetti patrimoniali. crt. Magnaghi A.(2000) Il progetto locale, Bollati Boringhieri, Torino, pg.81 e seg.. Va comunque sottolineato che ciò che è già discutibile per il territorio, è assolutamente insostenibile per il paesaggio il quale, essendo in primo luogo sistema di relazioni culturali e di significazioni vive con il territorio, non può di fatto essere contenuto nelle sue rivoluzioni sulla gerarchia dei valori (anche patrimoniali) e sul loro utilizzo in quanto risorse: di fatto è impossibile in un sistema sviluppato e democratico contenere il crescere di una domanda di paesaggio (ad esempio quella che ha generato il turismo invernale, o quella che sta cementificando le coste italiane): il contenimento si tenterà semmai rispetto agli esiti dell'offerta territoriale che questa domanda di paesaggio comporta: case, infrastrutture, sovraccarichi antropici (ma qui siamo nell'ambito della gestione del territorio: pratica economica e costruttiva e non culturale e valutativa).

[2] Nella sterminata letteratura sull'argomento "valore" ci riferiamo in generale a Osiatynski J. (1981), voce Valore/plusvalore e Utilità sulla Enciclopedia Einaudi.Torino


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