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Il paesaggio per l'insegnamento del progetto

Convegno
IL PAESAGGIO PER: STRATEGIE AL TEMPO DELLA CRISI PER ABITARE MEGLIO SEMPRE

Torino, 10-12-2010


Il paesaggio per l'insegnamento del progetto

Roberto Gambino
architetto, piemontese, professore di pianificazione territoriale e paesistica e referente Uniscape per il Politecnico di Torino


I relatori a questo convegno – dice il programma –sono esponenti del mondo non accademico: perché allora chiedere ad un attempato accademico di  parlare di insegnamento? Provo a darmi qualche risposta.

La prima: perché il paesaggio si sta da qualche tempo dimostrando come uno strumento utile per l’insegnamento e più precisamente, come aggiunge il programma, per l’insegnamento del progetto (di architettura? di territorio? è da chiarire). E’ una potente chiave per interpretare i contesti, piccoli o grandi, in cui si progetta; e quindi per acquisire consapevolezza dei valori e delle poste in gioco, dei rischi e delle criticità da fronteggiare, delle reti di  interazioni da considerare  e dei soggetti  pubblici e privati con cui confrontarsi. Per rispettare il gioco degli specchi proposto dal convegno, il P. serve per insegnare a progettare il P..E si potrebbe continuare: per far sì che il P. serva più efficacemente al perseguimento degli obiettivi che dai diversi operatori dei diversi settori sono stati anche oggi additati. In larga misura, questi obiettivi possono raccogliersi attorno al concetto di “qualità della vita” o, per riprendere il programma odierno, del “piacere di abitare”. Ed è proprio la nozione di P. (nell’ampia accezione che si sta imponendo a livello internazionale) che può servire a individuare i modi  con cui rispondere alle domande di qualità e di abitabilità del territorio che emergono dalla società contemporanea. Ossia, a “insegnare” a usare gli strumenti e le azioni più opportune per migliorare l’abitabilità del territorio, in tutte le sue dimensioni: dalla funzionalità alla sostenibilità alla bellezza.

Una seconda risposta: perché l’insegnamento per il  paesaggio non sembra adeguatamente assicurato dalle strutture, dagli apparati formativi e dagli assetti istituzionali   in atto, e costituisce quindi un problema da risolvere. Problema che infatti è stato posto con grande chiarezza dalla Convenzione Europea del Paesaggio, ove pone l’obbligo per le parti aderenti di promuovere la formazione e l’educazione  (art.6) in materia di P. Questo è peraltro il compito specifico e la raison d’etre di Uniscape, una delle tre organizzazioni (con Recep-Enelc e Civiscape) sorte per favorire e monitorare l’attuazione della Convenzione stessa. Precisamente la Rete Europea di Università per l’attuazione della Convenzione Europea del Paesaggio (CEP), costituita a Firenze nel 2008 ha infatti come scopo  statutario (art.5) la promozione della cooperazione universitaria in materia di P., con riferimento ai principi contenuti nella CEP e con attività (art.6) sia di ricerca scientifica che didattiche. Nell’aprire la Mostra ospitata qui al Castello nell’ottobre scorso, dedicata  alla ricerca e all’insegnamento del paesaggio in Piemonte, il Direttore di Uniscape, Bas Pedroli, aveva richiamato le principali attività  dell’organizzazione:

-sostenere le ricerche e le sperimentazioni sul P. e le sue trasformazioni ed evoluzioni,

-facilitare la cooperazione tra i soci mediante lo scambio di competenze scientifiche per il  P.,

-incoraggiare la mobilità degli specialisti particolarmente per tirocini e disseminazione delle conoscenze,

-promuovere nuovi processi formativi e coordinare un Master Europeo per il P.,

-provvedere al regolare aggiornamento del data-base concernente i corsi, i profili formativi e le attività di tirocinio in atto nei paesi europei.

La necessità di sostenere con l’insegnamento le politiche del P. trova quindi negli apparati posti in essere a livello europeo un primo rilevante tentativo di risposta. Ma è interessante notare che qualcosa si sta muovendo anche a livello mondiale, ad esempio nell’ambito dell’Unesco con un Master specificamente dedicato alla gestione e pianificazione dei Siti del Patrimonio Mondiale. Ed anche a livello locale si intravedono iniziative formative quali quelle che fanno riferimento agli Osservatori del Paesaggio o agli Ecomusei.

Una terza risposta al quesito iniziale, in qualche misura diversa dalle precedenti: perché l’insegnamento del P. è indissociabile dall’esperienza paesistica, perché l’esperienza paesistica è di per sé un learning process, un processo di apprendimento collettivo. Questa  quasi-identificazione  può essere vista sotto vari profili, che provo sinteticamente ad evocare.

Essa  ha anzitutto a  che fare con la funzione “pedagogica” del P., con la sua capacità di  guidare o influenzare i nostri atteggiamenti nei confronti della natura e del mondo, mettendo in scena “le bellezze del creato”, costituendo i “teatri” in cui agiamo, sollecitando la reazione individuale e collettiva  alle dinamiche (antropiche e naturali) dei cambiamenti, promuovendo la consapevolezza  dei rischi e dei valori coinvolti, costruendo nuove immagini e nuove retoriche del territorio…. Quando la CEP sprona “ad accrescere la sensibilizzazione  della società civile, delle organizzazioni  private e delle autorità pubbliche al valore dei paesaggi, al loro ruolo e alla loro trasformazione” o a potenziare la formazione e l’educazione,  punta sulla funzione pedagogica del P. E’ una funzione che trova ovviamente la sua espressione più esplicita nella pianificazione paesistica (che inscrive un codice, in qualche modo ordinatore,  nella materialità dinamica dei luoghi) ed ancor più nei progetti di intervento che “creano” volontariamente il P.. Così i progetti premiati dal Consiglio d’Europa (art. 11 della Convenzione) sono chiamati a “servire da modello” per gli altri enti territoriali.

Ma anche senza piani e senza premi, il P. ci insegna a muoverci nel mondo. Qui le tre risposte che ho cercato di darmi inevitabilmente convergono: il P. “è” insegnamento, è la cifra della danza. Anche i paesaggi più “naturali”, come tipicamente i più celebrati santuari della natura o i grandi monumenti naturali, riflettono parole d’ordine e modelli culturali che “insegnano” a usare la natura o quanto meno a guardarla.  Ma non si tratta di  un insegnamento a  senso unico, dall’alto verso il basso, dal sapere esperto al sapere ordinario e “diffuso”: al contrario, l’esperienza paesistica  è il luogo di incrocio dei saperi, non solo dei diversi saperi disciplinari ma anche e prima di tutto delle “sapienze ambientali” con la conoscenza scientifica e tecnicamente elaborata. Ovviamente l’osservazione non vale solo in senso positivo Gran parte dei processi di degrado paesistico  o dell’aggravamento dei rischi ambientali, nascono dalla perdita di memorie secolari di utilizzazione saggia e prudente  del suolo, delle acque e delle altre risorse ambientali, dalla lacerazione delle culture locali non meno che dall’arroganza  e dall’insensibilità nei confronti  delle indicazioni scientifiche e degli ammonimenti degli esperti E’ questa la tenaglia che più facilmente trasforma le calamità naturali in autentiche “calamità pianificate”. Di qui la crucialità del concorso delle popolazioni e degli attori locali alla conoscenza, alla gestione e alla pianificazione del P,, fortemente enfatizzata dalla Convenzione.

Se si stringe il rapporto tra P. e insegnamento, non si può evitare di misurarsi con quella che è forse la sfida centrale proposta dalla CEP: da un lato la necessità di raccordare le visioni olistiche e le strategie di sistema da cui dipende sempre più l’efficacia delle politiche del P. con le misure settoriali che nascono o si precisano nei diversi ambiti disciplinari; dall’altro la necessità di coordinare  le conoscenze “regolatrici” che si manifestano ai diversi livelli decisionali con le percezioni, le attese e le consapevolezze  che si affermano a livello locale. E’ una duplice sfida , che ruota attorno a due concetti mutuamente irriducibili, ciascuno dei quali trova riscontro nei dettami della Convenzione:

-         l’integrazione del P. in ogni politica che possa avere un impatto diretto o indiretto sul P. stesso (art 5d); il che, sul piano della formazione, implica la promozione di programmi multi-disciplinari per le politiche del P.(art.6Bb);

-         la specializzazione delle attività formative inerenti il P., il che implica la promozione di corsi universitari che si accostino efficacemente e specificamente ai valori del P. (art. 6Bc).

La tensione tra questi due concetti è stata riaffermata  dal Comitato dei Ministri (Raccomandazioni del 2008, II2.3) ponendo la duplice esigenza di corsi  per specialisti e per non specialisti; in ogni caso tali da “collegare strettamente il paesaggio allo sviluppo sostenibile”. Nel tentativo di coniugare le due esigenze, si è profilata, in ambito Uniscape, l’opportunità di basare la specializzazione non sulla selezione e l’esclusione , ma piuttosto sul “focus” da attribuire a ciascun programma formativo. Ciò dovrebbe consentire  di allargare adeguatamente il campo d’attenzione dell’insegnamento pur concentrando l’impegno didattico e di ricerca sui temi di peculiare interesse per la protezione e l’innovazione del Paesaggio.

 


Letto 4332 volte Ultima modifica il Mercoledì, 22 Dicembre 2010 15:18